19 Giugno 2024

Credito fondiario e fallimento: liquidazione concorsuale ed espropriazione singolare proseguono in competizione

di Francesco FerrariMaurizio Orlando
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Con decreto ex articolo 26, L.F., il Tribunale di Milano ha affermato che il privilegio processuale di cui all’articolo 41, comma 2, Tub non comporta alcuna prevalenza della esecuzione individuale rispetto alla liquidazione concorsuale.

 

Premessa

L’articolo 51, L.F., stabilisce che “salvo diversa disposizione della legge, dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per crediti maturati durante il fallimento, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento”.

L’articolo 41, comma 2, Tub, – che ha risolto alcuni dubbi interpretativi precedenti alla sua introduzione – prevede una deroga al principio enunciato dall’articolo 51, L.F., in quanto stabilisce che il creditore fondiario ha la facoltà di esercitare l’azione esecutiva individuale sui beni oggetto di ipoteca anche in pendenza del fallimento del debitore esecutato; e il comma 4 del medesimo articolo prevede, altresì, che l’aggiudicatario versi direttamente alla banca la parte del prezzo corrispondente al complessivo credito della stessa.

La facoltà accordata al creditore fondiario dall’articolo 41, comma 2, Tub, ha natura prettamente processuale ed è finalizzata a consentire al creditore de quo di ottenere il rapido soddisfacimento del proprio credito, non potendo tuttavia costituire una causa di prelazione ulteriore rispetto al privilegio ipotecario connesso all’origine del credito.

Tale natura esclusivamente processuale della facoltà accordata al creditore fondiario dall’articolo 41, comma 2, Tub, è stata definitivamente sancita dall’introduzione – con Decreto correttivo 169/2007 – dell’articolo 52, comma 3, L.F., il quale stabilisce che le disposizioni di cui al comma 2 del medesimo articolo (“Ogni credito, anche se munito di diritto di prelazione o trattato ai sensi dell’articolo 111, primo comma, n. 1), nonché ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare, deve essere accertato secondo le norme stabilite dal Capo V [92-103], salvo diverse disposizioni della legge”) si applicano anche ai crediti esentati dall’articolo 51, L.F.; quindi, anche ai crediti fondiari.

Dal canto suo il curatore, se alla data di dichiarazione di fallimento sono pendenti procedure esecutive, per quanto previsto dall’articolo 107, comma 6, L.F., può subentrarvi e, in tale caso, l’esecuzione prosegue secondo le disposizioni del codice di procedura civile. Ma, sempre per quanto previsto da detto articolo, il curatore può altresì chiedere al giudice dell’esecuzione di dichiarare improcedibile l’esecuzione, fatti salvi i casi di deroga di cui all’articolo 51, L.F., (tra i quali, come detto, rientra l’esecuzione promossa dal creditore fondiario).

Lo scopo del subentro del curatore espressamente previsto dall’articolo 107, comma 6, L.F., è duplice:

  1. consentire ai creditori privilegiati di grado poziore rispetto al privilegio fondiario – ad esempio i creditori muniti di privilegio speciale immobiliare, per quanto stabilito dall’articolo 2778, comma 2, cod. civ., soggetti alle limitazioni previste dall’articolo 51, L.F., – di tutelare, attraverso l’intervento del curatore, i propri diritti;
  2. consentire al fallimento di recuperare le spese connesse alla liquidazione del bene e, soprattutto, la somma ricavata dall’esecuzione eccedente la quota che, in sede di riparto, risulterà spettare alla banca (in generale, è sempre opportuno che la curatela si costituisca chiedendo l’assegnazione del residuo della liquidazione).

Nella prassi, la pendenza dell’esecuzione individuale promossa dal creditore fondiario ha sempre costituito un limite alle iniziative del fallimento, tant’è che, pur in mancanza di previsioni normative in tal senso, si è spesso ritenuto che esecuzione individuale e liquidazione concorsuale fossero sostanzialmente incompatibili.

Il Tribunale di Milano, nel caso in esame, si è esattamente occupato del rapporto tra esecuzione individuale e liquidazione concorsuale e, con il decreto in commento, è giunto a una conclusione che, pur non propriamente innovativa, consente però di fare luce su aspetti sino a oggi trascurati.

 

Il caso

Il caso esaminato dal Tribunale di Milano riguarda il reclamo ex articolo 26, L.F., promosso da un creditore fondiario avverso il provvedimento con il quale il giudice delegato al fallimento ha autorizzato la vendita sincrona mista di tutti i beni immobili facenti parte dell’attivo fallimentare, ivi inclusi “quelli oggetto di credito fondiario”, interessati dalla pendente procedura esecutiva precedentemente promossa dal medesimo creditore.

È necessario premettere che, a seguito della sentenza di fallimento, la curatela, per quanto previsto dall’articolo 107, comma 6, L.F., era intervenuta nella procedura esecutiva come sopra promossa – avente a oggetto sia immobili gravati da credito ipotecario fondiario sia immobili gravati da credito ipotecario non fondiario – chiedendo:

  • il recupero delle spese prededucibili maturate dal fallimento (ad esempio, le spese generali);
  • il recupero delle spese sostenute dalla procedura funzionali/connesse al bene;
  • il recupero dei crediti di grado poziore rispetto a quelli vantati dalla banca;
  • l’assegnazione della somma (eventualmente) eccedente la quota assegnata alla banca in sede di riparto, per quanto previsto dall’articolo 41, comma 2, Tub;
  • l’interruzione dell’esecuzione avente a oggetto gli immobili non gravati dal credito ipotecario fondiario.

La procedura esecutiva in parola era stata dichiarata interrotta con esclusivo riferimento agli immobili non gravati da ipoteca fondiaria, con conseguente prosecuzione dell’esecuzione relativa agli immobili oggetto di ipoteca fondiaria, per i quali erano già stati esperiti 3 tentativi di vendita ed era stato fissato il quarto esperimento.

Ottenuta l’interruzione parziale della procedura esecutiva promossa dal creditore fondiario, il curatore aveva poi chiesto al giudice delegato al fallimento l’autorizzazione a disporre la vendita sincrona mista di tutti i beni immobili, compresi quelli oggetto di garanzia a tutela del credito fondiario.

Il giudice delegato aveva autorizzato la vendita sincrona mista dei predetti beni, disponendo, altresì, che il curatore:

  • provvedesse a comunicare al professionista delegato la data fissata per l’asta fallimentare;
  • revocasse senza indugio l’asta fallimentare, qualora l’aggiudicazione dell’immobile fosse intervenuta prima nel processo di esecuzione.

E, avverso il provvedimento autorizzativo del giudice delegato, il creditore fondiario aveva promosso reclamo ex articolo 26, L.F., sulla base dei seguenti motivi:

  • violazione del “principio di unicità delle procedure esecutive”, in virtù del quale il medesimo bene non può essere al contempo oggetto sia di esecuzione individuale sia di liquidazione concorsuale; e ciò per quanto previsto dall’articolo 41, comma 2, Tub, che consente al creditore fondiario di proseguire l’esecuzione individuale pur in pendenza di fallimento, ma non prevede che la procedura possa dare corso alla liquidazione del medesimo bene anche qualora il creditore fondiario abbia proseguito l’azione individuale;
  • la liquidazione concorsuale comporterebbe maggiori costi per il creditore fondiario o, quanto meno, l’irrecuperabilità dei costi già sostenuti in sede di esecuzione individuale;
  • pur condividendo l’ipotesi di una liquidazione unitaria (ad esempio, in un medesimo contesto) di tutti i lotti, la vendita dovrebbe comunque tenersi innanzi al medesimo ufficio giudiziario, in quanto dalla vendita dinanzi a uffici giudiziari diversi scaturirebbero difficoltà di carattere pratico;
  • il provvedimento adottato dal giudice delegato svuoterebbe di contenuto il privilegio processuale accordato dall’articolo 41, Tub, in quanto il creditore fondiario, anziché soddisfarsi immediatamente sul ricavato della vendita, dovrebbe attendere l’esecuzione del riparto fallimentare.

Il Tribunale di Milano – dopo aver delineato il quadro normativo in cui si inserisce il reclamo ex articolo 26, L.F., oggetto di esame – preliminarmente afferma che il privilegio processuale accordato dall’articolo 41, comma 2, Tub, non comporta né la prevalenza dell’esecuzione individuale rispetto alla liquidazione in sede concorsuale né l’impossibilità per il giudice delegato al fallimento di disporre la vendita del bene oggetto di credito fondiario (anche) in sede concorsuale. E ciò in quanto l’articolo 107, comma 6, L.F., prevede che il curatore, qualora ne ravvisi la convenienza, ha la facoltà, non l’obbligo, di intervenire nella procedura esecutiva individuale pendente alla data di fallimento.

Ne consegue che il curatore “può ora decidere esplicitamente tra prosecuzione e vendita (mentre in precedenza il subentro era automatico) e anzi potrebbe decidere per qualunque ragione di non subentrare nell’azione esecutiva pendente e di vendere in sede fallimentare autonomamente”.

In definitiva, quindi, conclude il Tribunale, se il creditore fondiario ha il potere – conferitogli dall’articolo 41, comma 2, Tub – di proseguire l’esecuzione sui beni ipotecati, non vi è alcuna norma che escluda il potere del giudice delegato di disporre la vendita dei medesimi beni in sede concorsuale.

Il Tribunale di Milano sancisce dunque la compatibilità delle 2 procedure espropriative, pur ammettendo che “il legislatore non ha indicato come in concreto il privilegio accordato agli istituti di credito fondiario possa armonizzarsi con la regola del concorso (formale e sostanziale) sulla quale poggia la procedura concorsuale”.

A ben vedere, afferma il Tribunale di Milano, il rapporto tra le 2 procedure è di concorrenza, non di incompatibilità.

Inoltre, pur precisando che con il reclamo ex articolo 26, L.F. “possono essere dedotti motivi attinenti alla mancata osservanza di regole che disciplinano il procedimento formativo e i presupposti del provvedimento” il Tribunale si sofferma – fornendo utili spunti pratici – anche sulle censure di merito sollevate dal creditore ipotecario.

In primo luogo, afferma il Tribunale di Milano – al di là del fatto che, nel caso di specie, la vendita unitaria di tutti i lotti pignorati può realizzarsi solo in sede concorsuale e, ciò, in quanto la maggior parte dei lotti è costituita da immobili non gravati da ipoteca fondiaria – la vendita fallimentare è sempre e comunque preferibile rispetto alla liquidazione individuale, essendo caratterizzata da mezzi pubblicitari più efficaci e potendo realizzarsi anche ricorrendo allo strumento del concordato fallimentare.

E, per tali motivi, “la concentrazione, celerità, maggior vantaggiosità della vendita sarebbero perseguibili proprio in sede fallimentare”.

Per quanto riguarda il coordinamento tra le 2 procedure è sufficiente, ad avviso del Tribunale, che (come nel caso di specie) il provvedimento del giudice delegato stabilisca quali iniziative[1] debbano intraprendere il creditore fondiario e il curatore nel caso in cui il bene venga aggiudicato prima nella procedura concorrente.

Con riguardo alla questione della custodia il Tribunale, richiamando quanto affermato dalla Suprema Corte con sentenza n. 5352/1994 (sentenza che, peraltro, afferma la possibilità che esecuzione individuale e liquidazione concorsuale coesistano), fa proprio il principio secondo il quale il giudice dell’esecuzione, nel caso in cui il fallimento sia stato dichiarato in pendenza dell’esecuzione individuale, può accogliere o rigettare l’istanza di sostituzione del custode formulata dal curatore in base alle circostanze del caso concreto, non essendo vincolato alla nomina del curatore quale custode.

Con riferimento, infine, al presunto svuotamento di contenuto del privilegio processuale di cui all’articolo 41, comma 2, Tub, e alla irripetibilità delle spese sostenute dal creditore fondiario per promuovere la procedura esecutiva, il Tribunale di Milano fornisce le seguenti indicazioni di carattere pratico, indubbiamente utili per tutti gli operatori:

  • il creditore che ha dato corso alla procedura esecutiva individuale è tenuto a pagare, a titolo di anticipazioni, i compensi spettanti agli ausiliari del giudice dell’esecuzione (custode giudiziario, esperto stimatore e delegato alla vendita), così come liquidati da quest’ultimo;
  • il creditore anticipatario è inoltre tenuto a insinuare al passivo i predetti costi di natura prededucibile unitamente alle altre spese sostenute per dare corso all’esecuzione (pignoramento, iscrizione a ruolo, certificazione ipocatastale, spese di conservazione del bene, spese legali).

In ogni caso, conclude il Tribunale di Milano, il creditore fondiario “deve comunque sottostare agli accertamenti compiuti dal Curatore, essendo unicamente quella concorsuale la sede in cui gli asseriti interessi confliggenti tra creditori fondiari e massa dei creditori può trovare unica composizione (…) e il provvedimento di ammissione al passivo costituirà il presupposto necessario per l’assegnazione provvisoria al creditore fondiario procedente anche di tali somme, fatta salva la possibilità di avvalersi del disposto di cui all’articolo 111 bis, comma 3, L.F.”.

Il creditore fondiario, quindi, non rischia di anticipare spese di cui non otterrà la rifusione e il richiamo all’articolo 111-bis, comma 3, L.F., – il quale prevede che i crediti prededucibili sorti nel corso del fallimento che sono liquidi, esigibili e non contestati per collocazione e per ammontare, possono essere soddisfatti ai di fuori del procedimento di riparto – consente di non vanificare il privilegio processuale accordato dall’articolo 41, comma 2, Tub, ma anche il disposto dell’articolo 41, comma 4, Tub, che, di fatto, permane anche in ambito concorsuale, seppure, a ben vedere, in forma attenuata. Il creditore ipotecario, cioè, non potrà soddisfare il proprio credito mediante il pagamento diretto da parte dell’aggiudicatario del bene, dovendo passare attraverso il filtro del fallimento; ma tale passaggio, secondo l’iter logico del Tribunale di Milano, è necessario, in quanto è solo nell’alveo del fallimento che gli interessi del creditore fondiario e della massa costituita dai creditori concorsuali trovano adeguato contemperamento.

 

I precedenti giurisprudenziali

Il caso analizzato si inserisce in un filone giurisprudenziale affrontato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 12673/2022, nella quale viene ribadito il seguente principio: “In generale, il cit. articolo 41 attribuisce al titolare del credito fondiario la facoltà di iniziare e proseguire l’azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia del credito medesimo, nei confronti del debitore, nonostante il fallimento di questi, ma tale facoltà non esclude il potere del giudice del fallimento di disporre la liquidazione degli stessi beni in sede fallimentare: le 2 procedure non sono cioè incompatibili, ma devono coordinarsi tra loro e, per tale aspetto, concernente l’individuazione del giudice cui spetta di vendere, il coordinamento è operante sulla base del criterio temporale, e dunque in considerazione dall’anteriorità del provvedimento che dispone la vendita”.

Quindi, a prescindere dalla prassi diffusa, la compatibilità dell’esecuzione individuale promossa dal creditore fondiario con la liquidazione in sede fallimentare era già stata affermata dai giudici di legittimità e un precedente di merito – il quale potrebbe presumibilmente aver fornito alcuni spunti pratici ai giudici meneghini – è un recente decreto del Tribunale di Lecco del 29 maggio 2023.

Tale decreto è interessante perché, oltre a fornire numerose indicazioni finalizzate a evitare conflitti tra la procedura esecutiva individuale e la liquidazione in sede concorsuale – indicazioni colte anche dal Tribunale di Milano e sintetizzate nel paragrafo precedente – traccia un conciso excursus storico, dando atto di come il filone giurisprudenziale di cui sopra costituisca un superamento della dottrina processualistica secondo la quale “il problema della esclusività dell’azione esecutiva del creditore fondiario o della sua concorrenza con la liquidazione fallimentare doveva essere risolto a favore del principio di esclusività, e ciò sulla base dell’argomento che non può neppure per un momento pensarsi che 2 procedure esecutive possano essere condotte contemporaneamente e indipendentemente sullo stesso bene (si veda articoli 524, 550 e 561, c.p.c.) e che la concorrenza delle 2 esecuzioni rappresenterebbe un fenomeno patologico che il legislatore si è studiato di evitare, appunto, affermando la prevalenza dell’azione esecutiva del creditore fondiario”.

In particolare, afferma il Tribunale di Lecco, il principio giurisprudenziale sopra riportato – elaborato dalla giurisprudenza di legittimità sotto il vigore della disciplina “della liquidazione dell’attivo” contenuta nel Titolo I, Capo VI, L.F. nel suo disegno originario (articoli 104-108, L.F.) – deve essere opportunamente aggiornato, in quanto:

  1. il rapporto tra l’esecuzione individuale e la liquidazione concorsuale non può più fondarsi sul criterio dell’anteriorità del provvedimento che dispone la vendita e, ciò, perché la L.F. non prevede che il giudice delegato disponga la vendita dei beni della procedura (a meno che il curatore abbia optato per la vendita nelle forme regolate dal codice di rito, per quanto previsto dall’articolo 107, comma 2, L.F.), in quanto:

la liquidazione dell’attivo non rientra più, infatti, tra le attribuzioni del “giudice” (si veda articoli 106 e 108, L.F.), non si svolge sotto la sua “direzione” (articolo 104, L.F.) e non si compie più nella forma dei “provvedimenti” (ancora articoli 106 e 108) come avveniva nell’architettura originaria della legge fallimentare, ma costituisce, ormai, una prerogativa istituzionale del curatore (si veda 104-ter e 107, L.F.)”;

  1. nell’ambito dell’espropriazione immobiliare, il giudice dell’esecuzione, a meno che non ravvisi l’esigenza di procedere direttamente a tutela degli interessi delle parti (articolo 591-bis,p.c.), deve delegare le operazioni di vendita a un professionista a ciò abilitato.

In sintesi, stando a quanto affermato dal Tribunale di Lecco, non ha alcun senso chiedersi come le 2 procedure in esame possano svolgersi contemporaneamente e indipendentemente, pur avendo a oggetto lo stesso bene, in quanto la liquidazione concorsuale costituisce un genus a sé stante e non è annoverabile tra le “procedure esecutive”, pur appartenendo “al genere delle vendite coattive” ed essendo “soggetta al medesimo regime di diritto sostanziale (articoli 2919 e ss., cod. civ.)”.

In particolare, a parere di scrive, appare interessante il passaggio in cui il Tribunale di Lecco sottolinea come i benefici derivanti dalla competizione tra l’azione esecutiva individuale e la liquidazione concorsuale siano ben maggiori degli inconvenienti paventati dal creditore ipotecario, in quanto una maggiore competitività “ha lo scopo (e produce comunemente il risultato) di assicurare la più spedita realizzazione dei beni del debitore e, quindi, il più rapido soddisfacimento dell’interesse del creditore fondiario tutelato dall’articolo 41, Tub”.

La coesistenza delle 2 procedure, quindi, sarebbe lungi dal costituire un ostacolo al miglior e più efficiente realizzo del bene e, anzi, consentirebbe di sfruttarne pienamente le potenzialità commerciali. Ciò, in particolare, è dovuto al fatto che le caratteristiche e la durata della pubblicità commerciale che il curatore è tenuto per legge ad approntare non trovano alcun riscontro nella procedura esecutiva individuale.

Peraltro, a maggior tutela del creditore fondiario, mentre il giudice dell’esecuzione non è soggetto ad alcun tipo di responsabilità civile nel caso in cui la vendita al di sotto dei valori di mercato sia stata cagionata dalla scelta di mezzi pubblicitari inadeguati, al contrario il curatore può essere chiamato a rispondere di tale inadempienza.

 

Le modifiche introdotte dal Codice

Il caso esaminato era disciplinato dalla ormai “vecchia” Legge Fallimentare e, quindi, appare opportuno un breve cenno alle novità introdotte dal Codice.

L’articolo 7, L. 155/2017 (c.d. Legge Delega) prevedeva che il Governo, al fine di potenziare la disciplina della liquidazione giudiziale, dovesse “escludere l’operatività di esecuzioni speciali e di privilegi processuali, anche fondiari”, consentendo di mantenere in vita il privilegio fondiario “sino alla scadenza del secondo anno successivo a quello di entrata in vigore del decreto legislativo ovvero dell’ultimo dei decreti legislativi emanati in attuazione della delega…”.

Tuttavia, come rilevato dai primi commentatori[2], il D.Lgs. 14/2019 – con il quale è stato adottato il Codice – parrebbe essersi discostato dalla delega, in quanto l’articolo 150, Codice, riproduce fedelmente – fatti salvi i necessari adattamenti lessicali – l’articolo 51, L.F., lasciando quindi intendere che l’articolo 41, comma 2, Tub, che non è stato interessato dalla Riforma, debba essere interpretato nel senso che l’azione esecutiva individuale del creditore fondiario può essere iniziata o proseguita anche dopo la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale.

Altri commentatori[3], più di recente, hanno messo in discussione tale impostazione e sostengono che il Codice, a ben vedere, avrebbe escluso il privilegio processuale fondiario nella liquidazione giudiziale in quanto:

  • l’articolo 369, Codice – che contiene alcune disposizioni di coordinamento volte ad armonizzare la nuova disciplina del Codice e il D.L. 385/1993 – ha modificato, dal punto di vista lessicale, diverse disposizioni del Tub, sostituendo il termine “fallimento” e i suoi derivati con il nuovo termine “liquidazione giudiziale”, senza tuttavia modificare il testo dell’articolo 41, Tub, che quindi sarebbe applicabile solamente alle procedure fallimentari ancora in corso, ma non alle liquidazioni giudiziali;
  • l’articolo 216, Codice, nel quale è confluito l’articolo 107, comma 6, L.F., non fa alcun riferimento ai casi di deroga previsti dall’articolo 150, Codice (articolo 51, L.F.) e, pertanto, per quanto previsto dall’articolo 216, comma 10, Codice, se sussistono procedure esecutive alla data di apertura della liquidazione giudiziale il giudice delegato, su istanza del curatore, dichiara l’improcedibilità dell’esecuzione, anche nel caso in cui quest’ultima sia stata promossa da un creditore fondiario, sancendo quindi la fine della distinzione tra procedure esecutive ove siano presenti creditori fondiari e procedure esecutive in cui tali tipologie di creditori siano assenti (fermo restando che l’azione individuale esecutiva può proseguire anche a seguito dell’apertura della liquidazione giudiziale, laddove il curatore ritenga conveniente non chiederne l’interruzione).

Altri commentatori[4], tuttavia, si discostano da tale interpretazione, in quanto, pur riconoscendo che l’articolo 369, Codice, nel modificare varie disposizioni della L. 385/1993 al fine di coordinarle con il Codice, non si occupa dell’articolo 41, Tub, richiamano il precedente articolo 349, Codice, il quale stabilisce che nelle disposizioni normative vigenti il termine “fallimento” deve intendersi sostituito, con salvezza di continuità della fattispecie, dalla locuzione “liquidazione giudiziale” e, pertanto, non vi sarebbe motivo di ritenere che l’articolo 41, Tub, sfugga a tale regola.

Ne consegue che nella procedura di liquidazione giudiziale “il privilegio fondiario è sopravvissuto e deve ritenersi tuttora operante, pur se ormai anacronistico e disfunzionale, atteso che il legislatore delegato non ne ha disposto la soppressione né all’attualità, né al termine del periodo di 2 anni dall’entrata in vigore del Codice”.

In conclusione, in attesa di ulteriori sviluppi, l’accelerazione impressa dal legislatore del Codice alle operazioni liquidatorie e alla distribuzione del ricavato delle vendite[5] parrebbe comunque aver reso superflua una norma finalizzata ad assicurare un più veloce realizzo del credito fondiario, in quanto tale credito può essere soddisfatto nell’ambito della liquidazione giudiziale con tempistiche potenzialmente inferiori a quelle che caratterizzano le procedure esecutive individuali.

 

[1] Ossia, a seconda dei casi, la revoca, da parte del curatore, dell’asta già fissata a meno che, avendo il fallimento ricevuto un’offerta più alta, intenda contestare davanti al giudice dell’esecuzione l’aggiudicazione fatta dal professionista delegato a un prezzo inferiore al valore di mercato del bene (articolo 586, c.p.c.), ovvero la revoca dell’asta da parte del professionista delegato, con conseguente rinuncia agli atti del processo esecutivo da parte del creditore fondiario, per essere soddisfatto nel fallimento, a meno che, stante il deposito di un’offerta più alta nel processo esecutivo, il predetto creditore intenda contestare davanti al giudice delegato l’aggiudicazione occorsa in sede concorsuale (articolo 108, L.F.).

[2] C. D’Arrigo, “Il trattamento del credito fondiario nel nuovo Codice della crisi d’impresa”, in inexecutivis.it.

[3] L. Gaffuri, “Insussistenza del privilegio processuale fondiario nella Liquidazione Giudiziale”, in Diritto della Crisi del 16 gennaio 2023.

[4] M. Attanasio, “Il privilegio fondiario e il Codice della Crisi”, in Diritto della Crisi del 25 settembre 2023.

[5] Si vedano, ad esempio: 1. l’articolo 213, comma 5, Codice, il quale prevede che il primo esperimento di vendita dei beni della procedura debba essere effettuato entro il termine di 8 mesi dall’apertura della liquidazione giudiziale; 2. l’articolo 216, comma 2, Codice, che impone l’effettuazione di almeno 3 esperimenti di vendita all’anno; 3. l’articolo 220, comma 1, Codice, che prevede che il curatore, ogni 4 mesi a partire dalla data del decreto previsto dall’articolo 204, comma 4, o nel diverso termine stabilito dal giudice delegato, trasmette a tutti i creditori, compresi quelli per i quali è in corso uno dei giudizi di cui all’articolo 206, un prospetto delle somme disponibili, nonché, qualora l’entità del passivo accertato consenta una ripartizione in misura apprezzabile, un progetto di ripartizione delle medesime, riservate quelle occorrenti per la procedura; 4. in generale, il ricorso sistematico alle aste telematiche, nonché la previsione di operazioni di inventario più celeri.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Crisi e risanamento.