12 Settembre 2014

La stabile organizzazione risolve il problema del transfer price?

di Ennio VialVita Pozzi
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Il 
transfer price rappresenta una delle maggiori 
criticità delle imprese con sviluppo multinazionale, in quanto la valutazione e la concreta applicazione del principio dell’“
arm’s lenght” nei rapporti con altri soggetti appartenenti al 
gruppo ma residenti in 
paesi diversi non risulta sempre agevole.
Negli ultimi tempi molte imprese si stanno orientando verso l’apertura di 
stabili organizzazioni estere in luogo di società di diritto locale per 
prevenire il problema dell’
esterovestizione.
E’ appena il caso di ricordare come la 
stabile organizzazione sia una 
sede fissa di 
affari con cui l’impresa svolge in tutto o in parte la propria attività in uno 
stato diverso da quello in cui la società è stata costituita.
Si tende spesso a ritenere che la 
stabile risolva il problema del 
transfer price sulla base della considerazione secondo cui la stabile è un pezzo della nostra attività e i 
redditi da questa prodotti sono 
imputati alla 
casa madre italiana. L’inquadramento della stabile organizzazione è sicuramente corretto, tuttavia le 
conclusioni sono 
errate.
Se esaminiamo 
l’articolo 7 delle 
convenzioni italiane contro le 
doppie imposizioni notiamo che la stabile organizzazione viene trattata alla stregua di un soggetto di diritto locale: in buona sostanza si devono 
applicare i principi del 
transfer price anche nelle 
relazioni tra 
casa madre e la 
branch. Se leggiamo, per fare un esempio, l’art. 7 della convenzione tra Italia e Austria troviamo che al paragrafo 2 si stabilisce che “
quando una impresa di uno Stato contraente svolge la sua attività nell’altro Stato contraente per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata, in ciascuno Stato contraente vanno attribuiti a detta stabile organizzazione gli utili che si ritiene sarebbero stati da essa conseguiti se si fosse trattato di un’impresa distinta e separata svolgente attività identiche o analoghe in condizioni identiche o analoghe e in piena indipendenza dall’impresa di cui essa costituisce una stabile organizzazione”.
E’ quindi evidente che il 
transfer price si applica anche in questi casi. Infatti, se è pur vero che i 
redditi della 
stabile organizzazione vengono 
imputati alla 
casa madre, è anche vero che a fronte di tali redditi la casa madre deve concedere un 
credito di imposta.
Se i 
redditi della 
stabile sono 
gonfiati, il paese in cui la stessa è localizzata sarà ben lieto, ma la casa madre sarà costretta a concedere un 
maggior credito. Diversamente, nell’ipotesi opposta in cui i 
redditi della stabile sono 
compressi, lo Stato in cui questa è collocata avrà certamente da ridire.
Ciò accade anche se i 
livelli impositivi dei due paesi sono assolutamente 
identici.
Chiariamo con un 
esempio.
Supponiamo che la 
casa madre dello 
stato A abbia una 
stabile organizzazione nello 
stato B e che in entrambi i paesi il 
livello impositivo sia al 
30%. Supponiamo che il reddito correttamente determinato sia prodotto per 
100 dalla casa madre e per 
100 dalla stabile.
Nel 
Paese B vengono pagate le 
imposte di 
30 mentre nel paese A il reddito della casa madre comprende anche quello della stabile. Il 
carico impositivo teorico è di 
60 tuttavia, attraverso il credito di imposta concesso, lo stesso si attesta sui 30. La pressione fiscale complessiva è quindi del 30%.
Supponiamo a questo punto che il 
reddito venga 
artificiosamente allocato verso la 
stabile di modo che la casa madre ha un reddito di 50 e la stabile di 150.
Nel 
paese B si pagheranno 
imposte per 
45, ossia il 30% di 150 mentre nel Paese A il carico fiscale teorico sarà sempre di 60, ossia il 30% di 200. Da questo verrà scomputato un 
credito di 45. La pressione fiscale non muta rispetto al caso precedente ma risulta 
sbilanciata nello 
Stato B. Quest’ultimo ringrazierà ma lo Stato A pretenderà l’applicazione del 
transfer price nei 
rapporti tra 
casa madre e 
stabile in modo da innalzare il reddito domestico da 50 ai 100 di prima.