14 Aprile 2014

La riqualificazione dell’atto ai fini dell’imposta di registro non legittima l’estensione dei termini di accertamento

di Luigi Ferrajoli
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Con la sentenza n. 131/3/2014, la Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia interviene in modo deciso in materia di accertamento delle maggiori imposte di registro e ipocatastali, statuendo che, in caso di riqualificazione della natura di un atto registrato, il Fisco non può disporre del periodo quinquennale per l’emissione dell’accertamento.

Il caso in esame riguarda una società cui era notificato un avviso di liquidazione dell’imposta di registro ed irrogazione di sanzioni con cui l’Agenzia delle Entrate aveva riqualificato in cessione d’azienda un contratto d’affitto d’azienda stipulato con un’altra società.

La contribuente proponeva ricorso lamentando la prescrizione/decadenza del potere impositivo dell’Ufficio, oltre che l’infondatezza della circostanza dell’asserita cessione di azienda; la ricorrente evidenziava in particolare che l’avviso era stato emesso decorso il termine triennale di decadenza previsto dall’articolo 76, comma 2, D.P.R. 131/1986 decorrente dal 21/07/2009 (data della registrazione): poiché l’avviso di liquidazione era stato notificato in data 07/08/2012, era da considerarsi illegittimo perché tardivo.

L’Ufficio si costituiva in giudizio eccependo la tempestività dell’avviso in considerazione del fatto che l’accertamento sarebbe rientrato nella fattispecie di cui al comma 1 dell’articolo 76 D.P.R. 131/1986, ossia tra le ipotesi di omessa registrazione, con previsione della decadenza dell’azione della finanza nei cinque anni per cui, ravvisandosi nel caso concreto il presupposto di cui all’articolo 54, comma 5, D.P.R. 131/1986 (registrazione da eseguirsi d’ufficio), il termine sarebbe stato rispettato.

La Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia accoglie il ricorso della contribuente, evidenziando che l’articolo 76 D.P.R. 131/1986, al comma 1, primo periodo, prevede che “L’imposta sugli atti soggetti a registrazione ai sensi dell’art. 5 non presentati per la registrazione deve essere richiesta, a pena di decadenza, nel termine di cinque anni, dal giorno in cui, a norma degli artt. 13 e 14, avrebbe dovuto essere richiesta la registrazione o, a norma dell’art. 15 lettere c), d) ed e) si è verificato il fatto che legittima la registrazione d’ufficio”.

I Giudici non ravvisano nel caso in esame un fatto inquadrabile nella registrazione d’ufficio a norma dell’articolo 15 D.P.R. 131/1986, prevista specificamente e tassativamente solo in caso di mancanza di richiesta di registrazione da parte dei soggetti obbligati.

Nel caso di specie, invece, il contratto di affitto di azienda era stato registrato, ma l’Agenzia delle entrate, che aveva provveduto a riqualificarlo in un secondo tempo in contratto di cessione di azienda, pur senza il presupposto di una eccepita simulazione, aveva vanificato il consolidato esito dell’atto portato in origine a registrazione, facendone discendere, con la riqualificazione, un’omessa registrazione in quei termini, traendone ex post la violazione dell’obbligo ed inquadrando la fattispecie nell’articolo 76, comma 1, D.P.R. 131/1986, come se fosse stata fin dall’origine una mancata presentazione per la registrazione.

Secondo i Giudici emiliani, la legittimazione di un tale comportamento darebbe facoltà all’Amministrazione finanziaria di “disporre” dell’articolo 76, comma 1, col potere discrezionale di ampliare temporalmente il suo accertamento, ogniqualvolta ravvisasse la messa in discussione ex articolo 20 D.P.R. 131/1986 – che prevede che “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente” – del criterio di tassazione per una diversa qualificazione sul nomen iuris attribuito dalle parti all’atto sottoposto a registrazione, finendo per “aggirare” di fatto il disposto del secondo comma dell’articolo 76 D.P.R. 131/1986, che fissa in tre anni dalla data di registrazione di un atto la decadenza dell’ufficio dal potere di richiedere l’imposta e/o ottenere una revisione del titolo di tassazione.

La Commissione si esprime in modo netto, censurando tale abusata prassi amministrativa ed evidenziando che: “l’Amministrazione non si può riservare il potere discrezionale di ricondurre nell’alveo della non presentazione o nella registrazione d’ufficio con conseguente allungamento dei termini, tutti quegli atti già sottoposti alla registrazione e consolidatosi con una determinata qualificazione, ma per i quali lo strumento tassato debba essere sottoposto ad altri tipi di tassazione per una diversa “ripresa” o “nomen iuris” del negozio. Sarebbe un abuso perché comporta di fatto l’elusione del termine ordinario dei tre anni previsto dall’art. 76, comma 2 per gli atti registrati in via tradizionale per richiedere sia l’imposta principale che l’imposta complementare e suppletiva, vanificandone in pratica il disposto e gli effetti”.