16 Settembre 2015

Il contratto di consignment stock

di Fabio Pauselli
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Nell’ambito dei traffici internazionali gli operatori economici ricorrono sempre più frequentemente all’utilizzo di depositi merci nei vari mercati di sbocco, al fine di minimizzare tutti quegli oneri connessi con lo stoccaggio, il trasporto e la logistica degli stessi beni. In questo filone si inserisce anche il contratto di consignment stock, basato sul trasferimento dei beni del fornitore presso un deposito del cliente il quale, in base alle proprie esigenze, ha la facoltà di effettuare prelievi in qualsiasi momento. In questo modo il diritto di proprietà resta “congelato” in capo al fornitore e si trasferisce al cliente soltanto nel momento in cui questi effettua il prelievo.

Da un punto di vista contrattuale è una tipologia atipica per la nostra disciplina nazionale, riconducibile, in parte, al contratto estimatorio ex. artt. 1556-1558 c.c.; analogamente con quest’ultimo anche con il consignment stock il venditore può benissimo restituire la merce invenduta senza sostenere, così, alcun rischio. In sostanza può essere definito come un contratto commerciale i cui effetti reali vengono differiti ad un momento successivo a quello di stipula.

Da un punto di vista Iva l’operazione si considera, a tutti gli effetti, una cessione intracomunitaria ex art. 41 D.L. 331/1993 e il presupposto impositivo sorge in capo al fornitore soltanto nel momento in cui il cliente preleva i beni dal proprio deposito. In questo modo l’invio della merce in ambito comunitario, pur non perdendo la natura di operazione intracomunitaria, sconta gli effetti fiscali soltanto in un momento successivo coincidente:

  • con l’atto di rivendita o di consumo da parte del depositario/cessionario;
  • allo scadere dei termini stabiliti contrattualmente;
  • comunque entro un anno dalla spedizione.

Al momento di invio dei beni presso il deposito del cliente comunitario il fornitore italiano non dovrà emettere fattura, essendo l’operazione ancora non perfezionatasi. Conseguentemente non sorgeranno nemmeno obblighi in materia di compilazione di elenchi intrastat, anch’essi dovranno essere rinviati al momento in cui l’operazione si considererà effettuata. Inevitabile è la compilazione di un DDT o CRM, nel quale riportare che la merce trasportata non viene trasferita a titolo di proprietà ma soltanto in conto deposito/visione presso il cliente. Il fornitore italiano, inoltre, dovrà annotare il trasferimento della merce nel registro di carico e scarico ex art. 50, c.5 del D.L. 331/1993; in assenza di queste annotazioni, infatti, l’amministrazione finanziaria considererebbe la merce come se fosse venduta all’interno del territorio nazionale con ripresa dell’Iva non applicata e versata e inevitabili conseguenze sanzionatorie. L’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 44/E/2000 ha stabilito che affinché si realizzi il contratto di consignment stock in ambito comunitario, occorre che i beni siano consegnati direttamente al cliente presso un proprio deposito fiscale oppure presso un deposito anche non fiscale presso il quale, tuttavia, i beni rientrino nella piena disponibilità del cliente comunitario.

In tale ambito emergono dei profili interpretativi davvero interessanti nel caso di operazioni triangolari. Ci riferiamo, in particolare, ad una fattispecie che è stata oggetto di analisi da parte dell’Amministrazione finanziaria nella Risoluzione n. 49/E/2008. Un soggetto italiano vende delle merci ad un cliente belga con incarico da parte di quest’ultimo di consegnare la merce presso un proprio cliente francese e, nello specifico, presso dei magazzini nei quali il francese ha accesso esclusivo. Tale operazione, secondo le Entrate, non può configurarsi quale cessione triangolare comunitaria mancando di un requisito essenziale, il passaggio di proprietà tra il cedente italiano e il cessionario belga; questo, infatti, si realizzerebbe soltanto in un momento successivo, rappresentato dall’estrazione dei beni da parte del cessionario francese. Né a tale fattispecie si renderebbe applicabile l’effetto sospensivo legato alla disciplina del contratto di consignment stock, non essendo stato stipulato tra il cedente italiano e il cessionario belga, bensì tra il cessionario belga e il terzo cessionario francese. Per il cedente nazionale, in questo caso, non resterebbe altro che identificarsi direttamente nel Paese di destinazione della merce (Francia) mediante un rappresentante fiscale o identificazione diretta e realizzare una cessione comunitaria tra l’Italia e il rappresentante fiscale. La successiva cessione nei confronti del cliente belga, invece, in Italia si configurerà come una cessione fuori campo Iva per carenza del requisito territoriale mentre risulterà imponibile in Francia. Un tale schema negoziale deve necessariamente essere ricondotto nell’alveo del trasferimento dei beni a se stessi in ambito comunitario, trattandosi di beni che restano di proprietà e in possesso del soggetto nazionale.