9 Luglio 2021

Niente accertamento ai soci se il maggior utile non transita sul conto economico

di Angelo Ginex
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Nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, l’utile che non transita sul conto economico si presume non sia stato distribuito ai soci e quindi è infondata la contestazione del fisco sul costo derivante dall’immobile della società, regolarmente registrata e fatturata, motivo per cui, nella specie, non opera la presunzione di distribuzione degli utili extra-bilancio ai soci.

È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 19442, depositata ieri 8 luglio.

La fattispecie disaminata dai giudici di vertice prende le mosse da un avviso di accertamento, emesso nei confronti del socio di una s.r.l. con il quale gli veniva attribuito, in proporzione alla sua quota di partecipazione, un reddito derivante da maggiori utili extracontabili accertati in capo alla società.

Detto atto veniva impugnato dinanzi alla competente Commissione tributaria provinciale dal contribuente, il quale contestava di non essere stato messo al corrente dell’attività di accertamento da parte dell’Ufficio e che fosse stato indebitamente determinato nei suoi confronti un maggior reddito mai percepito. Inoltre, rilevava l’errata valutazione della plusvalenza di un immobile ceduto che non teneva conto della rivalutazione del medesimo e che, peraltro, in seguito a tale cessione da parte della società, si erano evidenziate solo delle perdite.

Il ricorso veniva accolto ed i giudici dichiaravano l’inesistenza di irregolarità in capo alla società accertata, oltre che la mancanza di fondamento della distribuzione di utili extra-bilancio contestati al ricorrente.

Tuttavia, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, su appello dell’Amministrazione finanziaria, ribaltava l’esito del giudizio di primo grado e, pertanto, al fine di ottenere l’annullamento di quest’ultima sentenza, il contribuente proponeva ricorso in Cassazione. Questi censurava la sentenza di appello, tra gli altri motivi, per violazione e falsa applicazione dell’articolo 38, comma 3, D.P.R. 600/73, dell’articolo 2727 cod. civ. e dell’articolo 115 cod. proc. civ.

In particolare, il ricorrente asseriva che i giudici di secondo grado avessero errato nel ritenere applicabile il principio giurisprudenziale concernente la presunzione di distribuzione di dividendi ai soci in caso di accertamento di ricavi occulti nei confronti di società a ristretta base sociale, in quanto nel caso di specie non potevano dirsi sussistenti utili extra-contabili.

Ebbene, la Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso.

Innanzitutto, i giudici di vertice hanno osservato che l’avviso emesso nei confronti del socio si basava sulla presunzione che la s.r.l., società a ristretta base partecipativa (di cui il ricorrente possedeva una quota societaria del 15%), avesse realizzato utili non contabilizzati, distribuiti ai soci in relazione alle rispettive quote. Tale presunzione era stata una applicazione del principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione, ai soci, degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati, viceversa, accantonati dalla società ovvero da essa reinvestiti (cfr., Cass. sent. 22.04.2009, n. 9519; Cass. sent. 16.03. 2007, n. 6197).

Allo stesso tempo, la Suprema Corte ha rammentato che la menzionata giurisprudenza è altrettanto consolidata nell’affermare che tale presunzione di distribuzione degli utili ai soci opera, non solo quando sia accertata la ristretta base sociale, ma anche quando sia altresì validamente accertata, a carico della società, la sussistenza di ricavi contabilizzati o non contabilizzati: è questo il presupposto per l’accertamento a carico dei soci in ordine ai relativi dividendi, a condizione, inoltre, che il reddito della società risulti accertato in maniera definitiva (cfr., Cass. sent. 10.01.2013, n.441; Cass. sent. 31.01.2011, n. 2214).

Ebbene, a parere dei giudici di vertice, «nel caso di specie non risulta accertato alcun utile di bilancio, talché risulta priva di fondamento la presunta distribuzione di utili extra-bilancio ai soci».

Era emerso, infatti, che la contestazione dell’Ufficio riguardava semplicemente il costo fiscalmente riconosciuto da attribuire all’immobile ceduto dalla società quale plusvalenza imponibile e dunque risultava confermata la tesi del ricorrente secondo cui il costo fiscalmente riconosciuto dell’immobile era pari al valore di bilancio così come rivalutato; rivalutazione di cui l’Agenzia delle Entrate non aveva tenuto conto.

Invero, solo la rivalutazione dell’immobile (con l’iscrizione nello stato patrimoniale di una riserva da rivalutazione pari alla differenza tra il valore rivalutato e il valore iniziale) aveva determinato un utile tassato come dividendo in capo ai soci all’atto della distribuzione.

«Detto utile tuttavia – ha concluso la Corte –, evidenziato direttamente nello stato patrimoniale con l’iscrizione della relativa riserva, non era transitato nel conto economico, talché la tesi difensiva del ricorrente appare ampiamente condivisibile».