7 Marzo 2024

Intimazione di pagamento dopo sentenza parzialmente favorevole

di Luigi Ferrajoli
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La scheda di FISCOPRATICO

Nel caso in cui il Giudice tributario di primo grado accolga parzialmente il ricorso, stabilendo una riduzione delle imposte originariamente accertate con l’avviso di accertamento, l’Agenzia delle entrate, ai sensi dell’articolo 68, comma 1, lett. b), D.Lgs. 546/1992, può procedere alla riscossione delle imposte nell’ammontare risultante dalla sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di primo grado con la notifica di un atto di intimazione, non essendo necessaria la notifica di un altro atto impositivo contenente la rideterminazione delle imposte dovute come rideterminate dalla sentenza di primo grado. Tale principio è stato pronunciato dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 2519/2024.

Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, il Giudice tributario di primo grado, accogliendo parzialmente il ricorso del contribuente avverso un avviso di accertamento, rideterminava in diminuzione il maggiore reddito accertato. A seguito della sentenza di primo grado l’Ufficio, avvalendosi della possibilità di riscossione frazionata di cui all’articolo 68, D.Lgs. 546/1992, notificava al contribuente intimazione di pagamento, con la quale richiedeva il pagamento delle imposte nella misura rideterminata dal giudice di primo grado, stante l’annullamento parziale, riducendo, quindi, gli importi dovuti rispetto a quelli dell’originario atto impositivo.

L’intimazione di pagamento veniva distintamente impugnata dal contribuente avanti il giudice tributario, che, in secondo grado, annullava l’atto di intimazione, sulla base delle seguenti affermazioni:

a) la rideterminazione del reddito ad opera del giudice tributario è legittima;

b) la sentenza di accoglimento del ricorso e annullamento dell’atto impositivo, anche se non definitiva, priva la pretesa tributaria di un atto amministrativo legittimante, che non può formare oggetto di alcuna riscossione nemmeno provvisoria;

c) in caso di annullamento parziale l’Amministrazione finanziaria deve rideterminare imponibile, imposta, aliquote e sanzioni, notificando un nuovo atto impositivoal fine di portare a conoscenza del contribuente l’esatto calcolo effettuato dall’Ufficio”.

La sentenza di appello, impugnata con ricorso per cassazione dall’Agenzia delle entrate, è stata annullata dalla Suprema Corte, che ha ritenuto errata la decisione, sia nella parte in cui ha ritenuto che non si potesse procedere alla riscossione provvisoria in presenza di una sentenza di primo grado parzialmente favorevole al contribuente, sia nella parte in cui ha affermato che l’Ufficio, richiamando l’originario avviso di accertamento e la successiva sentenza, non potesse, con l’atto di intimazione, quantificare le somme dovute in ragione dell’articolo 68, D.Lgs. 546/1992, ma dovesse emettere un nuovo atto impositivo.

In particolare, la Corte di cassazione ha rilevato che la sentenza di appello aveva dato atto che l’Ufficio, a norma dell’articolo 68, D.Lgs. 546/1992, “emetteva e notificava atto di intimazione di pagamento rideterminando imposte e sanzioni” secondo quanto disposto dal giudice di primo grado, ma che quest’ultimo (decidendo sull’avviso di accertamento) aveva accolto parzialmente il ricorso e, per l’effetto, rideterminato il redditosenza per altro indicare specificamente le imposte dovute in base a quanto deciso”. Conseguentemente, la questione controversa posta dalla contribuente consisteva nel fatto che una volta che il giudice di primo grado accoglie, anche parzialmente, la domanda del contribuente, all’avviso di accertamento iniziale si sostituisce il dispositivo della sentenza, che costituisce un nuovo titolo, ponendo nel nulla l’atto impositivo, per cui la riscossione in pendenza di giudizio richiederebbe l’emissione di un nuovo atto impositivo da parte dell’Ufficio (con rideterminazione delle imposte dovute) e non la mera intimazione di pagamento.

È indubbio che il titolo della pretesa impositiva andava rinvenuto nella sentenza. Correttamente, pertanto, l’Ufficio, nell’avviso di intimazione, rideterminava le imposte in ragione di quanto statuito dal giudice di primo grado e tenendo conto dei limiti fissati dall’articolo 68, D.Lgs. 546/1992, in caso di riscossione provvisoria. Il giudice d’appello, ciononostante, affermava che l’intimazione di pagamento era invalida, sebbene avesse ad oggetto le somme ri-quantificate dall’Ufficio a seguito dalla sentenza, in quanto quest’ultima aveva solo rideterminato l’imponibile, ma non le imposte, l’aliquota e le sanzioni, il cui esatto calcolo andava portato a conoscenza del contribuente con l’emissione di un nuovo atto impositivo.

Al riguardo la Corte di cassazione, richiamando la sua giurisprudenza, ha affermato che l’atto di intimazione è un atto vincolato e che lo stesso non è annullabile a causa dell’insufficienza della motivazione in quanto, per la natura vincolata del provvedimento, è palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (Cassazione n. 21065/2022). In tale senso, ai fini della validità della motivazione era sufficiente che il contribuente, attraverso il richiamo all’avviso di accertamento originario ed alla sentenza costituente il titolo della pretesa tributaria, come rideterminata in sede giudiziale, fosse messo in grado di conoscere quest’ultima nell’an e nel quantum.

Secondo la Suprema Corte, la sentenza di appello è errata anche laddove sembra escludere la riscossione provvisoria, affermando che l’articolo 68, D.Lgs. 546/1992, obbliga alla restituzione degli importi versati nelle more del giudizio in caso di sentenza favorevole al contribuente.

Alla fattispecie in esame, nella quale la sentenza di primo grado aveva accolto solo parzialmente il ricorso del contribuente, era applicabile il disposto di cui all’articolo 68, comma 1, lett. b), D.Lgs. 546/1992, che prevede l’iscrizione provvisoria per l’ammontare risultante dalla sentenza di primo grado e comunque non oltre i 2/3 se la stessa accoglie parzialmente il ricorso.

Infine, quanto alle conseguenze in materia di riscossione della pronuncia di annullamento della sentenza di appello da parte della Corte di cassazione, deve rammentarsi che la lett. e-bis) dell’articolo 68, comma 1, D.Lgs. 546/1992, introdotta dal D.Lgs. 156/2015, prevede, per l’ipotesi di annullamento con rinvio, l’iscrizione provvisoria per l’ammontare dovuto in pendenza del giudizio di primo grado (pari al terzo delle maggiori imposte accertate).