18 Giugno 2024

Prova testimoniale e processo tributario: buona la seconda?

di Silvio Rivetti
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La scheda di FISCOPRATICO

L’introduzione della prova testimoniale nell’ambito del processo tributario – dov’era tradizionalmente vietata, unitamente al giuramento – risale alla legge di riforma del contenzioso n. 130/2022, il cui articolo 8, comma 3, modificava l’articolo 7, comma 4, D.Lgs. 546/1992, ivi richiamando, a valere per i ricorsi di primo e di secondo grado notificati a partire dal 16.9.2022, le norme di assunzione della prova testimoniale in forma scritta proprie del processo civile (articolo 257-bis c.p.c. e articolo 103-bis c.p.c.). A fronte dell’esperienza concreta nel contenzioso tributario di questi ultimi anni, può pacificamente dirsi che il trapianto non abbia affatto attecchito; e che le disposizioni in questione siano rimaste, di fatto, lettera morta.

Anche per questo motivo, la più recente riforma del contenzioso, di cui al D.Lgs. 220/2023, ritorna sulla norma e tenta di rilanciarne le sorti, semplificandone alcuni passaggi procedurali, mediante la sempre maggiore telematizzazione del processo. L’articolo 7, comma 4, dispone, infatti, che la Corte di giustizia tributaria, ove lo ritenga necessario, ai fini della decisione e anche senza l’accordo delle parti, possa ammettere la prova testimoniale da assumersi con le forme di cui all’articolo 257-bis, c.p.c.; consentendosi ora, per i ricorsi di primo e secondo grado notificati a partire dal 2.9.2024, in primo luogo, la notifica telematica sia dell’intimazione a testimoniare, sia del relativo modulo di raccolta delle deposizioni (che sarà messo a disposizione, con le istruzioni, sul sito internet del MEF, Dipartimento della Giustizia tributaria); e in secondo luogo il deposito telematico, a cura del difensore della parte che ha citato il teste,  del modulo di deposizione compilato e trasmessogli dal testimone, se sottoscritto digitalmente da quest’ultimo con firma digitale valida (in deroga, questo, all’articolo 103-bis, disp. att. c.p.c., che richiederebbe la sottoscrizione in ogni sua pagina e l’autentica a cura del segretario comunale o del cancelliere di un ufficio giudiziario, a cui è equiparato il segretario della Corte di giustizia tributaria).

Può essere utile, per meglio comprendere alcuni dettagli della nuova prova a disposizione del difensore tributario, soffermarsi brevemente sul modello per la raccolta delle testimonianze, potendosi prevedere che quello di prossima predisposizione per il processo tributario non venga a differire sensibilmente da quello oggi utilizzabile per il rito civile, reperibile sul sito del Ministero della Giustizia. Il modulo in questione reca, ex articolo 103-bis disp. att. c.p.c.:

  • l’identificativo del numero di registro generale e quello del provvedimento (ordinanza) con cui il giudice ha ammesso la prova;
  • l’ammonimento ex articolo 251 c.p.c., anche sulle conseguenze penali del falso giuramento (articolo 372 c.p.: reclusione da 2 a 6 anni) e la formula di rito;
  • l’avviso circa la facoltà di astenersi;
  • le dichiarazioni da rendersi ex articolo 252 comma 1 c.p.c. (in tema di esistenza di rapporti di parentela, affinità, dipendenza con alcuna delle parti, oppure interesse nella causa);
  • il testo dei quesiti ammessi (in forma di capitoli di prova), a cui il teste deve rispondere in maniera specifica, indicando se è a conoscenza dei fatti in maniera diretta o indiretta;
  • lo spazio per la sottoscrizione del teste.

Collegandosi a quanto visto sopra, può allora emergere come, anche nel processo tributario, trovino piena applicazione istituti propri del processo civile (in applicazione del principio di cui all’articolo 1, comma 2, D.Lgs. 546/1992): come il tema dell’incapacità a testimoniare ex articolo 246 c.p.c., per cui non possono essere assunte, come testimoni, le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio, ossia un interesse ad agire o contraddire ex articolo 100 c.p.c. (si pensi all’interesse di un coobbligato in solido, per esempio in materia di imposta di registro).  Tale limitazione alla testimonianza non pare ravvisabile in capo al contribuente che sia eventualmente coinvolto in lite analoga, ma non connessa.

In ogni caso, non è applicabile al processo tributario la norma dell’articolo 247 c.p.c., che sancisce il divieto di testimoniare in capo al coniuge (anche separato), il parente o affine in linea retta: norma che, ormai, a seguito della dichiarazione della sua incostituzionalità (Corte Costituzionale n. 248/1974), trova residualissima applicazione anche in ambito civile (solo nelle cause riguardanti questioni di stato, di separazione personale, rapporti di famiglia).

Quanto poi al caso in cui il testimone tributario si avvalga della facoltà d’astensione di cui all’articolo 249 c.p.c. (segreto professionale, segreto d’ufficio, segreto di stato: articoli 200, 201 e 202 c.p.p.), egli avrà, comunque, l’obbligo di compilare il modello di testimonianza, indicando le complete generalità e i motivi di astensione. È da notare che non vi è spazio, nel rito tributario, per la facoltà di astensione ex articolo 199 c.p.p. dei “congiunti prossimi” ex articolo 307 c.p.: con la conseguenza che essi, come già visto, possono essere testi in ambito fiscale (se non titolari, a loro volta, di posizioni tributarie che idealmente potrebbero essere coinvolte nel processo). Nel ricordare, poi, che il teste, se non consegna la sua deposizione scritta entro i termini dati dal giudice, può essere condannato alla pena pecuniaria ex articolo 255, comma 1, c.p.c. (da 100 euro a 1000 euro), è bene da ultimo rimarcare il limite fissato dall’articolo 7, comma 4, citato, per cui, laddove la pretesa tributaria sia fondata su verbali o altri atti facenti fede fino a querela di falso, la prova per testi è ammessa soltanto su circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale. La precisazione della norma richiede di essere coordinata con la disciplina del concetto di pubblica fede ex articoli 2699 e 2700 cod. civ., che investe la sola attestazione, da parte del pubblico ufficiale, della veridicità dei fatti dal medesimo compiuti o che si sono svolti alla sua presenza. Se, allora, il PVC è atto pubblico che fa fede fino a querela di falso della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, le circostanze pur menzionate nel PVC, che non presentino le sopra dette caratteristiche, paiono suscettibili di essere oggetto di deposizione testimoniale.