13 Marzo 2024

L’indetraibilità specifica degli immobili “abitativi” tra lo zelo accertatore e le nebbie della riforma

di Stefano Chirichigno
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La scheda di FISCOPRATICO

L’elenco di esclusioni o riduzioni della detrazione per determinate tipologie di beni e servizi, raccolto in un unico articolo del D.P.R. 633/1972 dalla non proprio felice numerazione 19-bis1, nella logica della Riforma Iva (la R maiuscola è voluta) del 1997 doveva essere indicativo dell’inderogabilità da un lato, ma anche eccezionalità di nove ipotesi in cui il legislatore, con intento di semplificazione dell’azione di accertamento, giudicava a priori e, se del caso, pre-quantificava l’inerenza dell’acquisto rispetto ad una probabile, se non certa, riferibilità anche alla sfera privata del soggetto.

Dalle auto e imbarcazioni, al trasporto di persone, agli alimenti e bevande, fino alla rappresentanza, per concludere con gli immobili abitativi, il fil rouge è evidente e chiaramente declinato dalla Relazione governativa dell’epoca. In effetti, in tanti anni di insolita stabilità normativa, ben poche sono state le contestazioni sulla ragionevolezza di tale scelta. Come tutte le forfetizzazioni sul piatto della bilancia, si vanno a confrontare i vantaggi (in termini di semplificazioni), con i casi in cui si determina un risultato “ingiusto”, ma è veramente difficile dire che senza l’articolo 19-bis1 avremmo vissuto in un mondo più equo.

Anche l’ultima e più rilevante delle esclusioni, la lettera i) dedicata agli immobili abitativi, non si può certo dire che sia priva di una sua ratio. La destinazione a finalità estranee è palesemente intrinseca. Se l’immobile è destinato ad abitazione non può essere destinato ad attività di impresa o arte o professione. Abitare versus lavorare, si potrebbe dire. Il problema sorge, però, nel momento in cui occorre definire quando l’immobile debba essere considerato destinato ad abitazione. Anche sotto questo profilo nulla si può eccepire alla norma, la quale fa espresso riferimento alla destinazione (quindi al dato fattuale e concreto). Piuttosto, compete alla giurisprudenza arginare i tentativi dell’Amministrazione finanziaria (comprensibili se ci si pone dal suo punto di vista, ma la cui legittimità va valutata, per l’appunto, in sede giurisprudenziale) di estendere il raggio di azione della forfetizzazione di (non) inerenza normativamente declinata. È chiaro che il primo step è stato quello di passare dalla destinazione abitativa alla natura abitativa dell’immobile. Comprensibile che, accertare necessariamente a posteriori il dato fattuale dell’utilizzo concreto può essere difficile ed è sicuramente più semplice fare riferimento alle caratteristiche oggettive dell’immobile. Il passo successivo è stato quello di affidarsi al dato catastale; in tal modo la “destinazione abitativa” è divenuta la destinazione anche solo “parzialmente abitativa”. L’ampliamento è giustificato facendo leva sulla natura oggettiva dell’ipotesi resa palese dai casi previsti come eccezioni a questa ipotesi di indetraibilità oggettiva. Merita sottolineare che la formula usata per le “eccezioni” dall’articolo 19-bis1 in commento è il riferimento ai beni o sevizi “che formano oggetto dell’attività propria”. Nel caso degli immobili a destinazione abitativa il legislatore – temendo evidentemente che il concetto di oggetto dell’attività propria si prestasse ad interpretazioni vanificando l’obiettivo di semplificazione della norma – ha preferito disciplinare distintamente le due ipotesi di utilizzo in un’attività rilevante ai fini Iva, vale a dire la cessione o la locazione del bene.

Ora, con riferimento alla locazione il dato normativo è inequivocabile, si riferisce ai soggetti che esercitano attività di locazione che danno luogo a pro-rata, facendo affidamento chiaramente su quest’ultimo per un’applicazione altrettanto meccanica (e quindi di agevole accertamento), ma sicuramente meno arbitraria della detrazione. Dovrebbe essere intuitivo che, se un soggetto i cui proventi da locazione sono al 99% imponibili ha diritto a detrarre il 99% dell’Iva sull’acquisto, non può essere che un soggetto che ha il 100% di canoni di locazioni imponibili possa detrarre … lo 0%.

Eppure, è quello che sembrerebbe emergere dalla recente risposta a interpello n. 60/2024; il condizionale è d’obbligo, perché nella risposta viene totalmente trascurata l’eccezione prevista per le locazioni. L’Agenzia delle entrate ha ritenuto indetraibile, ai sensi dell’articolo 19-bis1, comma 1, lett. i), D.P.R. 633/1972, l’Iva assolta sull’acquisto di alloggi sociali destinati alla locazione da parte di un Comune – che agisce come soggetto passivo Iva – nell’ipotesi in cui la locazione è effettuata in regime di imponibilità su opzione del locatore, come previsto dall’articolo 10, comma 1, n. 8, D.P.R. 633/1972, in deroga all’ordinario regime di esenzione. Si applica, quindi, l’aliquota del 10% ai sensi del n. 127-duodevicies) della Tabella A, parte III, allegata al D.P.R. 633/1972.

Per l’Agenzia delle entrate resta ferma l’indetraibilità dell’imposta “a monte”, trattandosi di fabbricati a destinazione abitativa, e non essendo gli immobili destinati ad un’attività ricettiva. Viene così elevato a paradigma l’autolesionismo del contribuente che se, anche per un solo contratto, non avesse esercitato l’opzione per l’applicazione dell’Iva avrebbe applicato il pro-rata sfuggendo all’indetraibilità oggettiva. È mai possibile?

Certo possiamo confidare nell’articolo 7, comma 1, lett. d), n. 2, L. 111/2023 (Legge delega di riforma fiscale) che prevede di “rivedere” (assumiamo che sia sinonimo di riformare) la disciplina della detrazione Iva per “armonizzare i criteri di detraibilità dell’imposta relativa ai fabbricati a quelli previsti dalla normativa dell’Unione europea”. Il timore è che si trasformi la corretta interpretazione del quadro normativo esistente in una novella che legittima aberranti interpretazioni come quella appena citata. Film già visto che, però, speriamo di non rivedere.