11 Aprile 2024

Legittimo il sequestro del conto acceso dopo la commissione del reato

di Luigi Ferrajoli
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La scheda di FISCOPRATICO

Secondo quanto affermato dalla Corte di cassazione, Terza Sezione Penale, nella recente sentenza n. 6576/2024, è legittimo il decreto di sequestro preventivo, ai fini di confisca delle somme di denaro rinvenute sul conto corrente intestato ad una persona giuridica, benché aperto in epoca successiva alla commissione di un reato.

Nel caso di specie, in ipotesi di contestazione ex articolo 10 quater, D.Lgs. 74/2000, il Tribunale aveva rigettato l’appello cautelare promosso nell’interesse di una società nei cui confronti era stato disposto il sequestro finalizzato alla confisca diretta del denaro presente sui conti correnti bancari riferibili alla medesima eccedenti il saldo dei conti stessi alla data delle ultime indebite compensazioni oggetto di addebito, ovvero rintracciato su un rapporto bancario acceso in epoca successiva a tale momento.

In presenza di giurisprudenza non univoca sul punto, il Tribunale aveva aderito alla tesi che vede nella confisca ex articolo 12 bis, D.Lgs. 74/2000, natura di “confisca diretta”, perché le somme di denaro costituiscono comunque un profitto del reato, risolvendosi il risparmio di spesa, conseguente all’omesso versamento delle imposte, in un vantaggio per il suo autore.

Avverso tale decisione veniva proposto ricorso di legittimità, contenente l’argomento secondo cui le somme rinvenute su un conto corrente acceso dopo la commissione del reato non potevano essere intese come “risparmiate” e nemmeno oggetto di confisca diretta, ma, al più, per equivalente. Diversamente ragionando, verrebbero legittimate forme di confisca su somme che non sono il profitto diretto dell’illecito, con conseguente violazione della richiamata norma, di cui all’articolo 12 bis, D.Lgs. 74/2000.

La Suprema Corte ha ritenuto infondato il ricorso, sottolineando innanzitutto come il profitto del reato sia configurabile anche in termini di risparmio di spesa, in particolare con riguardo ai reati tributari.

Come infatti affermato dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 18374/2013, in tema di illeciti di natura penal-tributaria, il profitto confiscabile è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, pertanto, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, degli interessi e delle sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario.

Tale principio non è mai stato oggetto di alcun ripensamento, per cui il risparmio di spesa è una utilità idonea a integrare il profitto del reato, in linea generale, in relazione a tutte le fattispecie penali e non solo con riferimento a quelle di diritto penale tributario.

In tema di ammissibilità della confisca diretta delle somme di denaro rinvenute nella disponibilità di una persona giuridica, quale profitto del reato commesso a suo vantaggio dai suoi rappresentanti, il dibattito giurisprudenziale è stato risolto dalla sentenza delle Sezioni Unite (Cassazione n. 10561/2014), secondo cui “è legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto rimasto nella disponibilità di una persona giuridica, derivante dal reato tributario commesso dal suo legale rappresentante, non potendo considerarsi l’ente una persona estranea al detto reato”.

L’ente che trae profitto dall’altrui condotta illecita non può, dunque, mai essere considerato quale “terzo estraneo” al reato, come nel tempo confermato dalla giurisprudenza di legittimità.

Per quanto concerne, invece, la possibilità di sottoporre le somme di denaro a confisca diretta sempre e comunque, è intervenuta una nuova pronuncia delle Sezioni Unite (Cassazione n. 42415/2021), che ha statuito il seguente principio di diritto: “la confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, comunque rinvenuto nel patrimonio dell’autore della condotta, e che rappresenti l’effettivo accrescimento patrimoniale monetario conseguito, va sempre qualificata come diretta, e non per equivalente, in considerazione della natura fungibile del bene, con la conseguenza che non è ostativa alla sua adozione l’allegazione e la prova dell’origine lecita della specifica somma di denaro oggetto di apprensione”.

Detto principio, di portata generale, si applica anche ai reati tributari, ovvero in tutti i casi in cui il profitto consista in un risparmio di spesa, senza alcuna distinzione tra profitto costituito da “accrescimento patrimoniale” e profitto integrato da “risparmio di spesa”. Peraltro, alla luce del dato testuale dell’articolo 12 bis, D.Lgs. 74/2000, appare che il Legislatore, pur statuendo per reati in relazione ai quali il profitto è generalmente determinato da “risparmio di spesa”, abbia previsto come misura ordinaria proprio la confisca diretta.