13 Dicembre 2014

Voluntary, costi elevati e procedure complicate

di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365
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Dopo quasi un anno di attesa e tante ipotesi, sembra essere innanzi al classico parto del “topolino”: La nuova versione della voluntary disclosure è sostanzialmente identica nell’assetto di base a quella conosciuta lo scorso gennaio, tranne che per quanto concerne la definizione di alcuni “spigoli”, ma non certo dello scoglio principale. Se è vero che bisogna attendere il provvedimento attuativo e la circolare interpretativa per avere un quadro concreto della situazione, non dovendo escludere dei “colpi di mano”, magari nei classici decreti che accompagnano a fine anno la nuova finanziaria, la voluntary rimane indigesta per i costi e per le relative procedure.

Circa i costi dell’emersione è necessario essere franchi. A differenza del passato non si parla di “condoni”, ma si intende attribuire a chi in qualsiasi modo ha evaso la possibilità di avvalersi di una sorta di ravvedimento lungo con sanzioni ridotte nella misura di un quarto (per le dichiarazioni infedeli si irroga la sanzione del 75%). Tradotto in termini pratici, significa pagare interamente le imposte, Iva inclusa se dovuta, ed avere solo le sanzioni con una riduzione maggiore, poi definibile secondo i vari istituti adottati dal contribuente. La norma, nell’ottica dell’articolo 53 della Costituzione, è inappuntabile: tutti devono concorrere in egual misura alla contribuzione. 

Effettuata tale doverosa precisione, non può non sottolinearsi che la norma appare di semplice applicazione solo per chi ha violato il monitoraggio fiscale e non ha problemi evasivi, se non limitati ai rendimenti esteri, con un costo che non dovrebbe eccedere il 12% del capitale estero (ovviamente in funzione delle annualità da sanare e delle varie particolarità del caso specifico). Nelle altre ipotesi, per come concepita la norma, sarà difficilissimo convincere un contribuente che ha accumulato capitali all’estero a corrispondere un importo che tra monitoraggio fiscale (costo variabile dallo 0,5% ad anno per i paesi collaborativi a circa 1% annuo per gli altri), tassazione dei rendimenti (in via presuntiva, 5% all’anno tassati al 27%) e tassazione completa italiana (stimabile in almeno il 50% dell’importo), oltre le sanzioni e gli interessi, giunge ad erodere dal 70% al 90% (dipende dagli anni in discussione) del capitale estero.

Il tutto non dovendo dimenticare che forse si renderà necessario procedere anche alla voluntary interna, il cui scopo è di facile comprensione: ad esempio, se il contribuente che intende far emergere i capitali all’estero è ricollegato ad un soggetto operante in Italia (il caso classico del socio di una società italiana senza altre fonti reddituali), la sua emersione potrebbe rappresentare un elemento di verifica nei confronti della società italiana, che dunque ha tutto l’interesse a mettersi al riparo per eventuali accertamenti nei propri confronti.

L’appeal della norma non appare dunque convincente, pur se è doveroso far comprendere ai clienti quale sia l’altra faccia della medaglia. Se si ipotizza un capitale detenuto in un paese black list, tra raddoppio dei termini di accertamento e di irrogazione sanzioni, raddoppio delle sanzioni sulle imposte evase, maggiori sanzioni black list, presumibile irrogazione delle sanzioni nelle misure massime (proprio perché non si è fruito della voluntary), tassazione dei rendimenti e reati vari applicabili (tra cui l’autoriciclaggio), si rischia un recupero mostruoso (forse anche di un importo pari al triplo di quello detenuto all’estero), oltre ad una condanna penale rilevante.

Detto dei costi dell’emersione, l’altro aspetto da non sottovalutare riguarda la procedura, considerato l’elevato tecnicismo della disposizione e l’obbligo di informare il contribuente dei costi a cui va incontro. La bozza del modello appare sin troppo “sintetica”, denotando presumibilmente che tutti i documenti giustificativi di vario genere dovranno essere prodotti direttamente all’ufficio incaricato (si presume l’Ucifi). In termini sostanziali, se è vero che il modello appare semplice, è altrettanto vero che il lavoro minuzioso deve essere svolto alla base.

Al professionista anzitutto il compito di ricostruire le consistenze dei capitali e gli imponibili sottesi. Per fare ciò bisogna procedere per gradi ed in primo luogo capire le annualità ancora interessate. Posto che è necessario attendere l’elenco definitivo dei paesi che saranno ritenuti collaborativi, in via di estrema sintesi e ipotizzando che le disclosure saranno effettuate a partire dal 2015, possiamo riassumere come segue:

  • Violazioni del monitoraggio. Paesi collaborativi, anni da “sanare”, dal 2009 al 2013. Paesi non collaborativi, anni da sanare dal 2004 al 2013 (per completezza si evidenzia che le istruzioni presenti in bozza recano indicazioni anche in riferimento all’anno 2003, ovviamente ancora interessato qualora si decidesse di effettuare la voluntary entro il prossimo 31 dicembre);
  • Violazioni reddituali. In caso di dichiarazione presentata: Paesi collaborativi, anni interessati dal 2010 al 2013 (ferma restando la necessità di comprendere cosa accade per il raddoppio dei termini in presenza di presunti reati tributari); Paesi non collaborativi, anni interessati dal 2006 al 2013. In assenza di dichiarazione: Paesi collaborativi, anni dal 2009 al 2013; Paesi non collaborativi, anni dal 2004 al 2013.

Individuate le annualità, bisogna valutare le violazioni e le conseguenze. Circa il monitoraggio, trattasi delle omesse compilazioni del quadro RW. L’esercizio è semplice (per modo di dire) dovendosi osservare le consistenze al termine di ciascun anno e applicare le relative sanzioni, pari sempre al 3% per i white list e i Paesi collaborativi (come detto, nella voluntary diventano dell’1,5%, con possibilità di definizione a 0,5% per anno), mentre Per i paesi non collaborativi sono pari al 5% fino al 2007 (2,5% nella voluntary, con definizione allo 0,83%), ovvero a 6% dal 2008 (3% in voluntary, con definizione all’1%).

Per gli imponibili, in primo luogo bisogna verificare la presenza di eventuali evasioni d’imposta: in caso positivo, il costo della disclosure si incrementa notevolmente, dovendo corrispondere tutte le imposte, gli interessi e le sanzioni (le sole ridotte). Inoltre deve comprendersi se sussiste o meno il raddoppio dei termini per i reati tributari, essendo la norma equivoca sul tema. Anche in tal caso, se nel futuro documento di prassi l’Agenzia dovesse affermare che in presenza di reati tributari il raddoppio sussiste, è inutile sottolineare come si modifichio tutte le valutazioni da effettuare, essendo incrementati gli imponibili da sanare. Residuano poi i rendimenti: o si è in grado di produrre documenti analitici, oppure è previsto per legge un rendimento presunto del 5% (elevato rispetto ai dati storici riscontrati), tassato al 27% (anche in tal caso percentuale elevata rispetto al 12,5% o al 20% della tassazione “classica”).

Trattasi dunque di calcoli complicatissimi, peraltro “caratterizzati” da due ulteriori elementi, ossia l’applicazione delle convenzioni contro le doppie imposizioni e il dilemma irrisolto dell’eventuale riconoscimento dei crediti d’imposta.

Fatta tutta questa fatica, purtroppo, si è appena all’inizio. Infatti:

  1. Bisogna sintetizzare tutto nel modello di emersione;
  2. È necessario produrre un dossier da consegnare all’Ufficio competente. In tal caso presumibilmente il consulente dovrà produrre una relazione illustrativa che spieghi le valutazioni effettuate e la documentazione allegata;
  3. Sarà indispensabile seguire l’iter degli atti dell’Agenzia delle Entrate, ossia l’avviso di accertamento per i redditi, nonché gli atti di irrogazione delle sanzioni per il monitoraggio, riscontrando che sia stato fatto tutto nel migliore dei modi (e soprattutto sperando che il quantum richiesto coincida con quanto anticipato al cliente).

Senza dimenticare gli ultimi tasselli: devono essere effettuati tutti gli adempimenti in materia di antiriciclaggio e non si deve assolutamente “mollare” la presa sul contribuente, perché se erra il versamento anche di una sola rata tutta la disclosure viene meno.

Non resta che un’amara valutazione: forse qualcosa di più semplice poteva essere concepito.