26 Settembre 2013

Finanziamenti infruttiferi banditi dal transfer price

di Ennio VialVita Pozzi
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La recentissima sentenza della Corte di Cassazione (sentenza n. 22010 del 25 settembre 2013) analizza lo spinoso tema del transfer pricing in presenza di finanziamenti infragruppo.
Il caso analizzato dalla Corte è il seguente: l’Agenzia delle Entrate emette un avviso di accertamento nei confronti della società SC S.p.a. e recupera a tassazione, ai fini IRES, gli interessi passivi su un finanziamento erogato dalla capogruppo tedesca. L’Amministrazione finanziaria ritiene che il tasso di interesse applicato nell’operazione infragruppo fosse notevolmente superiore a quello mediamente praticato nel mercato tedesco con il chiaro obiettivo di erodere la base imponibile italiana.
Il contribuente impugnava l’avviso di accertamento; la CTP di Milano accoglieva il ricorso. L’appello dell’Agenzia delle Entrate veniva accolto dalla CTR Lombardia. Il contribuente proponeva ricorso in cassazione denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 110 co. 7 del Tuir.
Come noto, il citato articolo stabilisce che “i componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti.”
In sostanza, le operazioni infragruppo devono avvenire a valori di mercato come se intercossero tra soggetti indipendenti; la norma vuole contrastare comportamenti “elusivi” dei contribuenti volti a “spostare” materia imponibile verso soggetti del gruppo con una imposizione fiscale inferiore.
La Corte rigetta il ricorso.
La sentenza risulta interessante in quanto contesta implicitamente l’erroneo comportamento talora invalso nella prassi di erogare finanziamenti infruttiferi alle società controllate estere.
Tale prassi appare sicuramente inappropriata in quanto, il mutuo si configura come una prestazione di servizi il cui prezzo di mercato – rappresentato dal tasso di interesse – deve rispettare il valore normale che non può essere pari a zero. La sentenza, pertanto, rappresenta un monito anche di fronte alla più frequente situazione in cui la società italiana non è debitrice ma erogatrice del mutuo. In questo caso, specularmente simmetrico a quello della sentenza, l’Agenzia delle entrate pretenderà un’adeguata remunerazione dell’apporto che costituisce base imponibile in capo alla società residente.
La C.M. 32 del 22 settembre 1980 ha chiarito che anche in materia di finanziamenti deve essere osservato il principio del prezzo di libera concorrenza.
Si propone proprio il caso di un finanziamento concesso dalla controllante estera A alla sua affiliata italiana B. Secondo l’Agenzia, relativamente ai finanziamenti, il mercato “rilevante” è quello del mutuante per cui si dovrà valutare il saggio di interesse corrente nello Stato di residenza della controllante che sarà considerato come campione per la determinazione del saggio “normale”.
Tale approccio si giustifica col fatto che generalmente è il mutuatario che si rivolge al mercato del mutuante e non viceversa, e le condizioni di un prestito non variano in relazione al cambiamento del mutuatario. In determinate fattispecie ci si potrà discostare dal riferimento al mercato del mutuante qualora sia provato il ricorso, da parte della società finanziatrice, ad un mercato diverso da quello di residenza per ottenere i fondi successivamente erogati alla controllata.
Seguendo tale approccio, nella sentenza in esame, l’Amministrazione finanziaria prende come riferimento i bollettini ufficiali della Bundesbank tedesca e rileva come il tasso di interesse applicato alla società italiana sia superiore con l’evidente scopo di accrescere gli utili della capogruppo tedesca diminuendo i redditi della società italiana.
Nella sentenza si richiama inoltre l’art. 9 del Modello OCSE secondo il quale “quando le condizioni convenute .. tra le due imprese .. sono diverse da quelle che sarebbero state convenute tra imprese indipendenti, gli utili che in mancanza di tali condizioni sarebbero stati realizzati da una delle due imprese, ma che a causa di dette condizioni non lo sono stati, possono essere inclusi negli utili di questa impresa, e tassati di conseguenza”.
In realtà, il riferimento corretto sarebbe stato all’art. 9 della Convezione tra l’Italia e la Germania che prevede peraltro, nel protocollo, che se uno stato contraente procede ad una rettifica degli utili di un’impresa in conformità all’articolo 9, l’altro Stato procede ad una rettifica degli utili dell’impresa dell’altro stato contraente. Di conseguenza, la Germania dovrebbe a seguito della rettifica al reddito italiano ridurre la base imponibile della controllante.