7 Febbraio 2018

Registro di carico e scarico: valenza formale o sostanziale?

di Marco Peirolo
Scarica in PDF

Le modifiche approvate dalla Commissione europea in merito agli accordi di “call-off stock” consentono di fare alcune considerazioni sulla valenza dell’obbligo di tenuta del registro di magazzino previsto dall’articolo 50, comma 5, D.L. 331/1993 per le movimentazione dei beni con causale non traslativa della proprietà.

In un precedente intervento (Semplificazioni in vista per gli accordi di “call-off stock”) è stato evidenziato che la Commissione UE ha approvato una proposta di Direttiva con l’intenzione di generalizzare la semplificazione attualmente prevista da alcuni Stati membri UE per i suddetti accordi, diretta ad escludere l’obbligo del fornitore di identificarsi ai fini dell’Iva nello Stato membro del cliente.

A tal fine, la qualifica dell’operazione come una cessione intraunionale nello Stato di origine, con applicazione dell’Iva nello Stato di destinazione al momento del prelievo dei beni dal deposito, presuppone non solo che le controparti siano “soggetti passivi certificati”, ma anche – ai sensi del nuovo articolo 17-bis, par. 2, lett. d), Direttiva n. 2006/112/CE – che “il soggetto passivo certificato che spedisce o trasporta i beni ha registrato la spedizione o il trasporto nel registro di cui all’articolo 243, paragrafo 3, e ha inserito nell’elenco riepilogativo di cui all’articolo 262 l’identità del soggetto passivo certificato acquirente dei beni e il numero di identificazione IVA attribuitogli dallo Stato membro verso cui i beni sono spediti o trasportati”.

Riguardo al registro di cui sopra, il nuovo par. 3 dell’articolo 243 della Direttiva prevede che “il soggetto passivo certificato che trasferisce beni nell’ambito del regime di call-off stock di cui all’articolo 17 bis tiene un registro” con i dati relativi, da un lato, ai “beni spediti o trasportati verso un altro Stato membro e l’indirizzo del luogo in cui sono immagazzinati in tale Stato membro” e, dall’altro, ai “beni ceduti in una fase successiva e dopo il loro arrivo nello Stato membro” del cliente. La norma aggiunge che anche “il soggetto passivo certificato destinatario di una cessione di beni nell’ambito del regime di call-off stock di cui all’articolo 17 bis tiene un registro di tali beni”.

Dal lato del fornitore, quindi, la natura intraunionale del trasferimento, con effetti ai fini Iva sospesi sino al momento del prelievo dei beni da parte del cliente, opera a condizione, tra l’altro, che il fornitore abbia istituito il registro di magazzino ed è lecito ritenere che tale adempimento, in linea con lo spirito della rinnovata disciplina, assuma rilevanza sostanziale, anziché soltanto formale.

Per le restanti fattispecie contemplate dall’articolo 243 Direttiva n. 2006/112/CE, invece, la norma non è stata modificata ed essa prevede, al par. 1, che “ogni soggetto passivo tiene un registro dei beni spediti o trasportati da lui stesso o per suo conto fuori dal territorio dello Stato membro di partenza, ma nella Comunità, ai fini delle operazioni consistenti in perizie o lavori riguardanti tali beni o nella loro utilizzazione temporanea, di cui all’articolo 17, paragrafo 2, lettere f), g) e h)”.

Per tali operazioni, però, l’articolo 17 della Direttiva non richiede, come condizione della sospensione, che le controparti debbano tenere il predetto registro di carico e scarico, sicché – nella prospettiva nazionale – risulta legittimo dubitare che l’effetto sospensivo previsto dall’articolo 39, comma 1, D.L. 331/1993 sia davvero subordinato alla tenuta del registro in esame.

Tale disposizione così recita: “Le cessioni intracomunitarie e gli acquisti intracomunitari di beni si considerano effettuati all’atto dell’inizio del trasporto o della spedizione al cessionario o a terzi per suo conto, rispettivamente dal territorio dello Stato o dal territorio dello Stato membro di provenienza. Tuttavia se gli effetti traslativi o costitutivi si producono in un momento successivo alla consegna, le operazioni si considerano effettuate nel momento in cui si producono tali effetti e comunque dopo il decorso di un anno dalla consegna. Parimenti nel caso di beni trasferiti in dipendenza di contratti estimatori e simili, l’operazione si considera effettuata all’atto della loro rivendita a terzi o del prelievo da parte del ricevente ovvero, se i beni non sono restituiti anteriormente, alla scadenza del termine pattuito dalle parti e in ogni caso dopo il decorso di un anno dal ricevimento. Le disposizioni di cui al secondo e al terzo periodo operano a condizione che siano osservati gli adempimenti di cui all’articolo 50, comma 5”.

A sua volta, quest’ultima disposizione stabilisce che “i movimenti relativi a beni spediti in altro Stato della Comunità economica europea o da questo provenienti in base ad uno dei titoli non traslativi di cui all’articolo 38, comma 5, lettera a), devono essere annotati in apposito registro, tenuto e conservato a norma dell’articolo 39 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633”.

Alla luce della modifica proposta dalla Direttiva si desume, pertanto, che per il “call-off stock”, considerato simile al contratto estimatorio, la condizione prevista dall’articolo 39, comma 1, D.L. 331/1993 non riveste attualmente rilevanza sostanziale, ma la stessa conclusione vale, in via generale, per le ulteriori ipotesi di trasferimento intraunionale di beni a titolo non traslativo della proprietà, diverse ovviamente da quelle che la normativa – sia interna che “euro-unionale” – considera assimilate alle operazioni detassate all’origine in quanto imponibili a destinazione.

Le considerazioni che precedono sono avvalorate dalle indicazioni offerte dalla giurisprudenza, sia di merito che di legittimità.

È stato osservato che la finalità sottesa all’istituzione del registro di magazzino non è, in via principale, quella di individuare uno strumento idoneo a vincere le presunzioni di cessione e di acquisto, quanto, piuttosto, quella di fornire un valido supporto per controllare i movimenti di beni nell’ambito del territorio dell’Unione, soprattutto a seguito della caduta delle barriere doganali (C.T.P. di Cuneo, 8 novembre 2012, n. 145/2/12).

Di conseguenza, il regime sospensivo connesso alla movimentazione intraunionale non viene meno se il contribuente è in grado di dimostrare il titolo non traslativo della proprietà, per esempio esibendo l’ordine di lavorazione e la fattura emessa nei confronti del committente comunitario recante lo stesso numero d’ordine.

Secondo questa impostazione, la violazione dell’obbligo di tenuta del registro comporta la sola irrogazione della sanzione amministrativa di cui all’articolo 9, commi 1 e 3, D.Lgs. 471/1997 (da euro 1.000 a euro 8.000, ridotta fino alla metà del minimo qualora le irregolarità rilevate siano di scarsa rilevanza, sempreché non ne sia derivato ostacolo all’accertamento delle imposte dovute), ma non anche la riqualificazione dell’operazione come trasferimento a “se stessi”.

Questa conclusione è stata confermata, più recentemente, dalla Corte di Cassazione.

Con la sentenza n. 26003 del 10.12.2014, è stato innanzi tutto osservato che l’articolo 50 D.L. 331/1993 prevede gli obblighi formali connessi agli scambi intracomunitari ed opera su un piano diverso da quello dell’identificazione dei presupposti di fatto della fattispecie di non imponibilità, limitandosi a prevedere gli adempimenti formali volti ad agevolare il successivo controllo da parte degli Uffici finanziari e ad evitare atti elusivi o di natura fraudolenta (Cassazione n. 20575 del 07.10.2011).

Come affermato dagli stessi giudici di legittimità a proposito dell’omessa indicazione in fattura del codice identificativo del cessionario intracomunitario, un conto è l’irregolarità formale della fattura emessa, con tutte le conseguenze che ne derivano sul piano sanzionatorio, altro è invece pretendere che le operazioni per loro natura non imponibili diventino imponibili in dipendenza di una mera irregolarità formale, senza peraltro che tale effetto sia espressamente previsto dalla normativa (Cassazione, n. 12455 del 28.05.2007).

Nella sentenza n. 26003/2014, si afferma che le medesime considerazioni possono essere estese all’annotazione nel registro di cui all’articolo 50, comma 5, D.L. 331/1993, il quale acquista, in questa prospettiva, una valenza esclusivamente formale.

 

Casi pratici di Iva con l’estero