14 Febbraio 2018

Violazioni in materia di reverse charge: il comma 9-bis.1 – III° parte

di EVOLUTION
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Come per tutti i principali articoli del D.Lgs. 471/1997 (di seguito anche “decreto”), l’articolo 15 del D.Lgs. 158/2015 ha modificato, sempre con effetto 1/01/2016, anche l’articolo 6, recante la disciplina della “violazione degli obblighi relativi alla documentazione, registrazione ed individuazione delle operazioni soggette all’imposta sul valore aggiunto”.
Al fine di approfondire i diversi aspetti della materia, è stata pubblicata in EVOLUTION, nella sezione “Sanzioni”, una apposita Scheda di studio.
Il presente contributo si occupa del trattamento sanzionatorio applicabile in caso di mancata applicazione del reverse charge e applicazione ordinaria dell’Iva.

Il comma 9-bis.1 dell’articolo 6 del D.Lgs. 471/1997 disciplina, sul piano sanzionatorio, la fattispecie in cui un’operazione soggetta a reverse charge sia stata assoggettata al regime Iva ordinario, con conseguente applicazione dell’Iva da parte del cedente/prestatore.

In sostanza, l’Iva è stata assolta, nel senso che la relativa fattura è stata annotata nel registro di cui all’articolo 23 del D.P.R. 633/1972, ma l’assolvimento è stato irregolare, cioè sulla base di un regime diverso rispetto a quello richiesto dal legislatore.

In tale contesto è prevista l’applicazione di una sanzione nella misura fissa da 250 a 10.000 euro, che può essere richiesta, in via solidale, tanto al cedente/prestatore, quanto al cessionario/committente. Valgono anche in questo caso le stesse considerazioni svolte a proposito della norma generale sulla base di commisurazione della sanzione, che è applicabile in base a ciascuna liquidazione (mensile o trimestrale) e con riferimento a ciascun fornitore (circolare AdE 16/E/2017 cit., paragrafo 3).

Fino al 31/12/2015, questa violazione era punita in ragione del 3% dell’imposta irregolarmente assolta, con un minimo di 258 euro. Nell’ipotesi in cui l’imposta non fosse invece stata versata (da parte del cedente che aveva irregolarmente addebitato l’Iva), tornava applicabile la sanzione proporzionale dal 100% al 200% del tributo.

La norma testualmente prevedeva che “[la sanzione del 100% dell’imposta] si applica al cedente o prestatore che ha irregolarmente addebitato l’imposta in fattura omettendone il versamento”.

Tale previsione è stata ora potenziata, non limitando l’applicazione della sanzione proporzionale al caso in cui il cedente/prestatore diretto non abbia versato l’Iva irregolarmente addebitata, ma prevedendo l’irrogazione, a carico del solo cessionario/committente, della sanzione proporzionale del 90% al 180% dell’imposta irregolarmente addebitata nei modi ordinari quando ciò viene determinato da “un intento di evasione o di frode del quale sia provato che il cessionario o committente era consapevole”.

In base all’attuale versione, quindi, non ha importanza che l’Iva non sia stata versata dal proprio fornitore o dal fornitore del proprio fornitore (quest’ultima situazione non veniva espressamente considerata dalla norma previgente, sebbene potesse esser ricondotta nell’ambito applicativo della sanzione in via interpretativa), ma, al fine di comminare la sanzione dal 90% al 180%, rileva unicamente la consapevolezza del cessionario/committente di partecipare ad un circuito fraudolento.

Nel caso da ultimo considerato (consapevolezza di partecipare ad una frode), in capo al cessionario/committente l’Amministrazione finanziaria andrà a recuperare anche l’Iva addebitata a titolo di rivalsa e indebitamente detratta, comminando quindi in aggiunta le sanzioni per illegittima detrazione d’imposta e infedele dichiarazione.

Nell’ipotesi di mera irregolarità, invece, dove l’Iva è stata comunque assolta, l’attuale normativa, sul solco della previgente, fa salvo “il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli articoli 19 e seguenti” del D.P.R. 633/1972.

Senza pretendere di approfondire il tema in questa sede, si fa osservare come nella fattispecie accade che una norma sanzionatoria, qual è il comma in esame, disciplini un aspetto sostanziale del funzionamento del tributo, che, in quanto tale, dovrebbe più coerentemente essere inserito all’interno del D.P.R. 633/1972.

Peraltro, alla luce di principi formatori dell’imposta di matrice comunitaria, verrebbe da affermare che la previsione in commento abbia natura meramente ricognitiva, nel senso che intenda solo dar risalto ad un aspetto giuridico già pacificamente assodato e per tale ragione sia stato ritenuto sufficiente inserirla incidentalmente all’interno di una previsione di carattere sanzionatorio.

Invece, con la sentenza della Corte di Giustizia causa C-564/15, depositata il 26/04/2017, è stata tracciata una linea interpretativa di segno totalmente opposto, della quale, a rigore, anche il legislatore italiano dovrebbe tener conto.

Nella causa citata, ai Giudici del Lussemburgo è stata posta da un tribunale ungherese la questione pregiudiziale in ordine alla conformità alle norme comunitarie di una legislazione interna che preveda il recupero in capo al cessionario, sotto forma di rettifica della detrazione operata, dell’Iva erroneamente addebitata nei modi ordinari dal fornitore, che, sebbene fosse tenuto ad assoggettare ad inversione contabile l’operazione, ha comunque provveduto a versare l’imposta.

La Corte, nel ribadire il principio secondo cui “l’esercizio alla detrazione è limitato alle sole imposte dovute, vale a dire alle imposte corrispondenti ad un’operazione soggetta all’Iva o versate in quanto dovute” (punto 47), osserva chedato che tale Iva non era dovuta e che il versamento della stessa non rispettava un obbligo sostanziale del regime dell’inversione contabile, [il contribuente] non può invocare un diritto a detrazione di tale Iva” (punto 48).

I Giudici comunitari rispondono quindi alla questione pregiudiziale sollevata nel senso che “le disposizioni della direttiva 2006/112 nonché i principi di neutralità fiscale, di effettività e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a chel’acquirente di un bene venga privato del diritto alla detrazione dell’Iva che ha indebitamente versato al venditore sulla base di una fattura redatta conformemente alle norme relative al regime ordinario dell’Iva, mentre l’operazione rilevante era soggetta al meccanismo dell’inversione contabile, nel caso in cui il venditore ha versato detta imposta all’Erario” (punto 57). Tale principio, conclude la sentenza, esige tuttavia che sia possibile ottenere il rimborso dell’Iva indebitamente versata in tempi ragionevoli.

Si vedrà se – ed eventualmente come – il legislatore italiano darà seguito a tale sentenza, che obiettivamente introduce un appesantimento procedimentale legato al recupero dell’imposta indebitamente detratta di non poco conto e mette in discussione l’impalcatura generale del comma 9-bis1.

Nella Scheda di studio pubblicata su EVOLUTION sono approfonditi, tra gli altri, i seguenti aspetti:

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