14 Febbraio 2018

Il ruolo dei comuni nell’individuazione della residenza fiscale

di Marco Bargagli
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Come noto l’articolo 2, comma 2, Tuir prevede che: “ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile”.

Di conseguenza la persona fisica che, per la maggior parte del periodo d’imposta (convenzionalmente 183 giorni), è stata iscritta all’anagrafe dei cittadini residenti (requisito formale), ossia ha stabilito il proprio domicilio o la propria residenza sul territorio nazionale (requisiti sostanziali alternativi) sarà considerata residente in Italia, dove sarà tenuta a pagare le tasse per i redditi ovunque prodotti nel mondo, in base al c.d. worldwide principle.

In merito, occorre precisare che qualora un cittadino italiano intenda emigrare all’estero, dove sarà stabilita la propria residenza fiscale, lo stesso dovrà provvedere alla cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente del suo comune di residenza e, simmetricamente, iscriversi all’AIRE (anagrafe italiani residenti all’estero).

Sullo specifico punto, la circolare n. 304/E del 02.12.1997 (Ministero delle Finanze, Direzione centrale accertamento e programmazione) ha chiarito che: “La cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente e l’iscrizione nell’anagrafe degli italiani residenti all’estero non costituisce elemento determinante per escludere il domicilio o la residenza nello stato ben potendo questi ultimi essere desunti con ogni mezzo di prova anche in contrasto con le risultanze dei registri anagrafici. Da ciò discende che l’aver stabilito il domicilio civilistico in Italia ovvero l’aver fissato la propria residenza nel territorio dello Stato sono condizioni sufficienti per l’integrazione della fattispecie di residenza fiscale, indipendentemente dall’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente”.

Inoltre, prosegue la citata circolare: “Con lo scopo di stabilire la residenza all’estero di un cittadino iscritto all’Aire, occorre effettuare una valutazione d’insieme dei molteplici rapporti, sia personali che reali, che il soggetto intrattiene in Italia al fine di valutare se, nel periodo in cui era anagraficamente iscritto all’estero, aveva perso ogni significativo collegamento con l’Italia.”

In relazione alla corretta individuazione della residenza fiscale della persona fisica, la Guardia di Finanza, con la nuova circolare n. 1/2018, ha fornito precise indicazioni operative.

A titolo esemplificativo, come chiarito dal citato documento di prassi, i verificatori dovranno:

  • nel caso di soggetti iscritti all’AIRE, reperire notizie certe sulla posizione storico anagrafica risultante presso il Comune dell’ultimo domicilio fiscale in Italia;
  • appurare l’esistenza di elementi di collegamento fattuali tra la persona fisica e il territorio dello Stato, con specifico riguardo alla sua permanenza in Italia, all’attività lavorativa svolta, alla partecipazione a riunioni d’affari, all’esistenza di rapporti commerciali, bancari, familiari, al sostenimento di spese sul territorio dello Stato, ecc.;
  • acquisire tutte le informazioni disponibili nelle banche dati (posizione reddituale ed eventuale percezione di redditi da parte di soggetti residenti, possesso di beni mobili ed immobili, titolarità di cariche sociali, esistenza di utenze di cui la persona risulta intestataria – anche indirettamente – e altre circostanze del genere);
  • raccogliere informazioni relative alle movimentazioni di capitali da e per l’estero, al luogo ed alla data di emissione di assegni bancari, nonché agli investimenti in titoli azionari ed obbligazionari italiani (cfr. Manuale operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza – volume III – parte V – capitolo 11, “Il contrasto all’evasione e alle frodi fiscali di rilievo internazionale”, 346 e ss.).

Con specifico riferimento al ruolo degli enti locali nella lotta all’evasione fiscale internazionale, l’articolo 83 D.L. 112/2008, convertito con modificazioni nella L. 133/2008, ha sancito l’obbligo per i comuni italiani di confermare all’Agenzia delle Entrate, entro 6 mesi dalla richiesta di iscrizione nell’anagrafe degli italiani residenti all’estero, che il soggetto richiedente ha effettivamente cessato la residenza nel territorio nazionale.

Più di recente, l’articolo 7, comma 3, D.L. 193/2016, ha novellato l’articolo 83 D.L. 112/2008, prevedendo che i comuni devono inviare al competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate, entro i sei mesi successivi alla richiesta di iscrizione all’AIRE, anche i dati dei soggetti richiedenti.

Infatti, attualmente, a mente dell’articolo 83, comma 17-bis, D.L. 112/2008: “I comuni .. omissis .. inviano entro i sei mesi successivi alla richiesta di iscrizione nell’anagrafe degli italiani residenti all’estero i dati dei richiedenti alla predetta agenzia al fine della formazione di liste selettive per i controlli relativi ad attività finanziarie e investimenti patrimoniali esteri non dichiarati; le modalità di comunicazione e i criteri per la formazione delle liste sono disciplinati con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate da adottarsi entro tre mesi dall’entrata in vigore della presente disposizione”.

 

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