5 Giugno 2024

La decisione di aumento del capitale in sede di costituzione di società di capitali: la massima n. 83/2022 del Consiglio notarile di Firenze

di Mary Moramarco
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Con la massima n. 83/2022 il Consiglio notarile di Firenze ha affermato la legittimità della decisione di aumento del capitale sociale assunta dai soci in sede di stipulazione dell’atto costitutivo della nuova società di capitali ove essa sia sottoposta alla condizione sospensiva dell’iscrizione di tale ultimo atto nel Registro Imprese. Ad avviso del Consiglio notarile di Firenze, infatti, pur non essendo ancora venuta a esistenza la società, nulla impedisce ai soci, all’unanimità, di decidere, già in sede di costituzione, un aumento del capitale, essendo possibile operare in tale frangente temporale sul piano della dimensione contrattuale secondo le regole civilistiche.

 

La massima

Accade sempre più spesso ormai che nella prassi societaria le questioni giuridiche tendenzialmente non destinate ad assumere una dimensione contenziosa vengano risolte dalla dottrina e dalla pratica notarile attraverso il ricorso a principi comuni elaborati dai singoli Consigli distrettuali.

Questo è quello che accade anche con la massima n. 83/2022 del Consiglio notarile di Firenze, che mira a sopire i dubbi circa l’ammissibilità di un’operazione di aumento di capitale assunta dalla compagine sociale in sede di costituzione di una società di capitali.

Secondo la massima, infatti, ben possono i soci, già in quella sede, assumere la decisione di incrementare il capitale della loro costituenda società sotto la condizione sospensiva dell’iscrizione nel competente Registro Imprese dell’atto costitutivo della stessa. Ovviamente, precisano i notai, considerato che in quel momento non possono ancora trovare applicazione le regole e i principi tipici della organizzazione corporativa (primo tra tutti quello maggioritario), a causa della non ancora intervenuta iscrizione dell’atto costitutivo nel registro imprese, la relativa decisione non può che essere assunta dai soci secondo le regole contrattuali, ossia all’unanimità dei consensi dei paciscenti.

La massima notarile, nel ripercorrere le obiezioni sollevate dalla dottrina in punto di ammissibilità di una siffatta operazione, si sofferma, in particolare, sulla possibile incompatibilità della decisione di aumento assunta in sede di costituzione della società rispetto alle 2 diverse regole di cui agli articoli 2331 e 2329, cod. civ..

Quanto alla prima obiezione, viene osservato che, a mente dell’articolo 2331, cod. civ. (applicabile anche alle Srl per via del rinvio diretto contenuto nell’articolo 2463, cod. civ.), la società acquista la personalità giuridica soltanto con l’iscrizione nel Registro Imprese del proprio atto costitutivo e che, dunque, prima di tale momento, la società non esiste, né dal punto di vista oggettivo, né dal punto di vista soggettivo[1]. Non esistendo, pertanto, gli organi della società, questi non possono deliberare alcuna modifica dell’atto costitutivo, poiché l’aumento di capitale è decisione dell’organizzazione che attiene alla fase esecutiva del contratto.

In contrario, viene, tuttavia, osservato che se il Legislatore, a norma dell’articolo 2443, cod. civ., consente ai soci, sin dal momento della costituzione dell’ente, di attribuire statutariamente all’organo amministrativo la delega per l’aumento di capitale, occorre chiedersi quali ragioni ostative vi sarebbero per negare agli stessi la possibilità di assumere la medesima decisione in quella sede, rimettendo all’organo amministrativo la sola esecuzione della stessa.

In altri termini, dunque, acclarata la illegittimità in quella sede di una decisione di aumento assunta nel contesto e secondo le regole delle delibere assembleari, per i notai occorre chiedersi se l’assenza dell’organizzazione corporativa assuma valenza tale da elidere anche la possibilità per i soci di adottare detta decisione nel rispetto e secondo le regole contrattuali (ossia all’unanimità dei consensi). Il che, sotto altro angolo visuale, vale a dire che il quesito ruota attorno al significato giuridico da riconoscere alla intervenuta stipulazione dell’atto costitutivo e alla sua rilevanza endogena ante iscrizione nel Registro Imprese.

Ebbene, la massima giunge alla conclusione di ritenere superabile l’obiezione legata all’inesistenza dell’ente, richiamando un orientamento espresso dalla Suprema Corte sul punto che avalla tale soluzione.

In particolare, secondo la Corte di Cassazione, pur dovendosi affermare l’inesistenza della deliberazione assembleare della Srl con cui viene approvato un aumento di capitale anteriormente all’iscrizione della società nel Registro Imprese, in quanto assunta da organo ancora privo della possibilità giuridica di deliberare, la volontà unanime espressa in quella sede dai soci può essere valutata “come una Convenzione modificativa dell’atto costitutivo, a condizione che risultino osservati i requisiti di sostanza e di forma prescritti per tale atto, con la conseguenza che la non avvenuta iscrizione della società nel registro delle imprese non condiziona la validità di detta convenzione modificativa, sia pure destinata ad assumere efficacia dopo l’iscrizione della società[2]. In altri termini, quindi, secondo questo orientamento della giurisprudenza di legittimità, prima dell’iscrizione nel Registro Imprese, pur non esistendo la società come ente, esiste la società come contratto, con la conseguenza che i suoi futuri soci, all’unanimità e nelle forme notarili, possono ben decidere di modificare il relativo contratto sociale, adottando una previsione che produrrà i suoi effetti subordinatamente alla venuta a esistenza della società con l’iscrizione presso il Registro Imprese.

La seconda eccezione si fonda, invece, sul disposto di cui all’articolo 2329, cod. civ., che, come noto, impone, tra le condizioni per la costituzione, la sottoscrizione integrale del capitale sociale. Si osserva al riguardo che una decisione di aumento di capitale inserita nell’atto costitutivo rischierebbe di violare detta norma, poiché non risulterebbe sottoscritto l’intero capitale sociale indicato nell’atto costitutivo.

Ebbene, la massima ritiene superabile anche tale seconda eccezione, rilevando al riguardo come nella fattispecie in esame il capitale sociale stabilito nell’atto costitutivo sia integralmente sottoscritto e versato[3] e l’aumento sia destinato a operare solo nella fase dell’esecuzione del contratto.

Sulla scorta di tali osservazioni, dunque, il Consiglio notarile di Firenze ritiene legittima la decisione di aumento assunta dalla unanimità dei paciscenti in sede di costituzione, ove questa sia subordinata alla condizione sospensiva dell’iscrizione dell’atto costitutivo nel Registro Imprese.

Ciò posto, pur condividendo la conclusione della non ostatività delle predette eccezioni ai fini della fattibilità dell’operazione, va invero rilevato al riguardo che le 2 obiezioni analizzate e superate dai notai non esauriscono il novero delle disposizioni (inderogabili) applicabili in presenza di una delibera di aumento del capitale sociale a pagamento, ragione per cui l’analisi di compatibilità della decisone di natura negoziale si impone anche rispetto alle altre regole societarie poste specificamente in sedes materiae.

 

Le regole dettate in tema di aumento a pagamento del capitale sociale nelle Spa e nelle Srl

Come è noto, le regole dettate in tema di aumento del capitale sociale a pagamento nelle Spa prevedono, per un verso, la obbligatoria attribuzione, ai soci e ai titolari di obbligazioni convertibili, del diritto di opzione di cui all’articolo 2441, cod. civ. (fatto salvo quanto si dirà nel prosieguo in merito alle possibili e tassative eccezioni a detta regola) e, per altro verso, la necessaria preventiva liberazione integrale del capitale già sottoscritto in precedenza dai soci ai sensi dell’articolo 2438, cod. civ..

Quanto alla prima norma può in questa sede osservarsi come il diritto di opzione nella sottoscrizione di azioni di nuova emissione sia tradizionalmente considerato un diritto a contenuto misto (tanto patrimoniale quanto amministrativo) che trova la sua ratio nell’esigenza di assicurare all’azionista il diritto di mantenere inalterata la propria percentuale di partecipazione al capitale sociale e i diritti alla stessa connessi[4] in caso di aumento (a pagamento) dello stesso[5], fatti salvi i casi, da considerarsi eccezionali e tassativi, in cui il Legislatore consente di deliberare l’aumento derogando in tutto o in parte a detto diritto[6].

Quanto, invece, alla prescrizione di cui all’articolo 2438, cod. civ., a mente della quale non è possibile eseguire l’aumento di capitale laddove il capitale precedentemente sottoscritto non sia stato integralmente liberato, deve anzitutto rilevarsi che il divieto, viene interpretato come riferito, in maniera ormai inequivoca, alla fase esecutiva dell’operazione, andando così a sopire il dibattito che era sorto sul tema in epoca antecedente la riforma del diritto societario[7].

Parrebbe, poi, definitivamente risolto anche l’altro dubbio ermeneutico, sorto sempre in epoca anteriore alla riforma societaria, legato all’applicabilità di detta (inderogabile) disposizione anche agli aumenti gratuiti di capitale[8].

La dottrina prevalente post riforma tende, infatti, a escludere l‘applicabilità dell’obbligo di liberazione integrale delle azioni precedentemente emesse in caso di aumento gratuito[9], pur non essendoci unità di vedute in merito alla ratio della disposizione e, dunque, alle ragioni che giustificano una siffatta conclusione[10].

In materia di Srl la disciplina dettata in tema di aumento del capitale sociale a pagamento è, invece, contenuta integralmente nell’articolo 2481-bis, cod. civ., il quale, per un verso, attribuisce ai soci il diritto di opzione nella sottoscrizione di nuove quote e, per altro verso, consente l’esclusione di tale diritto in presenza di una espressa clausola statutaria (salvo il caso di cui all’articolo 2482-ter, cod. civ.), attribuendo ai soci che non hanno concorso alla deliberazione il diritto di recesso.

A differenza di quanto previsto nelle Spa, dunque, nelle Srl l’esclusione (o la limitazione) del diritto di opzione non è legata a specifiche e tassative ipotesi, ma alla presenza di una espressa previsione statutaria che la consenta[11]. Il che equivale a dire che nelle Srl è possibile attribuire statutariamente alla maggioranza dei soci il potere di escludere o limitare il diritto di opzione, senza la necessaria verifica di un’oggettiva esigenza della società[12], fermo restando il diritto di recesso dei soci assenti dissenzienti o astenuti. A parere della dottrina maggioritaria, peraltro, la clausola potrebbe prevedere non solo la possibilità per la maggioranza di deliberare l’esclusione o la limitazione del diritto di opzione in caso di offerta a terzi delle partecipazioni di nuova emissione, ma anche nel caso di offerta agli stessi soci (rectius ad alcuni di essi)[13]. Inoltre, l’articolo 2481, comma 2, cod. civ. prevede una regola speculare, anche se non del tutto semanticamente identica a quella contenuta nell’articolo 2438, cod. civ., stabilendo che “La decisione di aumentare il capitale sociale non può essere attuata fin quando i conferimenti precedentemente dovuti non sono stati integralmente eseguiti”.

A parere della dottrina notarile, peraltro, nonostante il diverso tenore letterale, la norma di cui all’articolo 2481, comma 2, cod. civ. andrebbe anch’essa interpretata come tesa a non consentire l’esecuzione della delibera di aumento in presenza di precedenti aumenti sottoscritti e non integralmente liberati, ma non impedirebbe la mera assunzione della stessa. Inoltre, allo stesso modo di quanto già visto per le Spa, il divieto non sarebbe applicabile agli aumenti gratuiti[14].

Si ritiene, peraltro, che neppure l’eventuale presenza di conferimenti d’opera o servizi in corso di esecuzione sarebbe di ostacolo all’assunzione della delibera di aumento di capitale, atteso che la liberazione di detti conferimenti si dovrebbe reputare effettuata nel momento della stessa assunzione dell’obbligo accompagnato dalla prestazione della relativa polizza assicurativa o fideiussione bancaria (ex articolo 2464, comma 6, cod. civ.)[15].

 

La disciplina applicabile alla decisione a contenuto negoziale di aumento a pagamento del capitale sociale nelle Spa e nelle Srl

Ebbene, non pare anzitutto revocabile in dubbio la circostanza che la decisione di aumento di capitale assunta dai soci all’unanimità dei consensi secondo le regole contrattuali debba scontare una verifica di compatibilità anche rispetto alle disposizioni dettate in materia di diritto di opzione, rispettivamente, nelle Spa e nelle Srl.

Quanto alle Spa va, peraltro, osservato che nulla pare vietare, in sede di assunzione della decisione a contenuto negoziale di aumento di capitale, tanto la possibilità per i soci uti singuli di rinunciare a tale diritto, quanto la possibilità di escludere o limitare tale diritto sempre all’unanimità dei consensi. Occorre chiedersi, viceversa, se in quella sede i paciscenti possano decidere una tale esclusione o limitazione a maggioranza e non all’unanimità[16]. Opinando secondo la stessa logica seguita dalla massima notarile la risposta al quesito dovrebbe essere negativa, non esistendo in quel momento temporale alcun organo societario che possa operare secondo il principio maggioritario.

Un discorso parzialmente diverso va svolto, invece, per le Srl ove, come anticipato, non vi sono ipotesi tassative ex lege di esclusione del diritto di opzione, essendo piuttosto rimessa all’autonomia statutaria la scelta di attribuire o meno ex ante ai soci tale facoltà, discutendosi soltanto circa la possibilità di adottare a maggioranza la relativa decisione nel corso della vita della società. In tal caso, quindi, sia qualora lo statuto della costituenda società dovesse contenere una siffatta previsione, sia qualora non dovesse prevederla, dovrebbe reputarsi consentito ai soci di decidere all’unanimità tanto l’aumento di capitale quanto l’esclusione del riconoscimento del diritto di opzione, ben potendo l’unanimità dei paciscenti derogare una tantum al disposto statutario[17].

Quanto, invece, alla regola della liberazione integrale dei conferimenti già sottoscritti, considerato che l’interpretazione ormai invalsa in dottrina a seguito della riforma riferisce il divieto alla sola fase di esecuzione dell’aumento e non al momento della sua assunzione, non pare revocabile in dubbio che la decisione di aumento adottata dai soci all’unanimità in sede di costituzione dell’ente non violi detto precetto. Fermo restando, però, che sarà necessario liberare integralmente i conferimenti originari previsti nell’atto costitutivo affinché la decisione negoziale di aumento assunta in sede di costituzione possa avere esecuzione[18].

Posto, quindi, che non paiono sussistere ragioni normative ostative alla assunzione di una tale decisione secondo le regole negoziali, resta, invece, da comprendere quale sia il regime giuridico applicabile alla sua (eventuale) fase patologica e, dunque, secondo quali regole tale decisione possa essere impugnata.

Occorre, difatti, rammentare che l’applicabilità del regime dell’invalidità delle delibere di cui agli articoli 2377 e 2379, cod. civ. (e 2479-ter, cod. civ. per le Srl) presuppone l’esistenza dell’ente e dei suoi organi. Sicché si potrebbe dubitare circa l’applicabilità di tale regime speciale societario quantomeno sino alla venuta a esistenza dell’ente, analogamente a quanto si ritiene accadere in ipotesi di nullità della Spa (rectius del suo atto costitutivo). È noto che in tale ultima situazione la disciplina societaria “speciale” di cui all’articolo 2332, cod. civ. si reputa operante solo a partire dalla iscrizione della società nel Registro Imprese, mentre prima di detto momento si considera applicabile la disciplina di diritto comune dettata in materia di nullità del contratto dall’articolo 1418 e ss., cod. civ.[19].

Anche nel caso della decisione negoziale di aumento dovrebbe, quindi, escludersi la possibilità di applicare le regole societarie dettate in tema di annullabilità e nullità delle delibere sin tanto che la società non sia stata iscritta nel Registro Imprese, dovendosi reputare la relativa decisione soggetta alle regole di diritto contrattuale in quel frangente temporale.

Viceversa, seguendo la stessa logica, in seguito all’iscrizione della società nel Registro Imprese, dovrebbe trovare applicazione la speciale disciplina societaria dettata in tema di invalidità delle delibere assembleari[20]. Né pare che possa far deporre per una soluzione contraria la circostanza che nel caso de quo non vi sia una perfetta identità di struttura tra la delibera assembleare e la decisione negoziale di aumento del capitale sociale[21] e che, dunque, non essendo la situazione giuridica in esame del tutto analoga e speculare a quella di cui all’articolo 2332, cod. civ., non sarebbe scontato il venir meno dell’applicabilità delle regole contrattuali in favore del regime societario a seguito della venuta a esistenza dell’ente. Va, infatti, osservato al riguardo, che anche l’articolo 2332, cod. civ., in realtà, è fattispecie patologica che, seppur originariamente dettata per i soli contratti plurilaterali, è oggi norma potenzialmente applicabile anche ai negozi giuridici unilaterali, ben potendo accadere che tanto la Spa quanto la Srl possano essere costituite con atto unilaterale[22]. A ogni modo, quale che sia la soluzione che si intenderà dare al problema, quello che è certo è che una tale diversità ontologica impone all’interprete una riflessione in punto di disciplina applicabile alla eventuale fase patologica della decisione contrattuale di aumento, attesa la sostanziale diversità delle cause di invalidità, della prescrizione e delle regole di conversione e sanatoria prescritte dalle 2 diverse normative.

 

[1] La tesi, dominante in dottrina, è sostenuta da C. Angelici, “Società prima dell’iscrizione e responsabilità di coloro che hanno agito”, Milano, 1998, pag. 105; F. Di Sabato, “Manuale delle società”, Torino, 1995, pag. 154; G.F. Campobasso, “Diritto commerciale. 2. Diritto delle società”, Torino, 2002, pag. 173; F. Ferrara jr, F. Corsi, “Gli imprenditori e le società”, Milano, 2001, pag. 425: G. Frè, G. Sbisà,” Delle società per azioni”, in “Commentario al codice civile Scialoja – Branca”, a cura di F. Galgano, pag. 88.

[2] Così Cassazione n. 25703/2011; cfr. anche Cassazione n. 5533/1999.

[3] Invero, la fattispecie oggetto della massima non contempla la contestuale e integrale liberazione dei conferimenti in sede di costituzione, quindi, non si comprende per quale ragione nella motivazione venga fatto riferimento a tale elemento.

[4] Sul tema in dottrina T. Ascarelli, “L’interesse sociale dell’art. 2441 c.c. la teoria dei diritti individuali e dei vizi delle deliberazioni assembleari”, in Rivista delle società, 1956, pag. 93 ss.; G. Oppo, “Eguaglianza e contratto nelle società per azioni”, in Rivista di diritto civile, 1974, pag. 651; F. Guerrera, “Commento all’art. 2441 c.c.”, in “Società di Capitali. Commentario”, a cura di G. Niccolini e A. Stagno d’Alcontres, 2004, pag. 1173.

[5] Essendo evidente che in caso di aumento gratuito alcun diritto di questo tipo si rende necessario, stante l’assegnazione gratuita e automatica ai soci delle azioni eventualmente emesse in quella sede.

[6] La deroga al diritto di opzione è consentita:

  1. nel caso in cui l’aumento debba essere liberato in natura o crediti;
  2. quando l’interesse della società lo esige;
  3. quando le nuove azioni debbono essere offerte in sottoscrizione ai dipendenti della società o di società controllanti o controllate e in ultimo;
  4. solo per le società quotate, ove sia previsto dallo statuto, nei limiti del 10% del capitale sociale preesistente, a condizione che il prezzo di emissione corrisponda al valore di mercato delle azioni e ciò sia confermato in apposita relazione da un revisore legale o da una società di revisione legale.

[7] A parere di una parte della dottrina, infatti, la norma previgente, che vietava l’emissione di nuove azioni fino a che quelle precedentemente emesse non fossero state integralmente liberate, era da intendersi riferita alla sola materiale emissione dei titoli, ma non all’assunzione di una valida delibera di aumento (in questo senso cfr. G. Marasà, “La seconda direttiva C.E.E. in materia di società per azioni”, in Rivista di diritto civile, 1978, pag. 656; L. Gaffuri, “Il limite dell’art. 2438 c.c. alla emissione di nuove azioni”, in Rivista delle società, 1989, pag. 799). Altra parte della dottrina interpretava questo divieto, invece, come riferito alla stessa impossibilità di adottare validamente la delibera di aumento (sul punto U. Belviso, “Le modificazioni dell’atto costitutivo nelle società per azioni”, in “Trattato di diritto privato”, diretto da P. Rescigno, 1985, pag. 91).

[8] Sul tema in generale si veda E. Ginevra, “Sottoscrizione e aumento del capitale sociale nelle S.p.A.”, Milano, 2001, pag.1; L. Gaffuri, “Il limite dell’art. 2438 c.c. all’emissione di nuove azioni”, in Rivista delle società, 1989, pag. 799.

[9] In questo senso G. Presti, P. Rescigno, “Corso di diritto commerciale, II, Società”, Bologna, 2015, pag. 207; O. Cagnasso, “Le modificazioni statutarie e il diritto di recesso”, in Aa.Vv., “Le società per azioni, Trattato di diritto commerciale”, diretto da G. Cottino, Padova, 2010, pag. 974; orientamento H.G.2 del Comitato interregionale notarile del Triveneto, secondo cui “L’aumento di capitale gratuito, essendo per sua natura incompatibile con un’esecuzione differita, risolvendosi in una mera imputazione contabile, può essere deliberato ed attuato anche in presenza di azioni non integralmente liberate”; A. Cerrato, G. M. Zamperetti, “Art. 2438 c.c.”, in “Il nuovo diritto societario. Commentario”, diretto da G. Cottino, G. Bonfante, O. Cagnasso, P. Montalenti, Padova, 2008, pag. 1465.

[10] A parere di una parte della dottrina, infatti, la norma sarebbe dettata a tutela principio di effettività del capitale sociale e, dunque, ispirata alla necessità di garantire che la società non esponga ai terzi un capitale non realmente esistente nel suo patrimonio (in questo senso B. Quatraro, S. D’Amora, “Le operazioni sul capitale”, Milano, 1994, pag. 4). Altra parte della dottrina, invece, pone l’accento sul rispetto dei principi di buona amministrazione, affermando che la norma avrebbe quale propria ratio giustificatrice non solo e non tanto la tutela del mercato, quanto la tutela dei soci, evitando abusi da parte degli amministratori e dei soci di maggioranza a danno della minoranza (in questo senso U. Belviso, “Le modificazioni dell’atto costitutivo delle S.p.A.”, cit., pag. 90 e ss.; F. Di Sabato, “Manuale delle società”, op. cit., pag. 673).

[11] La previsione statutaria potrebbe, dunque, essere inserita tanto in fase di costituzione della società quanto in un momento successivo. In quest’ultimo caso ci si potrebbe porre il dubbio circa la necessità dell’approvazione dell’introduzione della clausola all’unanimità dei consensi (in questo senso, immediatamente dopo l’approvazione della riforma societaria, E. Fazzutti, “Commento all’art. 2481 bis. c.c.”, in “La riforma delle società”, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, 2003, pag. 187.

[12] In questo senso la massima n. 156 del Consiglio notarile di Milano, secondo la quale “Fermi restando i principi generali di esecuzione del contratto secondo buona fede e correttezza, la clausola prevista dall’art. 2481-bis, comma 1, c.c., può attribuire il potere di escludere o limitare il diritto di opzione alla maggioranza dei soci in via discrezionale, senza la necessaria verifica di un’oggettiva esigenza della società e senza l’obbligo di determinare e giustificare un sovrapprezzo per l’emissione delle partecipazioni di nuova emissione. Essa, d’altro canto, può circoscrivere tale potere ad alcuni casi particolari e può altresì prevedere tutele ulteriori a favore dei soci di minoranza, anche mediante rinvio alla disciplina dettata in tema di S.p.A.”.

[13] Sul punto G. Zanarone, “Commento all’art. 2481 bis c.c.”, in “Il Codice Civile. Commentario”, diretto da F.D. Busnelli, Milano, 2010, pag. 1543 e ss.; G.A.M. Trimarchi, “L’aumento del capitale sociale”, Assago, 2007, pag. 334, il quale evidenzia che, diversamente opinando, “resterebbe mortificata proprio la ratio che presiede alla norma: l’esigenza di tutelare il diritto del socio alla conservazione della propria partecipazione ricorre in tutti i casi di esclusione del diritto di sottoscrizione, tanto a vantaggio di terzi, tanto a vantaggio degli altri soci. Il diritto di recesso si giustifica, cioè, non per l’ingresso in società di terzi, ma (…) per l’alterazione dell’originaria quota di partecipazione detenuta dal socio”; G. De Marchi, A. Santus, L. Stucchi, “Art. 2481-bis c.c.”, in “Commentario alla riforma delle società” diretto da P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari, Milano, 2008, pag. 1190 e ss., sia in quanto “se la ratio sottesa alla disposizione fosse la tutela del mantenimento dell’originaria composizione soggettiva della compagine sociale, piuttosto che la possibilità di mantenere inalterata la misura della propria partecipazione, la facoltà di collocare l’inoptato presso terzi (prevista dal terzo periodo del comma 2 dell’articolo 2481-bi, cod. civ. ndA) dovrebbe essere soggetta agli stessi presupposti dell’esclusione del diritto di sottoscrizione”, sia in quanto “coloro che sostengono la tesi qui non condivisa sono costretti a ipotizzare l’inalienabilità del diritto di sottoscrizione”.

[14] In questo senso la massima I.G.3. del Comitato interregionale dei consigli notarili delle Tre Venezie.

[15] Così G. Olivieri, “Conferimenti “assicurati” e capitale di rischio nelle società a responsabilità limitata”, in “Liber amicorum Gian Franco Campobasso”, 3, Milano, 2007, pag. 361 e ss.; massima n. 70 del Consilio notarile di Milano; G. De Marchi, A. Santus, L. Stucchi, “Art. 2481 c.c.”, in “Commentario alla riforma delle società” diretto da P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari, Milano, 2008, pag. 1171. Contra R. Rosapepe, “Commento all’art. 2464 c.c.”, in “La riforma delle società”, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, Torino, 2003, pag. 33; L. De Angelis, “Alcune questioni sul “capitale assicurato” nelle s.r.l.”, in “Banca, borsa tit. cred.”, 2004, pag. 323.

[16] Fermo restando che una tale possibilità andrebbe comunque circoscritta anche in tale sede alle sole ipotesi di esclusione previste dall’articolo 2441, cod. civ. e che le uniche fattispecie ivi contemplate che, in linea astratta, paiono utilizzabili in quel dato momento temporale appaiono le ipotesi della liberazione in natura o crediti e della sottoscrizione in favore di dipendenti di controllanti o controllate.

[17] In questo senso, sebbene già con riferimento al momento corporativo, la massima notarile n. 156 della Commissione società del consiglio notarile di Milano, secondo cui, per quanto qui di interesse, “In mancanza della clausola prevista dall’art. 2481-bis, comma 1, c.c., la deliberazione di un aumento di capitale da liberare con conferimenti diversi dal denaro – e come tale limitativa del diritto di opzione, salvi i rari casi in cui l’oggetto del conferimento sia costituito da beni nella disponibilità di tutti i soci – richiede pertanto il consenso unanime dei soci”.

[18] In questo senso, peraltro, si esprime anche la massima in esame, che correttamente afferma che “Non sembra, inoltre, di poter ravvisare una resistenza del sistema a dare all’esterno una informazione distorta mediante l’indicazione di un capitale deliberato molto elevato, alla luce dell’attuale formulazione dell’art. 2438 c.c. (come modificata dalla riforma del 2003), per la quale non è vietato deliberare aumenti quando il capitale non sia stato integralmente versato, ma solo dare esecuzione all’aumento sino a che il capitale non sia stato integralmente versato”.

[19] Sul punto C. Angelici, “La società nulla”, Milano, 1975, pag. 116 e ss..

[20] La questione, peraltro, non può dirsi superata o di scarsa importanza per il solo fatto che la decisione di aumento in questa fattispecie viene necessariamente assunta all’unanimità dei consensi, atteso che tanto la disciplina della nullità contrattuale quanto quella relativa alla nullità delle delibere assembleari attribuiscono legittimazione attiva all’impugnazione a chiunque ne abbia interesse (e, dunque, non solo ai soci) e che le delibere annullabili possono essere impugnate anche dagli amministratori e dall’organo di controllo interno.

[21] Mentre, infatti, nel caso della nullità della Spa l’articolo 2332, cod. civ. regola pur sempre un’ipotesi di nullità di un contratto (qual è quello di società), al contrario, gli articoli 2377 e 2379, cod. civ. (e 2479-ter cod. civ. per le Srl) disciplinano l’impugnazione di un atto unilaterale collegiale, qual è la delibera, e non di un accordo plurilaterale quale è quello modificativo di cui si discute.

[22] In punto di applicabilità della disciplina di cui all’articolo 2332, cod. civ. all’atto costitutivo di una società unipersonale cfr. Tribunale Roma n. 1659 del 27 gennaio 2020, seppure negando la sussistenza nella fattispecie concreta di una causa di nullità ex articolo 2332, cod. civ..

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “La rivista delle operazioni straordinarie.