14 Giugno 2024

Indeducibilità dei costi sostenuti se manca l’inerenza

di Marco Bargagli
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La scheda di FISCOPRATICO

Le norme generali sui componenti del reddito di impresa sono illustrate nell’articolo 109 Tuir, il quale prevede che i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza; tuttavia, i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza (o determinabile in modo obiettivo l’ammontare), questi concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni.

In buona sostanza, ai fini delle imposte dirette, per poter dedurre i costi sostenuti dal reddito d’impresa, il contribuente deve rispettare i requisiti di inerenza, certezza e obiettiva determinabilità dell’onere iscritto in contabilità, come previsto dalla normativa sostanziale di riferimento.

Avuto riguardo, in particolare, all’onere della prova, il contribuente sottoposto a verifica fiscale avrà la necessità di:

  • comprovare, sotto il profilo documentale, il costo sostenuto in modo da ricavare l’inerenza del bene o del servizio rispetto all’attività da cui derivano i ricavi o gli altri proventi che concorrono a formare il reddito di impresa (Cassazione n. 1709/2007);
  • evidenziare “la coerenza economica dei costi sostenuti nell’attività d’impresa, ove sia contestata dall’Amministrazione finanziaria anche la congruità dei dati relativi a costi e ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni” (Cassazione n. 7701/2013).

Sulla base del consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, possiamo affermare che, nel corso di un qualsiasi controllo fiscale, il contribuente dovrà necessariamente evidenziare, all’organo ispettivo, l’inerenza dei costi sostenuti, sulla base di quanto sancito dal richiamato articolo 109 Tuir.

Infatti, affinché un costo possa essere incluso tra le componenti negative del reddito d’impresa, non solo è necessario che ne sia certa l’esistenza, ma occorre, altresì, che ne sia comprovata l’inerenza, ossia deve trattarsi di una spesa che si riferisce ad attività da cui derivano ricavi o proventi che concorrono a formare il reddito di impresa.

In estrema sintesi, l’inerenza di un costo viene definita come una relazione tra due concetti: “la spesa e l’impresa” che implica necessariamente un accostamento concettuale tra le due circostanze, per cui il costo assume rilevanza ai fini della quantificazione della base imponibile, non tanto per la sua esplicita e diretta connessione ad una precisa componente di reddito bensì in virtù della sua correlazione con una attività potenzialmente idonea a produrre utili (Cassazione n. 12168/2009).

In relazione ai rapporti economici e commerciali intercorsi tra imprese appartenenti ad uno stesso Gruppo, la giurisprudenza di legittimità ha considerato indeducibili i costi per l’attività di consulenza infragruppo tenuto conto della generica descrizione riportata in fattura.

Gli ermellini hanno rilevato alcuni passaggi salienti che, valutati complessivamente, avrebbero determinato l’indeducibilità dei costi sostenuti: (“con la presente vi rimettiamo fattura per consulenza tecnico – commerciale relativa al mese di …”); rilevata altresì la laconicità del contratto regolante il rapporto economico commerciale (“l’unico documento che è stato consegnato (…) è un contratto di assistenza tecnico – commerciale di appena 10 righe“); constatato, infine, l’ingente ammontare del costo portato in deduzione (Cassazione n. 21184/2014).

Sempre con riferimento alla deducibilità di costi risultanti da fatture generiche, viene confermato che l’onere della prova va posto a carico del contribuente.

Infatti, come già osservato in precedenza dalla Corte di cassazione (Sentenza n. 13882/2018), «l’Amministrazione finanziaria non si può limitare all’esame della sola fattura, ma deve tener conto anche delle informazioni complementari fornite dal soggetto passivo, come emerge, d’altronde, dall’art. 219 della direttiva 2006/112/CE, che assimila alla fattura tutti i documenti o messaggi che modificano e fanno riferimento in modo specifico e inequivocabile alla fattura iniziale. Incombe, tuttavia, su colui che chiede la detrazione dell’I.V.A. l’onere di dimostrare di soddisfare le condizioni per fruirne e, per conseguenza, di fornire elementi e prove, anche integrativi e succedanei rispetto alle fatture, che l’amministrazione ritenga necessari per valutare se si debba riconoscere o no la detrazione richiesta (cfr. Corte giustizia UE, 15 settembre 2016, causa C-516/14, Barlis 06 – Investimentos Imobiliarios e Turisticos SA v Autoridade Tribudria e Aduaneira)».

Ciò posto, nel caso di specie, il contribuente aveva concretamente assolto il prescritto onere probatorio, fornendo una convincente dimostrazione dell’esistenza di contratti che, in riferimento a fatture ritenute succinte dall’Ufficio, evidenziavano puntualmente il contenuto dei lavori realizzati, il tempo ed il luogo dell’esecuzione della prestazione, il personale impiegato e le ore lavorate, consentendo pertanto di ritenere giustificati i costi ripresi a tassazione.

Più di recente, la Corte di cassazione ha confermato che i costi relativi a fatture per consulenze di mercato, emesse da società parte di un gruppo, sono indeducibili dal reddito d’impresa se la loro descrizione è “generica” e se la compagine che, astrattamente, avrebbe fornito la consulenza, non si occupa, per statuto, di simili compiti (Cassazione n. 35568/2022).

I supremi giudici di legittimità hanno dapprima richiamato la consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione, in base alla quale la prova dell’inerenza di una operazione incombe sul contribuente (sentenza n. 18904/2018), in base alla quale “ai fini della detrazione di un costo, la prova dell’inerenza del medesimo quale atto d’impresa, ossia dell’esistenza e natura della spesa, dei relativi fatti giustificativi e della sua concreta destinazione alla produzione quali fatti costitutivi su cui va articolato il giudizio di inerenza, incombe sul contribuente in quanto soggetto gravato dell’onere di dimostrare l’imponibile maturato”.

In particolare, nel merito, il giudice del gravame aveva correttamente evidenziato che l’ufficio aveva fornito elementi idonei a disconoscere i costi, valutato che, non solo la fattura era generica, ma la stessa società che, astrattamente, avrebbe fornito la indicata consulenza non si occupava, per statuto, di tali compiti.

A ciò si aggiunga che la determinazione dell’importo era collegata ad attività anteriori, riferite all’annualità 2008: in definitiva, questi elementi hanno indotto a ritenere detti costi carenti non solo per inerenza ma anche per certezza e competenza, senza che la contribuente – come era suo onere – avesse fornito alcuna prova contraria.