22 Marzo 2019

Possibile omettere la fase di liquidazione nelle società di persone

di Alessandro Bonuzzi
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La fase di liquidazione societaria presenta più di un aspetto controverso sia sotto il profilo fiscale che sul piano civilistico.

Con riferimento a quest’ultimo aspetto, avendo riguardo agli articoli 2275 e seguenti cod. civ., lo Studio n. 203/2018/I del Consiglio Nazionale del Notariato fornisce un’interessante disamina sulla liquidazione delle società di persone.

In particolare, il documento si pone come obiettivo quello di verificare l’ammissibilità dell’omissione della fase di liquidazione, la cui procedura è regolata dalle disposizioni codicistiche sopra richiamate, secondo cui “Se il contratto non prevede il modo di liquidare il patrimonio sociale e i soci non sono d’accordo nel determinarlo, la liquidazione è fatta da uno o più liquidatori, nominati con il consenso di tutti i soci o, in caso di disaccordo, dal presidente del tribunale” (articolo 2275, comma 1, cod. civ.).

Ebbene, a parere del Notariato, alla base della possibilità di derogare al procedimento legale di liquidazione, rileva la valutazione degli interessi in gioco in tale fase.

In linea generale, le norme che disciplinano la procedura liquidatoria sono poste a presidio di coloro che vantano un diritto di credito verso la società. Difatti, l’impianto normativo mira a mantenere il patrimonio sociale quale garanzia per il ceto creditorio, sottraendolo a destinazioni “alternative”.

A tal riguardo, però, lo Studio osserva che le ragioni dei creditori sono garantite, oltre che dal patrimonio sociale, anche dal patrimonio personale dei singoli soci, ancorché in via sussidiaria. Sicché, nella sostanza, lo scioglimento della società non reca alcun pregiudizio agli interessi del ceto creditorio. Ecco che allora, a ben vedere, la disciplina liquidatoria mira prima di tutto a tutelare le ragioni dei soci. Trattasi in pratica del diritto al rimborso dei conferimenti e del diritto alla ripartizione dell’eventuale eccedenza dell’attivo di liquidazione in proporzione alla parte di ciascun socio nei guadagni (articolo 2282 cod. civ.).

Proprio per il fatto che la procedura di liquidazione è, primariamente, a tutela degli interessi dei soci, deve essere consentito agli stessi di poter optare per una liquidazione del patrimonio sociale “convenzionale”; ciò a condizione che l’intera compagine societaria sia d’accordo in tal senso. In particolare, il Notariato “ritiene che al fine di derogare al procedimento legale di liquidazione in favore di una liquidazione convenzionale sia necessario il consenso negoziale di tutti i soci, … in funzione dell’interesse generale alla trasparenza e certezza delle vicende societarie, nonché dell’interesse dei soci alla miglior realizzazione del loro investimento mediante il disinvestimento”.

D’altro canto non può essere altrimenti atteso che, ai sensi dell’articolo 2275 cod. civ., il procedimento legale di liquidazione può essere derogato esclusivamente mediante una previsione contenuta ab origine nell’atto costitutivo oppure con un successivo accordo modificativo dei patti sociali. E il consenso unanime dei soci non può essere in alcun modo sostituito né da un provvedimento giurisdizionale, né da un provvedimento amministrativo di cancellazione d’ufficio della società da parte del Registro delle imprese.

Alla luce di ciò, lo Studio in commento afferma che, al fine di giungere allo scioglimento della società, è sempre necessario predisporre un apposito atto mediante il quale tutti i soci:

  • concordino nel ritenere verificata e ancora in essere una delle cause di scioglimento di cui all’articolo 2272 cod. civ. e
  • nominino i liquidatori, affinché gli stessi diano attuazione alla liquidazione del patrimonio sociale secondo la procedura legale, oppure, se i patti sociali non disciplinano il modo di liquidare il patrimonio sociale, decidano le modalità per procedere alla liquidazione in via alternativa.
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