10 Febbraio 2022

Il rapporto di specialità reciproca nei reati tributari

di Luigi Ferrajoli
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La scheda di FISCOPRATICO

La Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi della tematica inerente al rapporto di specialità tra le fattispecie di reato contemplate nel D.Lgs. 74/2000.

In particolare, con la sentenza n. 10916/2019, la Suprema Corte si è pronunciata su un ricorso presentato per la parziale riforma della pronuncia con cui la Corte d’Appello di Milano aveva accertato la responsabilità di una moltitudine di soggetti, tra persone fisiche e persone giuridiche, rei di aver organizzato un insidioso sistema di fatturazione per operazioni inesistenti, teso, tra l’altro, al perseguimento di illeciti risparmi d’imposta.

La difesa ricorrente, tra i vari motivi di ricorso, aveva isolato quello concernente il rapporto tra le fattispecie di cui agli articoli 2 e 3 del citato D.Lgs. 74/2000, eccependo la confusione in cui sarebbe incorso il giudice d’appello tra i concetti di inesistenza della prestazione sottostante alla fattura incriminata e di fittizietà dei costi, non andando a circoscrivere il confine tra costi realmente sostenuti e costi indicati in fattura.

I Giudici di Legittimità hanno ricordato che le condotte di cui agli articoli 2 e 8 non possono mai essere ascritte congiuntamente alla medesima persona fisica, nel mentre le altre fattispecie di rilevanza penal-tributaria ben consentono, laddove la determinazione volitiva dei soggetti risulti coerente e uniformemente finalizzata, il loro collegamento per connessione, ai sensi dell’articolo 12, lett. c), c.p.p.

Nel caso in esame, la prima fattispecie di cui all’articolo 8 veniva ascritta in concorso ai ricorrenti, mentre la fattispecie di dichiarazione fraudolenta risultava contestata, in continuazione, nell’arco temporale di interesse.

La Corte, in ordine alla specifica censura, non ha ritenuto comunque fondate le doglianze della difesa, osservando come il punto controverso attinente alla diversa qualificazione giuridica delle fatture (oggettivamente e/o soggettivamente inesistenti) non rileverebbe stricto sensu ai fini dell’integrazione del reato e alla soluzione delle descritte problematiche in tema di specialità reciproca rispetto alle altre fattispecie del Decreto.

Relativamente alla esposta questione circa i profili di insidiosa sovrapponibilità tra la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici e quella fondata su fatture per operazioni inesistenti, la Suprema Corte ha ricordato la riforma introdotta dal D.Lgs. 158/2015 sul tema delle operazioni simulate, oggettivamente o soggettivamente, fissandone i termini di differenziazione rispetto alle operazioni elusive o abusive.

Sul tema, non appare superfluo ricordare la sentenza n. 95/2019, con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale riferita all’articolo 2 D.Lgs. 74/2000, nella parte in cui non prevede soglie di punibilità in ragione dell’importo delle imposte fraudolentemente non dichiarate.

Proprio nell’ambito di tale pronuncia, sapientemente richiamata nella citata sentenza della Suprema Corte, il Giudice delle Leggi ha rievocato la speculare previsione circa l’assenza di soglie di punibilità tanto per coloro che si rendano protagonisti dell’emissione delle fatture false quanto per i soggetti che procedano alla loro concreta utilizzazione, raggiungendo lo scopo di evasione fissato dalla norma.

Tale condivisibile argomentazione si fonda sul rigore del sistema penale-tributario e sul concetto di fattura, a cui è ancorato il metodo di funzionamento del regime Iva, del connesso principio di neutralità dell’imposta, raggiunto attraverso i meccanismi di rivalsa e detrazione.

La stessa Corte di Cassazione aveva, infatti, chiarito, con una serie di precedenti pronunce, che la rilevanza penale nell’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti presuppone che uno dei soggetti dell’operazione sia rimasto del tutto estraneo alle attività di emissione, con ciò precisando che il responsabile di una condotta astrattamente integrante la fattispecie di cui all’articolo 2 non deve aver assunto, nella realtà, la qualità di committente o cessionario della merce o del servizio né la diversa qualifica di erogatore o percettore della prestazione incriminata.

Da ciò deriva che se l’operazione è realmente intercorsa tra i soggetti che figurano quale emittente e percettore della fattura, e tuttavia quest’ultima riguardi operazioni diverse, viene a integrarsi la diversa fattispecie criminosa della dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici e non quella di utilizzo di fatture inesistenti.

In conclusione, possiamo sostenere che il rapporto di specialità qualifica e guida l’interpretazione delle condotte aventi astratto rilievo sotto il profilo penale-tributario, con conseguenti connessi profili anche sotto l’aspetto amministrativo, dal momento che parte della giurisprudenza di legittimità di fatto aderisce alla teoria secondo cui una fattispecie di frode fondata su operazioni soggettivamente inesistenti, siano esse – come sopra detto – integrative della fattispecie di cui all’articolo 2 o della diversa ipotesi disciplinata al successivo articolo 3, realizza uno scopo evasivo circoscritto all’Iva e non già alle imposte dirette.

Diverso sarebbe il caso di consapevole partecipazione del contribuente ad un sistema fraudolento, qualificabile come reato e pertanto determinante l’indeducibilità, anche ai fini impositivi diretti, di qualsivoglia componente negativa, e questo a prescindere dalla fattispecie penale in contestazione.