6 Febbraio 2023

La riassunzione del giudizio interrotto dal fallimento

di Luigi Ferrajoli
Scarica in PDF

Argomento di particolare interesse riveste, in ambito fallimentare, l’individuazione del dies a quo da cui far decorrere, in capo alla parte non colpita dall’evento interruttivo, il termine per la riassunzione ex articolo 43, comma 3, L.F..

La questione, non avendo nel corso del tempo conseguito un principio unanimemente condiviso, è stata sottoposta anche alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 12154/2021, attraverso una ricognizione sistematica dell’istituto giuridico citato, hanno individuato il dies a quo di decorrenza del termine.

Nello specifico, le Sezioni Unite hanno rilevato in primis che il comma 3 dell’articolo 43 L.F., introdotto dal D.Lgs. 5/2006, aveva disposto che l’apertura del fallimento determina l’interruzione di diritto del processo evitando così che lo stesso possa essere interrotto a distanza di tempo qualora le parti informino formalmente il giudice ex articolo 300 c.p.c.; successivamente, il comma 4 del medesimo articolo, introdotto con il D.L. 83/2015, poi convertito, con modificazioni, dalla L. 132/2015, ha disposto che le controversie in cui sia parte un fallimento devono essere trattate con priorità.

Si tratta dunque di una duplice e progressiva operazione legislativa, volta da un lato ad attenuare, già con l’automaticità dell’interruzione dei processi pendenti, i costi latenti del contenzioso non endoconcorsuale e così, indirettamente, la durata dei fallimenti, oltre che, dall’altro lato, ad istituire regole di trattazione selettiva per tutti i processi in cui assuma la qualità di parte l’organo concorsuale.

Sulla base di tali presupposti, le Sezioni Unite hanno precisato che la presa di conoscenzain forma legale” dell’evento interruttivo costituisce il fatto cui ancorare il dies a quo del termine per la riassunzione o prosecuzione del processo, evidenziando però che dall’analisi della giurisprudenza di legittimità non era dato rinvenire un’univoca definizione delle relative forme di produzione in capo alle varie parti del processo interrotto della citata conoscenza legale.

I Giudici, infatti, nel corso del tempo hanno cercato di porre l’attenzione sull’accento assunto progressivamente dalla connotazione legale della conoscenza, rilevando che, oltre all’effettività della conoscenza dell’evento interruttivo, dovevano essere valorizzate non tanto le forme di produzione ex ante idonee a documentare la conoscenza dell’evento in modo preciso, ma principalmente il loro contenuto, indagando sul contesto processuale in cui l’evento interruttivo aveva operato.

A tale proposito, la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, già con la sentenza n. 23675/2014, aveva dedotto “la dichiarazione giudiziale quale elemento indefettibile e generale costitutivo del dies a quo per la decorrenza del termine di riassunzione o prosecuzione”, sulla base sia di una maggiore compatibilità  di tale strumento con l’articolo 43, comma 3, L.F., così considerando la specialità della norma rispetto agli articoli 299, 300, comma 3, e 301, comma 1, c.p.c., sia in quanto esso appare il più idoneo a realizzare, con le specificazioni organizzative qui descritte, quei “valori-obiettivo di affidabilità, prevedibilità e uniformità dell’interpretazione delle norme processuali costituenti imprescindibile presupposto di uguaglianza tra i cittadini e di “giustizia” del processo.

Sul punto, la giurisprudenza più recente ha ulteriormente precisato che “non v’è nessun onere di riassunzione prima della formale dichiarazione di interruzione” (Corte di Cassazione, n. 10696/2019).

Considerato che la dichiarazione di interruzione della lite operata dal Giudice è idonea ad esprimere un dato di idoneità rappresentativa assoluta rispetto ad ogni mezzo partecipativo dell’evento interruttivo del processo, esiste un perfetto connubio tra le qualità istituzionali della fonte privilegiata e la certezza dell’inerenza del fallimento esattamente al processo su cui incide.

La Suprema Corte, con la sentenza n. 34898/2022, ha ripreso il principio giurisprudenziale costante secondo cui “in caso di apertura del fallimento, ferma l’automatica interruzione del processo (con oggetto i rapporti di diritto patrimoniale) che ne deriva ai sensi della L. Fall., articolo 43, comma 3, il termine per la relativa riassunzione o prosecuzione, per evitare gli effetti di estinzione di cui all’articolo 305 c.p.c. e al di fuori delle ipotesi di improcedibilità ai sensi della L.Fall., articoli 52 e 93 per le domande di credito, decorre da quando la dichiarazione giudiziale dell’interruzione stessa sia portata a conoscenza di ciascuna parte; tale dichiarazione, ove già non conosciuta nei casi di pronuncia in udienza ai sensi dell’articolo 176 c.p.c., comma 2, va direttamente notificata alle parti o al curatore da ogni altro interessato ovvero comunicata – ai predetti fini – anche dall’ufficio giudiziario, potendo inoltre il giudice pronunciarla altresì d’ufficio, allorché gli risulti, in qualunque modo, l’avvenuta dichiarazione di fallimento medesima”.