24 Ottobre 2023

Sono utilizzabili fiscalmente gli elementi raccolti dalla Gdf senza il rispetto delle garanzie penali

di Gianfranco Antico
Scarica in PDF
La scheda di FISCOPRATICO

L’articolo 220, disp.att., c.p.p., dispone che: “Quando nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergono indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale sono compiuti con l’osservanza delle disposizioni del codice”.

La norma sembra affermare che – solamente alla ricorrenza di indizi di reato – i funzionari fiscali devono assicurare il rispetto delle garanzie contemplate dal codice di procedura penale per raccogliere gli elementi utiliper l’applicazione della legge penale”. In mancanza, gli elementi raccolti non potrebbero essere utilizzati, cadendo sotto la scure della “inutilizzabilità” prevista dall’articolo 191 c.p.p.; norma che, però, non trova una copia conforme nell’ordinamento tributario.

Sul punto, la GdF, con la circolare n. 1/2018, ha affermato che, se durante le attività ispettive (non soltanto di natura fiscale) siano acquisite risultanze tali da configurare, quanto meno nei principali elementi costitutivi di carattere materiale, “ una violazione tributaria penalmente rilevante – e, dunque, non già semplici indizi di reato – gli operanti, alla luce delle qualifiche di polizia giudiziaria dagli stessi rivestite, devono provvedere senza ritardo ad informare il Pubblico Ministero competente, a norma dell’art. 347 c.p.p.; analogo obbligo è previsto dall’art. 331 c.p.p. per i pubblici ufficiali che, nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o servizio, abbiano notizia di un reato perseguibile d’ufficio”.

La giurisprudenza dominante ritiene di poter confinare tale principio al solo ambito penale, al di fuori del quale non varrebbero più le garanzie previste dal C.p.p. e le preclusioni processuali in esso contemplate.

In questo contesto registriamo l’interessante pronuncia della Corte di Cassazione (sentenza n. 1506/2019) ove è stato affermato chela natura degli atti di verifica fiscale redatti dal personale della Agenzia delle entrate è tipicamente amministrativa, di tal che il loro svolgimento non richiede l’adempimento dell’obbligo da parte degli accertatori di avvisare il soggetto sottoposto a controllo della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia (Corte di cassazione, Sezione III penale, 23 febbraio 2015, n. 7930), ciò tanto più ove, come nel caso di specie, gli indizi di reità che avrebbero dovuto allertare i funzionari accertatori sarebbero costituiti, secondo quanto riportato dalla parte ricorrente, solo dal fatto che il C. non avrebbe risposto ai questionari informativi a lui trasmessi dalla Agenzia in discorso”. Inoltre, gli elementi di reità a carico dell’imputato sono emersi “solo in occasione delle verifiche eseguite in ambito diverso rispetto alla sede della impresa gestita dal prevenuto”. Detta sentenza, quindi, libererebbe i funzionari dell’Agenzia delle entrate dall’obbligo di avvisare il soggetto sottoposto a controllo della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, in quanto attività tipicamente amministrativa.

Mentre il Collegio di Cassazione, con l’ordinanza n. 41939/2019, richiamando una precedente pronuncia giurisprudenziale (sentenza n. 1969/1997) ha affermato che, “in materia di accertamento dei reati tributari, il processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza o da funzionari degli uffici finanziari è un atto amministrativo extraprocessuale come tale acquisibile ed utilizzabile ex art. 234 cod. proc. pen. nel suo vario contenuto, senza necessità di dover richiamare normative affini o analoghe del codice di rito stabilite per specifici mezzi di prova: tuttavia, qualora emergano indizi di reato, occorre procedere secondo le modalità prescritte dall’art.220 norme di coordinamento cod. proc. pen., giacché, altrimenti, la parte del documento redatta dopo tale momento non può assumere efficacia probatoria e, quindi, non è utilizzabile)”. Nel caso di specie, osserva la Corte, “i ricorrenti non avevano specificato i motivi di applicazione del citato art.220 ….e soprattutto non avevano indicato le circostanze acquisite dalle dichiarazioni rese ai finanzieri senza le garanzie di legge e quindi inutilizzabili”.

E ancora gli Ermellini, con la sentenza n. 20358/2020, tornando ad occuparsi della problematica legata all’utilizzabilità degli elementi raccolti in sede penale, hanno ribadito che “la giurisprudenza di legittimità è orientata a mantenere una netta differenziazione fra processo penale e processo tributario, secondo un principio “che impone l’obbligo del rispetto delle disposizioni del codice di procedura penale, quando nel corso di attività ispettive emergano indizi di reato, ma soltanto ai fini della “applicazione della legge penale (Cassazione n. 22984/2010, Cassazione n. 22985/2010, Cassazione n. 22986/2010, Cassazione n. 13121/2012, Cassazione n. 8605/2015). Si riconosce quindi, generalmente, che “...non qualsiasi irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale comporta, di per sé, la inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso ed esclusi, ovviamente, i casi in cui viene in discussione la tutela dei diritti fondamentali di rango costituzionale (quali l’inviolabilità della libertà personale, del domicilio, ecc.).

E da ultimo, la Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9555/2023, ha confermato che gli elementi raccolti a carico del contribuente dalla Gdf, senza il rispetto delle formalità delle garanzie difensive, specificamente prescritte per il procedimento penale, pur essendo inutilizzabili in tale sede ai sensi dell’articolo 191 c.p.p., sono pienamente utilizzabili nel procedimento di accertamento fiscale, stante l’autonomia del procedimento penale rispetto a quello di accertamento tributario, nonché l’assenza di una specifica previsione in tal senso, esclusi i casi in cui venga in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale. Tale conclusione discende dal principio secondo cui in sede di accertamento tributario “può essere valorizzato qualsiasi elemento che abbia valore indiziario, ancorché acquisito in modo irrituale.