27 Marzo 2023

Insanabile la notifica viziata dall’uso di pec non ufficiale

di Luigi Ferrajoli
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La scheda di FISCOPRATICO

Argomento di particolare interesse, nel contenzioso tributario, riveste la legittimità della notificazione della cartella di pagamento al contribuente, proveniente da un indirizzo di posta elettronica certificata non risultante in nessuno dei pubblici elenchi degli indirizzi elettronici previsti per legge, ossia IPA, REGINDE o INIPEC.

Parimenti si ravvisa che, ai sensi dell’articolo 3 bis L. 53/1994, la notificazione con modalità telematica deve essere eseguita a mezzo di posta elettronica certificata all’indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici.

Sul punto, l’articolo 16 ter D.L. 179/2012 (convertito in legge, con modifiche, dalla L. 221/2012), rubricato “pubblici elenchi per notificazioni e comunicazioni”, al comma 1 dispone che: “a decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 6 bis, 6 quater e 62 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, dall’articolo 16, comma 12, del presente decreto, dall’articolo 16, comma 6, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, nonché il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia” e, pertanto, la notifica a mezzo pec è da intendersi validamente effettuata soltanto se effettuata a un indirizzo pec certificato ed inviata da un indirizzo pec anch’esso certificato.

Non solo. L’articolo 57 bis D.Lgs. 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale, “CAD”), ha stabilito, al comma 1, che: “al fine di assicurare la pubblicità dei riferimenti telematici delle pubbliche amministrazioni e dei gestori dei pubblici servizi è istituto l’indice degli indirizzi della pubblica amministrazione e dei gestori di pubblici servizi, nel quale sono indicati gli indirizzi di posta elettronica certificata da utilizzare per le comunicazioni e per lo scambio di informazioni e per l’invio di documenti a tutti gli effetti di legge tra le pubbliche amministrazioni, i gestori di pubblici servizi ed i privati”.

Sulla base di tali presupposti è pacifico considerare che, nel caso in cui mancasse un tale accreditamento, è precluso al contribuente verificare la provenienza del messaggio e, in particolare, la sua attribuibilità alla specifica Amministrazione menzionata come mittente.

In altri termini, il Legislatore ha sancito la necessità che l’attività di notifica avvenga mediante l’utilizzo di indirizzi di posta elettronica risultanti da pubblici elenchi, al fine di assicurare la necessaria certezza sulla provenienza e sulla destinazione dell’atto da notificare e ciò non può valere soltanto rispetto alla parte contribuente.

Nel contesto così delineato, è agevole affermare che non possa reputarsi valida la notifica effettuata dall’Ufficio avvalendosi di indirizzi non ufficiali, poiché ciò non consente l’assoluta certezza della provenienza dell’atto impugnato, atta a comprovare l’affidabilità giuridica del contenuto dello stesso, profili che devono invece essere entrambi garantiti, a salvaguardia della pienezza del diritto di difesa del contribuente.

Infatti, secondo la giurisprudenza di legittimità, la notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi (Cass. Civ. 3093/2020).

La presenza dell’indirizzo del mittente in uno dei pubblici registri, previsti dalla legge, consente al destinatario la riconoscibilità del mittente, garantendo l’identità e la provenienza del messaggio di posta elettronica.

In definitiva, deve affermarsi che il vizio della notifica inviata attraverso pec non ufficiale comporta, quindi, una nullità insanabile, essendo minata proprio la certezza della provenienza della stessa.

Quanto sin qui osservato ha trovato conferma anche nelle recenti decisioni della giurisprudenza di merito.

In particolare, la sentenza n. 6507/17/2022 della CTR Lazio (oggi Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio) ha ribadito che la mancata dimostrazione dell’inserimento della casella di posta elettronica erariale nei registri pubblici “rende la notifica della cartella di pagamento originariamente impugnata inesistente e, come tale, non suscettibile di sanatoria. Atteso che all’inesistenza consegue l’impossibilità di operare la sanatoria, escludendo qualsiasi effetto per raggiungimento dello scopo ex articolo 156 c.p.c. perché utilizzando un indirizzo pec non certificato e non inserito in pubblici registri, il messaggio di posta elettronica difetta di un requisito indispensabile a tal fine, non consentendo al destinatario di essere messo in condizioni di conoscerne il contenuto, senza correre il rischio di essere attaccato da c.d. “Malware””.