25 Giugno 2021

Le prestazioni di servizi per essere connesse devono sfruttare il complesso aziendale

di Luigi Scappini
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L’Agenzia delle entrate, con la risposta a interpello n. 446 pubblicata ieri, torna a occuparsi di un tema delicato quale è quello delle attività connesse in agricoltura affrontando, in questo caso, il caso delle prestazioni di servizio.

Come noto, tra le novità introdotte con la riforma del 2001 vi è stata anche quella di prevedere, tra le c.d. attività connesse esercitabili da parte dell’imprenditore agricolo, anche le “attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata”.

Allineandosi a tale impostazione civilistica, il Legislatore fiscale ha introdotto l’articolo 56-bis Tuir, il cui comma 3 si occupa di definire il corretto trattamento fiscale di tali prestazioni connesse di servizi, stabilendo che “il reddito è determinato applicando all’ammontare dei corrispettivi delle operazioni registrate o soggette a registrazione agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto, conseguiti con tali attività, il coefficiente di redditività del 25 per cento”.

Tale regime, per effetto di quanto previsto dal successivo comma 4 dell’articolo 56-bis Tuir, si rende applicabile esclusivamente ai soggetti che per natura dichiarano un reddito fondiario e, quindi, ne sono escluse le società di capitali nonché quelle di persone (Snc e Sas) nonostante rivestano la qualifica di società agricole ex D.Lgs. 99/2004 e abbiano optato per la determinazione del reddito secondo le regole di cui all’articolo 32 Tuir.

In passato l’Agenzia delle entrate si è occupata più volte di tracciare i limiti di applicazione di una norma dai contorni a volte sfumati.

I requisiti richiesti ai fini della connessione, e quindi dell’azionamento della fictio iuris (bisogna sempre ricordare che le attività connesse nascono come commerciali e solamente al rispetto di determinati requisiti si considerano connesse) sono, da un lato, quello soggettivo, essendo necessario che chi esercita l’attività sia già imprenditore agricolo in quanto svolgente una delle 3 attività agricole ex se e oggettivo, essendo richiesto l’utilizzo prevalente di risorse aziendali.

Sul requisito oggettivo, la circolare 44/E/2004 ha avuto modo di precisare che, per poter accedere al regime di determinazione del reddito forfettario delineato dall’articolo 56-bis, comma 3, Tuir richiamato, è necessario “… che vengano prevalentemente utilizzate attrezzature normalmente impiegate nell’attività principale rispetto ad attrezzature che sono impiegate solo nell’attività di servizi per conto terzi”.

Nel caso oggetto di interpello, un imprenditore agricolo che svolge principalmente attività di allevamento di animali (nello specifico bovini), oltre a tale attività principale, per altri allevatori, procede a una valutazione di eventuali capi da acquistare, con la precisazione che non entra nel merito della contrattazione economica del prezzo.

Per tale attività svolta riceve un compenso che, generalmente, non viene erogato da parte dell’allevatore, bensì da parte del venditore del bestiame.

Tale attività, inoltre, risulta secondaria e marginale rispetto all’attività agricola principale e, i compensi, che generalmente sono erogati da parte del venditore/fornitore dei bovini, non sono mai prevalenti rispetto al volume d’affari derivante dall’attività di allevamento di bestiame.

L’Agenzia delle entrate in questo caso, sebbene siano rispettati i parametri della relatività dell’attività rispetto a quella principale nega l’applicabilità della tassazione forfettizzata.

Punto di partenza a supporto del diniego è l’analisi del concetto di risorse dell’azienda normalmente utilizzate nell’attività agricola svolta che sono rappresentateda tutti gli elementi materiali e immateriali necessari al conseguimento dell’obiettivo aziendale. Sono quindi risorse, ad esempio, i terreni, i fabbricati, le attrezzature, il personale, il capitale, il know-how, ecc.”.

Nel caso di specie, a parere dell’Agenzia delle entrate, la prestazione resa dall’imprenditore agricolo, che si ricorda consiste nell’analisi, valutazione e selezione di bovini per conto terzi, nonrichiede l’impiego di risorsa aziendale … ma risulta funzionale ad acquisire uno dei fattori produttivi dell’impresa agricola (propria o di terzi)”.

L’Agenzia delle entrate prosegue affermando che in questo caso non vi è uno sfruttamento di “una propria risorsa aziendale rappresentata dalle conoscenze tecniche acquisite per fornire un servizio ad altri allevatori a fronte dei quali percepisce un compenso dagli stessi, diversamente, svolge un’attività che appare una intermediazione a favore del fornitore di bovini, dal quale riceve il compenso, proponendo ad allevatori terzi i capi di bestiame dallo stesso commercializzati”.

La questione, a parere di chi scrive, deve essere risolta a monte, avendo a mente il significato da dare alle prestazioni di servizi connesse che hanno quale scopo l’ottimizzazione della struttura aziendale.

Per potersi manifestare un’attività connessa è il complesso aziendale che deve essere sfruttato e non la singola conoscenza dell’imprenditore o di un suo dipendente/collaboratore.

In tal senso, ad esempio, la molitura delle olive per conto terzi sicuramente, al rispetto dei requisiti soggettivi e oggettivi richiesti, si potrà considerare attività connessa di servizi ed essere eventualmente tassata forfettariamente ai sensi dell’articolo 56-bis, comma 3, Tuir.

Al contrario, il semplice utilizzo di una persona non potrà considerarsi tale e, a supporto di tale impostazione depone lo stesso dato letterale del comma 3 dell’articolo 2135 cod. civ., che parla di “prestazioni di servizi” e non di manodopera.