1 Luglio 2016

Sul riclassamento di strutture ricettivo – alberghiere

di Giovanni ValcarenghiGiuseppe Calautti
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Ultimamente si sta assistendo a provvedimenti di classamento da parte dell’Amministrazione finanziaria che interessano strutture ricettive alberghiere (come ad esempio i villaggi turistici), attraverso i quali unità abitative minime, come ad esempio i bungalow, vengono di fatto equiparati ad unità immobiliari con potenzialità funzionale e reddituale autonoma.

Per essere più precisi, in più di un’occasione, ed in particolare nelle zone di villeggiatura, si è assistito alla attribuzione di classe A/2 (rispetto alla precedente D/2) ai bungalow, a seguito di sopralluoghi di funzionari dell’Agenzia del Territorio.

Tali modifiche sono motivate, sostanzialmente, sul contenuto:

  • della circolare dell’Agenzia del Territorio n. 4/T del 16 maggio 2006;
  • e della risoluzione n. 8/E del 2014.

Nel primo documento di prassi citato, si sostiene preliminarmente la piena autonomia dell’ordinamento catastale rispetto a quanto dettato dalle norme urbanistiche e, quindi, per questa via l’Amministrazione finanziaria considera del tutto fattibile il frazionamento delle RTA in diverse categorie catastali. 

Il secondo documento, in risposta ad un quesito specifico, afferma che, in ragione delle caratteristiche degli immobili, è possibile che anche un D/2, in coerenza con le caratteristiche tecniche rilevabili, possa essere riaccatastato in una delle categorie del gruppo “A”.

Sulle conseguenze pratiche della coesistenza di dati catastali diversi da quelli urbanistici si dirà in seguito.

Eccependo innanzitutto la bontà dell’interpretazione compiuta dall’Amministrazione finanziaria riguardo all’articolo 2 del D.M. del 2/1/1998, poiché è indubbio che non si può certo attribuire “potenzialità di autonomia funzionale e reddituale – come stabilito dalla norma citata – ai bungalow, perché adatti al solo uso stagionale estivo, difettando di allacciamenti stabili e autonomi alle reti tecnologiche (acquedotto comunale, gas metano, ed energia elettrica), sorge un ulteriore e rilevante problema riguardo alla fiscalità locale (IMU e TASI) delle unità interessate dal nuovo classamento.

Ad opinione di chi scrive, infatti, le maggiori problematiche per un’azienda turistico alberghiera destinataria di un simile provvedimento si riflettono sulle imposte di natura patrimoniale e non tanto per gli aspetti legati all’imposizione indiretta e diretta.

Partendo dalla considerazione che tali unità abitative minime sono inserite in un complesso turistico dove vengono erogati altri servizi (come, ad esempio, ristorazione, pulizie, cambi di biancheria, intrattenimento, sorveglianza etc.), si può legittimamente affermare che, anche qualora tali unità fossero riclassificate da D/2 in A/2, nulla cambierebbe in tema di fiscalità diretta che indiretta, in quanto la messa a disposizione dei turisti di un immobile, ora riclassificato in abitativo, non configurerebbe mai una mera locazione abitativa, evitando così tutti i pregiudizi derivanti da tale regime, in primis la detraibilità dell’IVA da parte dell’impresa.

Giurisprudenza costante della Cassazione (ex multis, sentenza 20 marzo 2014, n. 6502), ha sostanzialmente affermato che il discrimine tra mere operazioni locative ed operazioni che rientrano nell’attività propriamente commerciale, come ad esempio quelle di un’impresa alberghiera, deve essere individuato nella presenza o meno di forniture di servizi che non siano meramente accessori alla locazione.

Pertanto, qualora le unità abitative in commento siano locate – nell’ambito di un’attività riconducibile al settore turistico-alberghiero secondo la normativa regionale di settore ad uso turistico – i relativi canoni resteranno assoggettati  ad IVA con applicazione dell’aliquota del 10 per cento, ai sensi del n. 120 della Tabella A, parte III, allegata al DPR n. 633 del 1972 (cfr. circolare 1 marzo 2007, n. 12/E e risoluzione 10 agosto 2004, n. 117/E), riferito alle prestazioni di alloggio in strutture ricettive.

Anche ai fini dell’imposizione diretta un eventuale classamento delle unità immobiliare da D/2 a A/2 non comporterebbe cambiamenti sotto il profilo dell’imposizione, posto che l’attività svolta dalla società con abitualità e con organizzazione di capitale e lavoro (art. 55 del TUIR) rimarrebbe nell’ambito d’impresa; conseguentemente gli immobili seppur accatastati in categoria abitativa non perderebbero il requisito di strumentalità. In altre parole, configurandosi i bungalow come immobili strumentali per destinazione rispetto alla finalità dell’impresa turistico alberghiera, i relativi proventi derivanti dalla locazione degli stessi concorrerebbero a formare il reddito in base a costi e ricavi e non secondo le modalità proprie dei redditi fondiari.

Come anticipato, dunque, i profili più critici si riscontrano nell’ambito della liquidazione e pagamento dell’IMU e della Tasi dovendo il contribuente fare riferimento ai dati catastali. In assenza di una ritrattazione dell’Amministrazione finanziaria si aprirà la strada a numerosi contenziosi nell’ipotesi in cui il contribuente non dovesse liquidare le imposte locali sulla base delle nuove risultanze catastali che con ogni probabilità comportano un esborso maggiore.

Ma il maggior tributo non è l’unico aspetto da considerare, giacché si creerebbe una situazione paradossale dove, all’interno della stessa pubblica Amministrazione, coesisterebbero situazioni catastali, gestite dall’Amministrazione finanziaria, ben diverse dalle situazioni urbanistiche, ad appannaggio delle Amministrazioni locali. Queste asimmetrie, a ben vedere, potrebbero creare problemi anche in altri ambiti, si pensi ad esempio alle ipotesi di compravendite di immobili che di fatto potrebbero bloccarsi.

Da qui l’auspicio di un provvedimento a livello centrale che chiarisca la portata dell’articolo 2 del D.M. del 2/01/1998, specificando l’esclusione dei bungalow dalle unità immobiliari con potenzialità funzionale e reddituale autonoma.