27 Febbraio 2019

Il contraddittorio negli accertamenti tributari

di Luigi Ferrajoli
Scarica in PDF

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 701/2019, si è pronunciata in tema di validità dell’avviso di accertamento emesso prima dello scadere dei sessanta giorni previsti dall’articolo 12, comma 7, L. 212/2000 per consentire al contribuente di comunicare osservazioni e richieste agli uffici impositori.

Nel caso di specie l’Agenzia aveva proposto ricorso avverso la decisione della CTR confermativa della sentenza di primo grado con cui era stata accolta l’eccezione della contribuente in ordine al mancato rispetto dei termini di cui alla citata disposizione normativa.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dall’Ufficio, ritenendolo infondato, con una motivazione ampia e articolata.

In riferimento al contraddittorio endoprocedimentale, la Cassazione ha innanzitutto citato due decisioni, entrambe delle Sezioni Unite, che devono costituire il punto di riferimento in materia.

Con il primo provvedimento, è stato statuito che “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’articolo 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio” (cfr. Cass.  n. 18184/2013).

La seconda decisione ha affermato che “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. “a tavolino”, specificando tuttavia che “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (cfr. Cass. n. 24823/2015).

Secondo la lettura delle due sentenze sopra richiamate vi sarebbe dunque una diversa tutela tra tributi “armonizzati” e tributi “non armonizzati”, questione ad ampio respiro, in quanto coinvolge non solo altre pronunce della Corte di Cassazione stessa, ma anche l’articolo 111 Cost. (secondo il quale il diritto al contraddittorio è previsto in maniera espressa solo in caso di processo giurisdizionale) e finanche la giurisprudenza formatasi in ambito comunitario.

La Cassazione ha dunque tratto i seguenti principi, validi per il contraddittorio endoprocedimentale:

  1. il principio di equivalenza, per cui le modalità previste per l’applicazione del tributo armonizzato non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano analoghi procedimenti amministrativi per tributi di natura esclusivamente interna;
  2. il principio di effettività, per cui la disciplina nazionale non deve rendere, in concreto, impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione, con la conseguenza che il contribuente deve essere messo in condizione di poter esercitare il contraddittorio.

In conclusione del proprio iter argomentativo, la Suprema Corte ha enunciato i seguenti principi di diritto:

1) l’articolo 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 prevede, nel triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio operata dal legislatore, attraverso la previsione di nullità dell’atto impositivo per mancato rispetto del termine dilatorio, che già, a monte, assorbe la “prova di resistenza” e, volutamente, la norma dello Statuto del contribuente non distingue tra tributi armonizzati e non;

2) il principio di strumentalità delle forme ai fini del rispetto del contraddittorio, principio generale desumibile dall’ordinamento civile, amministrativo e tributario, viene meno in presenza di una sanzione di nullità comminata per la violazione, e questo vale anche ai fini del contraddittorio endoprocedimentale tributario;

3) per i tributi armonizzati la necessità della “prova di resistenza”, ai fini della verifica del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, scatta solo se la normativa interna non preveda già la sanzione della nullità”.

Il processo tributario telematico: aspetti giuridici e problematiche operative