12 Giugno 2023

Composizione negoziata per la soluzione della crisi di impresa: il ruolo delle banche

di Francesca Dal Porto
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Le banche rappresentano uno degli interlocutori più importanti nella composizione negoziata per la soluzione della crisi di impresa ex articoli 12 e ss. CCII.

Il legislatore, ai sensi degli articoli 4 e 16 del Codice della Crisi, ha previsto per le banche (e più in generale per i creditori coinvolti) una serie di obblighi in relazione alla partecipazione alle trattative.

Anzitutto, vi è il dovere di correttezza e buona fede: debitore e creditori devono comportarsi secondo buona fede e correttezza, i creditori hanno il dovere di collaborare lealmente con il debitore, con l’esperto nella composizione negoziata e con gli organi nominati dall’autorità giudiziaria e amministrativa e di rispettare l’obbligo di riservatezza sulla situazione del debitore, sulle iniziative da questi assunte e sulle informazioni acquisite.

Le medesime parti hanno il dovere di dare riscontro alle proposte ricevute durante le trattative, in modo tempestivo e motivato: in questo modo si attribuisce alle banche un vero e proprio obbligo di partecipazione attiva alle trattative.

Tale previsione si è resa necessaria considerati i tempi estremamente brevi di durata prevista per la composizione negoziata che, salvo proroghe, deve concludersi entro 180 giorni, decorrenti dall’accettazione della nomina da parte dell’esperto.

L’obbligo di partecipazione alle trattative in modo attivo e informato coinvolge non solo le banche e gli intermediari finanziari ma anche i loro mandatari e gli eventuali cessionari dei loro crediti.

L’articolo 17, comma 5, CCII prevede che, nel corso delle trattative, l’esperto possa invitare le parti a rideterminare, secondo buona fede, il contenuto dei contratti ad esecuzione continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa o se è alterato l’equilibrio del rapporto in ragione di circostanze sopravvenute.

Si ricorda, inoltre, la previsione secondo la quale l’accesso alla composizione negoziata della crisi non costituisce di per sé causa di sospensione e di revoca degli affidamenti bancari concessi all’imprenditore. In ogni caso la sospensione o la revoca degli affidamenti possono essere disposte se richiesto dalla disciplina di vigilanza prudenziale, con comunicazione che dà conto delle ragioni della decisione assunta.

In sostanza, si ritiene che sia onere della banca motivare le ragioni della eventuale revoca degli affidamenti concessi.

In particolare, per quanto riguarda il dovere di partecipazione della banca, si ritiene che questa debba essere attiva, ossia che la banca debba illustrare al debitore le conseguenze delle eventuali proposte avanzate, ed informata, ossia che la banca debba far partecipate alle trattative soggetti effettivamente informati sulla situazione del cliente e che abbiano un ruolo decisionale.

Per quanto riguarda la possibilità di addivenire ad una delle soluzioni di cui all’articolo 23 comma 1 CCII, ossia:

a) contratto concluso con uno o più creditori (tra cui eventualmente la banca o le banche), che produce gli effetti di cui all’articolo 25-bis, comma 1, CCII se, secondo la relazione dell’esperto, è idoneo ad assicurare la continuità aziendale per un periodo non inferiore a due anni;

b) convenzione di moratoria di cui all’articolo 62 CCII;

c) accordo sottoscritto dall’imprenditore, dai creditori e dall’esperto che produce gli effetti di cui agli articoli 166, comma 3, lettera d), e 324 CCII, vale a dire quelli degli accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento,

preme sottolineare come si tratti di soluzioni semplificate e con minori garanzie per la banca, rispetto a quelle previste dagli strumenti di regolazione della crisi (accordi di ristrutturazione, piani attestati di risanamento, piani di ristrutturazione omologati, ecc.).

Ma se da un lato le garanzie sono minori, la flessibilità dei contenuti del piano può giocare a favore del ceto bancario che, tramite la partecipazione proattiva, può incidere sugli stessi e quindi anche sui risultati ottenuti.

Tale elasticità dei contenuti del piano non è ammessa negli altri strumenti di regolazione.

Si ricorda come il piano di risanamento nella composizione negoziata sia un processo in divenire, che si nutre anche dei suggerimenti e delle richieste raccolte durante le trattative, dal debitore e dall’esperto.

Nel caso in cui non si raggiungano le soluzioni previste dall’articolo 23, comma 1 e 2, lett. b), CCII, quando l’esperto nella relazione finale dichiara che le trattative si sono svolte secondo correttezza e buona fede, in tal caso l’imprenditore può presentare una proposta di concordato semplificato.

Trattasi di un concordato con cessione dei beni che, senza procedere ad alcuna votazione e in deroga ai criteri ordinari del concordato liquidatorio, prevede l’omologa del tribunale quando lo stesso, verificata la regolarità del contraddittorio e del procedimento, nonché il rispetto dell’ordine delle cause di prelazione e la fattibilità del piano di liquidazione, rileva che la proposta non arreca pregiudizio ai creditori rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale e comunque assicura un’utilità a ciascun creditore.

La banca, in questo caso, non può esprimere un voto ma ha a sua disposizione il solo strumento dell’opposizione.

Questa può essere giustificata, oltreché da motivi formali e procedurali, dalla violazione del principio per il quale non ci deve essere un trattamento peggiorativo rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale.

Alla luce di tale possibile esito, che di fatto esclude un ruolo attivo della banca, ancor di più la stessa deve essere incentivata a partecipare effettivamente alle trattative nella composizione negoziata per cercare di trovare un accordo.