6 Maggio 2020

Ricavi, fatturato, volume d’affari: alla ricerca di certezze nell’Italia delle complicazioni

di Alberto RocchiLuigi Scappini
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La scheda di FISCOPRATICO

In claris non fit interpretatio”: l’antico invito rivolto a tutti i giuristi a evitare di speculare sul testo normativo quando questo non presenta ambiguità, è sempre più difficile da rispettare. In un mondo in cui ci si prospetta la triste eventualità di interrogarci su chi siano i nostri “congiunti”, anche le nostre certezze più solide, quelle acquisite in anni di professione e di (insane) letture di norme tributarie, vacillano sotto i colpi di un Legislatore sempre più ipertrofico che adopera il nostro lessico quotidiano e professionale in modo quanto meno ambiguo.

Non vogliamo fare della facile ironia e ci rendiamo conto che, in momenti di emergenza, può accadere che il testo ufficiale dei provvedimenti normativi, risultato di una serie di aggiustamenti progressivi, frutto a loro volta dei compromessi tra i vari interessi in gioco, contenga termini messi lì all’ultimo momento o finiti non proprio al posto giusto.

Tuttavia, le parole un significato ce l’hanno e da questo occorre partire, se vogliamo che le leggi abbiano un senso.

Il Decreto Liquidità contiene la parola “fatturato” sia con riferimento alle garanzie e all’ammontare dei finanziamenti da concedere alle imprese, sia nella norma destinata a regolamentare la sospensione dei versamenti tributari per i mesi di aprile e maggio.

Che cosa si intende con questo termine? Se si consultano i vari dizionari economici (Garzanti, per esempio), la definizione è “volume delle vendite che un’impresa realizza in un anno, indicatore della dimensione dell’azienda”. Ancora più rigorosa la definizione contenuta nel dizionario pratico dei termini tributari che, ormai qualche anno fa, l’Agenzia delle Entrate diramò per precisare il significato di alcune parole. Alla voce “fatturato”, troviamo la seguente descrizione: “Ammontare delle vendite e delle prestazioni di servizi realizzato in un anno da un’impresa. Detto anche volume d’affari, il F. costituisce un elemento per determinare la dimensione aziendale ed eventualmente – quando non supera un dato ammontare – per far scattare il diritto a particolari facilitazioni fiscali”.

Apprendiamo dunque che la parola fatturato, in ambito fiscale, sarebbe sinonimo dell’espressione “volume d’affari” che, come sappiamo, corrisponde a un preciso dato esposto nel Modello Iva annuale: quello contenuto nel rigo VE50, dove viene indicato l’ammontare delle vendite annue con emissione di fattura, comprese quelle non imponibili o esenti, al netto della relativa imposta.

Pertanto, quando la norma fa riferimento a questa grandezza, il dato da assumere dovrebbe essere quello desumibile dalla dichiarazione annuale Iva al citato rigo VE50. Tuttavia, allorquando, nell’articolo18 del Decreto Liquidità, il beneficio della sospensione dei termini di versamento dei tributi, viene subordinato alla riduzione di fatturato di almeno il 33% nei mesi di marzo e aprile rispetto allo stesso mese del precedente periodo d’imposta, il dato viene richiesto su base infrannuale: dunque, non si può prendere quello della dichiarazione.

Ancora meno puntuale sembra essere l’articolo1, comma 2 il quale stabilisce che l’importo del prestito assistito da garanzia non può superare il maggiore tra i seguenti due elementi:

  • 25% del “fatturato” annuo dell’impresa relativo al 2019 come risultante dal bilancio ovvero dalla dichiarazione fiscale;
  • il doppio dei costi del personale dell’impresa relativi al 2019.

Il dubbio nasce dal fatto che il dato del “fatturato” viene associato al bilancio dove, di norma, esso non trova spazio espositivo se non tra i dati statistici che, eventualmente ma molto di rado, possono essere riportati nella Nota integrativa o nella Relazione sulla gestione.

Naturalmente, questo non ci autorizza a dare alla parola un’accezione diversa da quella che (forse) il Legislatore aveva in mente, volendo presumibilmente riferirsi ai ricavi: sarebbe infatti inaccettabile che lo stesso termine di “fatturato”, peraltro tecnico, possa avere un significato diverso all’interno di un medesimo atto normativo.

D’altra parte, l’equivoco riferimento al bilancio, è facilmente superabile dal richiamo alternativo alla dichiarazione fiscale: un concetto ampio che ben comprende anche il Modello Iva.

Dunque alle banche, perché possano fare le proprie valutazioni, va riportato il dato del volume d’affari, anche quando questo potrebbe alterare la capacità rappresentativa dell’andamento aziendale. Le fatture emesse infatti possono non coincidere con i ricavi, soprattutto in settori dove si verificano sensibili disallineamenti temporali tra il momento della rilevazione del ricavo e quello di emissione del documento Iva.

Eppure, esaminando il Modulo richiesta agevolazione (Allegato 4) per finanziamenti oltre 25mila euro, al punto 16 della scheda 1, a dimostrazione del rispetto del limite di “fatturato” richiesto dalla norma, fa riferimento ai seguenti documenti:

  • bilancio depositato in CCIAA,
  • dichiarazione dei redditi trasmessa all’Agenzia delle Entrate

ovvero, qualora i precedenti non fossero ancora disponibili,

  • bilancio approvato, ma non ancora depositato in CCIAA,
  • dichiarazione dei redditi con dichiarazione di impegno alla trasmissione da parte del soggetto a cui è stato conferito l’incarico per la predisposizione della dichiarazione, ma non ancora trasmessa all’Agenzia delle entrate,

come se a dover essere certificati fossero i ricavi.

Ma la norma parla di fatturato. Sarebbe quindi corretto indicare questo dato portando, a supporto, la dichiarazione Iva ultima presentata.

Curiosamente invece, l’articolo 13, comma 1, lett. m), che prevede il finanziamento fino a 25 mila euro con copertura integrale di garanzia statale, parla di importi nei limiti del “25% dell’ammontare dei “ricavi” del soggetto beneficiario come risultante dall’ultimo bilancio depositato o dall’ultima dichiarazione fiscale presentata alla data della domanda”. Qui l’intento del Legislatore di riferirsi ai corrispettivi per la cessione di beni o prestazioni di servizi effettuate nell’attività d’impresa, è corroborato sia dal richiamo al bilancio depositato, sia dalla precisazione sull’“ultima dichiarazione fiscale presentata alla data della domanda”. È dunque inevitabile concludere che, ai fini di questa norma, si debbano considerare i ricavi così come risultanti dal bilancio o, in mancanza, dal Modello Redditi variamente declinato a seconda della forma giuridica dell’impresa, a nulla rilevando invece il concetto di “volume d’affari”.

Se c’è un motivo perché l’estensore della norma abbia usato una volta la parola “fatturato” e un’altra “ricavi”, non è un problema dell’interprete.

Proviamo a questo punto a dirimere un altro problema.

Sempre la norma che dispone la sospensione dei versamenti fiscali, ai fini del calcolo della riduzione di operatività di almeno il 33% nei mesi di marzo e aprile 2020 che condiziona l’accesso all’agevolazione, impone di conteggiare il “fatturato o i corrispettivi”. L’Agenzia delle entrate, con circolare 9/E/2020, ha precisato che: “il calcolo del fatturato e dei corrispettivi relativi, rispettivamente, ai mesi di marzo e aprile del 2019 e del 2020, da confrontare al fine di verificare la riduzione percentuale disposta dall’articolo 18 del Decreto, va eseguito prendendo a riferimento le operazioni eseguite nei mesi di marzo ed aprile e fatturate o certificate, e che, conseguentemente, hanno partecipato alla liquidazione periodica del mese di marzo 2019 (rispetto a marzo 2020) e del mese di aprile 2019 (rispetto ad aprile 2020), cui vanno sommati i corrispettivi relativi alle operazioni effettuate in detti mesi non rilevanti ai fini Iva”.

Ed ancora: “la data da prendere a riferimento è quella di effettuazione dell’operazione che, per le fatture immediate e i corrispettivi, è rispettivamente la data della fattura (nel caso di fattura elettronica il campo 2.1.1.3 ) e la data del corrispettivo giornaliero, mentre per la fattura differita è la data dei DDT o dei documenti equipollenti richiamati in fattura (nel caso di fattura elettronica il campo 2.1.8.2 ).Ad esempio, nel calcolo dell’ammontare del fatturato del mese di marzo 2020 e 2019, rilevante per il controllo del requisito della riduzione, andranno escluse le fatture differite emesse nei citati mesi (entro il giorno 15) relative ad operazioni effettuate nel corso dei mesi di febbraio 2020 e 2019, mentre andranno incluse le fatture differite di marzo 2020 e 2019 emesse entro il 15 aprile 2020 e 2019”.

Si tratta di un’approssimazione accettabile, in quanto il concetto di fatturato, quando declinato in ambiente infrannuale, non trova una sponda oggettiva in un dato dichiarativo. Per questo la circolare fa riferimento al concetto di operazioni per data di effettuazione. Il dato è sempre al netto dell’Iva ma, a questo punto, stando alle indicazioni della circolare, comprensivo delle operazioni che non rientrano nel concetto di volume d’affari “da dichiarazione Iva”: cessioni di beni ammortizzabili e passaggi interni.

A tal proposito, il medesimo documento interpretativo chiarisce che, nel caso in cui l’impresa abbia conseguito sia corrispettivi che fatture, il confronto deve essere eseguito sulla somma dei due elementi.

Ma i corrispettivi comprendono l’Iva oppure vanno assunti al netto dell’imposta? C’è nella normativa una definizione di corrispettivo?

Il sopra citato dizionario dell’Agenzia delle Entrate, li definisce come: “Somma pagata per l’acquisto di un bene o di un servizio. Può comprendere l’imposta sul valore aggiunto (Iva) che viene addebitata all’acquirente a titolo di rivalsa”.

Quindi, anche se nel linguaggio corrente, nelle imprese che operano al dettaglio, l’espressione “corrispettivi” viene comunemente riferita agli importi indicati sul relativo registro, dove vengono conteggiati al lordo dell’Iva, appare più corretto assumere il dato, ai fini dell’applicazione della norma, al netto dell’imposta: una soluzione che sembrerebbe più armonica con gli intenti del legislatore. D’altro canto, lo scorporo dell’Iva dal corrispettivo lordo, è operazione richiesta dalla normativa Iva e desumibile dagli obblighi contabili che ogni impresa è tenuta ad assolvere per la liquidazione di questa imposta.