31 Luglio 2014

La residenza presso l’abitazione dei genitori non è sufficiente a sconfessare il redditometro

di Luigi Ferrajoli
Scarica in PDF

Con la sentenza n.13819 del 18/6/2014 la Corte di Cassazione pone un altro tassello nella ricostruzione dell’onere probatorio posto a carico del contribuente in caso di accertamento da c.d. redditometro.

Nella vicenda in esame, l’Agenzia delle Entrate aveva effettuato un accertamento ai sensi dell’articolo 38, comma 4, D.P.R. 600/1973, avendo rilevato che il contribuente era proprietario di due autoveicoli e un bene immobile destinato ad abitazione principale, rideterminandone il reddito e richiedendo per l’effetto maggiori imposte, oltre a sanzioni ed addizionale regionale.

La Commissione tributaria provinciale aveva accolto il ricorso proposto dal contribuente, che in sostanza aveva eccepito di abitare con il padre in un immobile di proprietà del genitore medesimo, senza sostenere alcuna spesa di gestione.

In secondo grado la Commissione tributaria regionale, accogliendo parzialmente l’appello del Fisco, osservava che la prova anagrafica della residenza del contribuente nel medesimo edificio del padre non esimeva altresì all’onere di provare sia la convivenza con questi, sia l’autonoma disponibilità, da parte del genitore, di mezzi sufficienti a coprire tutti i costi di gestione della residenza, che perciò andavano attribuiti al ricorrente come altrettanti indici di capacità contributiva; a parere dei Giudici di seconde cure l’avviso di accertamento doveva quindi essere rettificato riducendo a minor somma il reddito già sinteticamente determinato.

L’Agenzia delle entrate proponeva ricorso per Cassazione avverso la sentenza di secondo grado, deducendo in via principale il vizio di motivazione, perché insufficiente e contraddittoria, in relazione all’articolo 360, comma 5, Cod. Proc. Civ., in quanto i Giudici di secondo grado, pur prescrivendo all’Ufficio di rideterminare il reddito, avrebbero omesso di indicare per quali atti legittimi o illegittimi del medesimo la statuizione si giustificherebbe e dunque per quali ragioni e come operare tale rettifica.

Il contribuente proponeva controricorso lamentando, tra l’altro, la violazione di legge con riguardo all’articolo 38, comma 4, D.P.R. 600/1973, poiché l’inadeguatezza del reddito del contribuente sarebbe stata fondata su fatti-indice non certi, interrompendo quindi la deduzione che all’ammontare di una data spesa corrisponda un maggior reddito.

La Cassazione accoglie il ricorso principale e rigetta quello incidentale del contribuente, rilevando che “Nonostante l’accoglimento dell’appello, e la chiara enunciazione della corretta attribuzione al contribuente dei costi presunti della gestione della sua residenza, non appare comprensibile quale sia stato l’iter, e dunque sulla base di quale quadro probatorio assunto come decisivo, la C.T.R. sia giunta alla rideterminazione quantitativa del reddito nella minor somma di L. 24 milioni circa per il 1997”.

La Suprema Corte conferma quindi il principio, affermato dai giudici di seconde cure, sull’insufficienza della prova anagrafica della residenza nella stessa abitazione del padre per sconfessare l’esito dell’accertamento sintetico.

Sul tema dell’onere della prova in caso di accertamento da redditometro, un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto la possibilità, a favore del contribuente, di dimostrare che il maggiore reddito determinato in via sintetica possa trovare giustificazione nei redditi di componenti il nucleo familiare; al riguardo si richiama la sentenza della Cassazione n. 18388/2013 nella quale era stata valorizzata la circostanza che la contribuente, a carico della quale era stato accertato un maggiore reddito, in realtà aveva un coniuge le cui disponibilità finanziarie erano ampiamente sufficienti a coprire tutte le maggiori spese contestate dal Fisco alla moglie.

La stessa Amministrazione finanziaria inoltre, con la circolare n.49/E/2007, aveva richiamato l’attenzione dei propri uffici sulla “necessità di procedere sempre ad un esame complessivo della posizione reddituale dell’intero nucleo familiare del contribuente.

Il contribuente ha quindi la possibilità di documentare la sussistenza di redditi provenienti dal nucleo familiare, tuttavia, con la sentenza in commento, la Suprema Corte ha precisato che il medesimo, per evitare che i costi di gestione dell’immobile in cui vive con il nucleo familiare gli siano imputati come indici di capacità contributiva, non può limitarsi alla mera prova anagrafica della residenza, ma deve documentare sia l’effettiva convivenza, sia che le relative spese siano state sostenute con le disponibilità finanziarie del genitore.