27 Agosto 2015

Territorialità dei servizi Iva: qualità del committente

di Sandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi Tributari
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La tematica relativa all’individuazione della soggettività passiva ai fini Iva per l’applicazione delle disposizioni territoriali, previste dall’art. 7-ter del DPR 633/72, costituisce senza dubbio uno degli aspetti “centrali” per l’applicazione delle nuove regole territoriali in materia. Il regolamento 282/2011 interviene fornendo dei criteri per distinguere il committente “business” (soggetto passivo) rispetto al committente “consumer” (privato).  Tale indagine, infatti, è certamente decisiva per individuare correttamente il luogo di tassazione ai fini Iva delle prestazioni di servizi “generiche” di cui all’art. 7-ter del DPR 633/72 (artt. 44 e 45 della Direttiva 2006/112), per le quali, si ricorda brevemente:

  1. il luogo di rilevanza territoriale è il Paese in cui è stabilito il committente (o destinatario del servizio), se quest’ultimo riveste la qualifica di soggetto passivo d’imposta in detto Stato;
  2. il luogo di rilevanza territoriale coincide con il Paese in cui è stabilito il prestatore, se il committente della prestazione di servizi non riveste la qualifica di soggetto passivo d’imposta nel suo Paese.

Assume quindi fondamentale importanza, per il soggetto che pone in essere la prestazione di servizi, conoscere una serie di informazioni attinenti la controparte dell’operazione (committente o destinatario). A tale fine, il regolamento 282/2011, contiene interessanti precisazioni in merito:

  1. allo “status” del committente, che costituisce la prima condizione essenziale per comprendere il luogo di rilevanza territoriale della prestazione di servizi posta in essere;
  2. alla “qualità” del committente, poiché, pur in presenza di un destinatario del servizio che riveste la qualifica di soggetto passivo, è necessario verificare l’utilizzo del servizio stesso, ossia l’inerenza;
  3. al “luogo” di stabilimento del committente, soprattutto considerando che vi possono essere differenti conseguenze in funzione dello stabilimento in un Paese Ue, piuttosto che in un Paese extra-Ue.

La non corretta individuazione dello status del committente, nonché della sua qualità o del suo luogo di stabilimento, può portare a facili errori nella determinazione del luogo di tassazione Iva del servizio. Come detto, infatti, l’art. 7-ter del DPR 633/72, offre due possibili soluzioni diametralmente opposte (tassazione “a destino” o “all’origine”), e ciò in funzione della qualifica del committente della prestazione.

Le disposizioni comunitarie

Prima di entrare nel merito delle disposizioni regolamentari riguardanti la “qualità” del destinatario (se ne occupa l’art. 18 del predetto regolamento), è bene analizzare le disposizioni della direttiva 2006/112 che riguardano la soggettività passiva ai fini dell’applicazione delle regole concernenti la territorialità delle prestazioni di servizi. In particolare, l’art. 43 prevede due fattispecie:

  1. il soggetto passivo che esercita parimenti attività o effettua operazioni non considerate cessioni di beni né prestazioni di servizi imponibili, deve considerarsi soggetto passivo riguardo a tutte le prestazioni che gli sono rese;
  2. la persona giuridica che non è soggetto passivo identificata ai fini Iva, deve considerarsi soggetto passivo.

Osserva

La prima delle due previsioni citate dall’art. 43 è conseguenza di una sentenza della Corte di Giustizia (6 novembre 2008, causa C-291/07), in cui i giudici europei hanno affermato testualmente che “il destinatario di una prestazione di servizi di consulenza fornita da un soggetto stabilito in un altro Stato membro, il quale destinatario esercita allo stesso tempo attività economiche ed attività che esulano dall’ambito di applicazione di tali direttive, deve essere considerato avente la qualifica di soggetto passivo, anche se la detta prestazione viene utilizzata solo per il fabbisogno di queste ultime attività”. Dal tenore letterale della sentenza riportata si potrebbe, non correttamente, concludere che un soggetto passivo, individuale o collettivo, deve essere considerato tale anche quando riceve servizi che sono utilizzati nella sfera privata del soggetto stesso. A tale proposito, infatti, il quarto considerando della direttiva 2006/112 precisa che lo status di soggetto passivo non può essere riconosciuto “alle prestazioni di servizi ricevute da un soggetto passivo per il proprio uso personale o per quello dei suoi dipendenti”.

La norma nazionale

L’art. 43 della direttiva 2006/112 è stato trasfuso nell’art. 7-ter, co. 2, del DPR 633/72 (nella versione in vigore dal 2010). Tale disposizione, al fine di applicare la regola territoriale delle prestazioni di servizi di cui al precedente co. 1 (trattasi dei servizi cd. “generici”), dispone quando i soggetti (committenti delle prestazioni di servizi) si devono considerare “soggetti passivi” per le prestazioni ad essi rese. In particolare, il predetto co. 2 precisa che sono soggetti passivi:

  1. gli esercenti attività d’impresa, arti o professioni: tuttavia, le persone fisiche si considerano soggetti passivi limitatamente alle prestazioni di servizi ricevute nello svolgimento dell’attività d’impresa o di arte e professione;
  2. gli enti, le associazioni e le altre organizzazioni, di cui all’art. 4, co. 4, del DPR 633/72, anche quando agiscono al di fuori dell’attività commerciale o agricola;
  3. gli enti, le associazioni e le altre organizzazioni, non soggetti passivi, identificati ai fini Iva.

In conformità all’art. 43 della direttiva 2006/112, la nozione di soggetto passivo prevista nell’art. 7-ter è piuttosto ampia, tale da ricomprendere sia gli enti non commerciali, anche quando agiscono al di fuori dell’attività commerciale, nonché gli enti non commerciali, che non svolgono alcuna attività commerciale, ma che sono identificati ai fini Iva. Tali ultimi soggetti, è bene ricordarlo, sono enti identificati ai fini Iva, per obbligo o per scelta, per l’assolvimento dell’imposta sugli acquisti intracomunitari di beni, di cui all’art. 38, co. 6, del D.L.331/93, e per i quali è in ogni caso precluso il diritto alla detrazione dell’imposta sugli acquisti.

Come si desume dal contenuto del co. 2 dell’art. 7-ter, che si riferisce come precisato alla soggettività passiva per i servizi resi, è necessario evidenziare due aspetti:

  1. enti, associazioni ed altre organizzazioni: per tali soggetti, al fine di verificare lo status di soggetto passivo, è sufficiente il possesso della partita Iva, a differenza di quanto accadeva fino al 2009, in cui era necessario verificare l’effettivo utilizzo del servizio (se la prestazione era riferita alla sfera istituzionale, il committente si qualificava come privato, mentre se l’utilizzo del servizio era riferito alla sfera commerciale dell’ente, tale soggetto era considerato soggetto passivo);
  2. imprenditori individuali e professionisti: per tali soggetti, rimane il “dualismo” tra l’utilizzo nella sfera privata del servizio (nel qual caso il committente non riveste la qualifica di soggetto passivo), e l’utilizzo del servizio stesso nella sfera imprenditoriale/professionale (in tal caso, invece, il committente è soggetto passivo Iva).

Differenze tra norma nazionale e norma comunitaria

Le disposizioni nazionali sopra esaminate, con particolare riguardo all’art. 7-ter co. 2, non sono del tutto allineate alla normativa comunitaria prevista nella direttiva 2006/112. Più nel dettaglio, mentre l’art. 44 della predetta direttiva prevede la rilevanza territoriale dei servizi resi a soggetti passivi d’imposta in altro Stato membro (cd. “B2B”) nel Paese del committente, solo se quest’ultimo agisce in quanto tale, e quindi nella sua veste di soggetto passivo, nell’art. 7-ter, come visto, la distinzione tra sfera imprenditoriale e sfera privata di utilizzo del servizio assume rilevanza solo laddove il committente della prestazione di servizi sia una persona fisica. In buona sostanza, salvo il caso, poc’anzi descritto, della persona fisica, per la normativa domestica in materia di territorialità delle prestazioni di servizi, deve considerarsi soggetto passivo il committente che agisce nell’esercizio di impresa o di arte o professione, a prescindere dalla destinazione del servizio. In altre parole, sussiste una sorta di presunzione di soggettività Iva in capo ai soggetti diversi dalle persone fisiche.

Qualità del committente

Come anticipato in premessa, il regolamento 282/2011 interviene nell’art. 19 sulla “qualità” del destinatario della prestazione di servizi. Infatti, la verifica dello “status” del destinatario è condizione necessaria, ma non sufficiente, per poter individuare il criterio di tassazione delle prestazioni di servizi (B2B o B2C), in quanto è necessario altresì comprendere l’inerenza del servizio allo svolgimento dell’attività d’impresa esercitata dal destinatario. D’altro canto, come detto, l’art. 44 della direttiva 2006/112, ai fini del luogo di tassazione delle prestazioni di servizi, richiama il soggetto passivo “che agisce in quanto tale”, essendo quindi possibile, in linea di principio, che qualsiasi soggetto, che abbia lo status di soggetto passivo, possa agire, per la specifica prestazione di servizi, anche al di fuori dell’attività d’impresa, o di arte o professione.

L’art. 19 del regolamento prevede tre “situazioni”, due delle quali sono riferite alla sfera di utilizzo del servizio, mentre la terza si riferisce all’ipotesi in cui il destinatario del servizio abbia comunicato al prestatore il suo numero di identificazione ai fini Iva in relazione all’acquisto di un determinato servizio.

Caso 1: servizi destinati ad uso esclusivamente privato o dei dipendenti del soggetto passivo

Il co. 1 dell’art. 19 del regolamento precisa che un soggetto passivo non deve essere considerato tale quando riceve servizi destinati ad uso esclusivamente privato o dei suoi dipendenti. A tale proposito, è bene osservare che il concetto di “uso privato” non coincide necessariamente con quello di utilizzo del servizio per finalità estranee all’esercizio dell’impresa, altrimenti non avrebbe significato l’attribuzione della qualifica di soggetto Iva anche agli enti non commerciali identificati ai fini Iva soltanto al fine di applicare l’imposta sugli acquisti intracomunitari. Tali ultimi soggetti, come già precisato, non svolgono in alcun modo un’attività d’impresa.

Un esempio in tal senso potrebbe essere quello di acquisto, da parte del soggetto passivo, di un corso per l’apprendimento dell’inglese a favore dei suoi dipendenti. In tal caso, non vi sono dubbi che tale servizio non sia estraneo all’esercizio dell’attività d’impresa, ma la destinazione ad utilizzo dei dipendenti di tale prestazione potrebbe determinarne un’estraneità all’attività d’impresa.

Caso 2: servizi destinati promiscuamente ad uso sia personale che professionale

Il co. 3 dell’art. 19 del regolamento si occupa invece dell’ipotesi in cui il servizio sia utilizzato promiscuamente, sia per “uso privato” (compreso quello dei dipendenti), sia per “fini professionali”. In tal caso, precisa l’art. 19, la prestazione di servizi rientra nel campo di applicazione dell’art. 44 della direttiva 2006/112, nel senso che si rende applicabile, per l’intero corrispettivo il regime di individuazione del luogo di tassazione previsto per i servizi resi a soggetti passivi d’imposta (B2B), e quindi la tassazione nel Paese del committente.

Come opportunamente segnalato, la suddetta disposizione era già presente nella proposta di regolamento (Doc. Com. 672/2009), in cui si stabiliva, per motivi di semplificazione, l’attrazione alla sfera professionale del servizio utilizzato promiscuamente, nei modi anzidetti. Tale regola di attrazione, tuttavia, se da un lato solleva il prestatore da difficili valutazioni riguardanti l’inerenza del servizio, dall’altro non esime il committente dalla valutazione della quota di servizio eventualmente destinata ad utilizzo extra professionale, per la quale non è possibile esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta (in sede di reverse charge), come stabilito dall’art. 168 della direttiva 2006/112.

Caso 3: il committente ha comunicato al prestatore il proprio numero di identificazione Iva

Il co. 2 dell’art. 19 del regolamento disciplina l’ipotesi in cui il destinatario del servizio abbia comunicato al prestatore il proprio numero di identificazione ai fini Iva. Anche in tal caso, per evidenti motivi di semplificazione, è stabilito che il prestatore, a meno che non disponga di informazioni contrarie, “può considerare che i servizi sono destinati all’attività economica del destinatario”. Tale “presunzione”, se da un lato, come detto, risponde a logiche semplificatrici, dall’altro non può ritenersi del tutto allineata alla normativa domestica (art. 7-ter, co. 2, del DPR 633/72), la quale, come segnalato in precedenza, prevede quanto segue:

  1. committente soggetto diverso da una persona fisica (società ed enti): i servizi si considerano sempre inerenti all’attività d’impresa;
  2. committente persona fisica: in tal caso, è necessario svolgere un’indagine sull’effettivo utilizzo del servizio da parte del committente, e ritenere inerente solamente il servizio effettivamente utilizzato nella sfera  professionale.

Proprio in relazione a tale ultima fattispecie, quindi, la disposizione interna non sembra del tutto allineata alla disposizione regolamentare, la quale richiede, come elemento sufficiente per individuare l’inerenza del servizio all’attività d’impresa, la comunicazione della partita Iva da parte del committente. In tal caso, quindi, si può presumere che tale soggetto agisca nella sua qualifica di soggetto passivo.