18 Ottobre 2022

L’uso di clausole di “tetto minimo” al possesso di partecipazioni

di Fabio Landuzzi
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In alcune particolari situazioni potrebbe essere di interesse per le società porre un limite al rischio di eccessivo frazionamento delle partecipazioni al loro capitale, e quindi al rischio di una possibile frammentazione delle stesse fra una pluralità di soci.

Tale obiettivo potrebbe essere perseguito inserendo nello statuto societario una clausola di tetto minimo al possesso delle azioni o delle quote di partecipazione.

La questione relativa alla legittimità di una simile clausola è stata affrontata di recente dal Consiglio Notarile di Milano che si è espresso nella Massima n. 202 in senso favorevole alla liceità delle clausole statutarie, sia in società per azioni che in società a responsabilità limitata, tali da prevedere appunto un tetto minimo di possesso delle azioni o delle partecipazioni sociali.

Diversamente, si è invece ritenuta incompatibile con la disciplina societaria una clausola di tetto minimo al possesso di azioni o quote sociali che subordini il riconoscimento dello status socii al rispetto del limite minimo di possesso delle partecipazioni; allo stesso modo, non si ritiene ammissibile la previsione di un tetto minimo di possesso di partecipazioni la cui inosservanza sia tale da far venir meno gli essenziali diritti patrimoniali derivanti dalla partecipazione sociale, ed a maggior ragione se dovesse addirittura far venire meno la totalità degli stessi.

L’orientamento fatto proprio dal Notariato milanese vede infatti nella clausola statutaria del tetto minimo al possesso di azioni o quote di partecipazioni una sorta di “requisito per la legittimazione dei diritti sociali”, il quale può però riguardare solo una parte dei diritti sociali, e nei limiti di quei diritti sociali che sono disponibili nell’ambito dell’autonomina statutaria; si tratta, ad esempio, del diritto di voto, del diritto di intervento in assemblea, del diritto di domandare la convocazione dell’assemblea, ecc..

Le clausole di tetto minimo riferite al possesso di azioni o quote sociali, come evidenzia la Massima in commento, possono essere configurate alternativamente:

a) come regole riferite alla circolazione delle partecipazioni, tali da rendere il trasferimento delle azioni / quote inefficace nei confronti della società in tutti i casi in cui, per effetto del trasferimento, l’acquirente non consegua il possesso minimo, ovvero il venditore lo perda; oppure,

b) come regole che subordinano la legittimazione all’esercizio di una parte dei diritti sociali alla titolarità di un numero di azioni / quote almeno pari al precisato tetto minimo.

In questo secondo caso, si pongono le criticità a cui si è poc’anzi fatto cenno dovendo quindi una siffatta clausola incontrare un limite invalicabile: quello di non subordinare al conseguimento e mantenimento del tetto minimo l’assunzione del vero e proprio status socii perché altrimenti si darebbe licenza di esistere a partecipazioni sociali che non consentono l’esercizio di alcun diritto, perciò non compatibili con la disciplina societaria.

La Massima affronta poi anche il tema dell’inserimento nello statuto sociale della clausola di tetto minimo; viene affermato che la delibera di modifica dello statuto che introducesse la clausola deve essere adottata, oltre che con le maggioranze richieste dalla legge e dallo statuto, anche con il consenso dei soci che siano titolari di un numero di azioni o di quote sociali inferiori al tetto minimo previsto dalla nuova clausola statutaria.

Nella “motivazione” della Massima si osserva che quando il tetto minimo viene inserito nello statuto della società, è opportuno effettuare un coordinamento con il sistema di regole previste per il trasferimento mortis causa, e prevedere meccanismi di riscatto o di esclusione, laddove possibile.

L’introduzione, la modifica o l’eliminazione a maggioranza delle clausole del tetto minimo non dovrebbero innescare una causa legale di recesso del socio nelle Srl, a meno che lo statuto disponga diversamente.

Nelle SpA, invece, osserva il Notariato, il diritto di recesso sarà tuttavia configurabile nel caso in cui la clausola di tetto minimo sia qualificata come una condizione per la legittimazione del socio all’esercizio di parte dei diritti sociali, in quanto si tratterebbe di una “modifica dei diritti di voto o di partecipazione” ai sensi dell’articolo 2437, comma 1, lettera g), cod. civ..

Diversamente, qualora la clausola assuma la natura di regola di circolazione delle azioni, darebbe sempre luogo a una causa di recesso legale, ma sarebbe derogabile, ai sensi dell’articolo 2437, comma 2, lett. b), cod. civ..