20 Ottobre 2018

Sui profili penali dell’esterovestizione

di Marco Bargagli
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Come noto la corretta qualificazione della residenza fiscale dei soggetti passivi Ires trova una sua precisa collocazione nell’articolo 73, comma 3, Tuir, il quale prevede tre criteri, alternativi tra di loro, che consentono di individuare la residenza fiscale della persona giuridica: la sede legale, l’oggetto sociale, la sede dell’amministrazione.20

In riferimento agli eventuali profili penali tributari dell’esterovestizione societaria si è recentemente pronunciata la suprema Corte di Cassazione, Sezione 3 penale, con la sentenza n. 41683 del 26.09.2018.

In particolare, a seguito di una verifica fiscale, l’Amministrazione finanziaria contestava l’esterovestizione societaria a carico di una società con sede legale a San Marino, con contestuale segnalazione alla competente Autorità Giudiziaria per il reato previsto nell’ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi (ex articolo 5 D.Lgs. 74/2000) e occultamento o distruzione di documenti contabili (ex articolo 10 D.Lgs. 74/2000).

In via preliminare, il giudice di legittimità ha fornito la definizione di sede amministrativa e sede effettiva dell’ente, intesa, sulla base di un costante approccio della giurisprudenza, come il luogo nel quale la società ha il centro effettivo di direzione e di svolgimento della sua attività, ove risiedono gli amministratori, sia convocata e riunita l’assemblea sociale, si trovino coloro che hanno il potere di rappresentare la società, ossia il luogo deputato o stabilmente utilizzato per l’accentramento dei rapporti interni e con i terzi in vista del compimento degli affari e della propulsione dell’attività dell’ente e nel quale hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e dove operano i suoi organi amministrativi o i suoi dipendenti.

Ai fini penali, secondo la Corte,  l’obbligo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte di una società avente residenza fiscale all’estero sussiste se detta società ha una stabile organizzazione in Italia, “il che si verifica quando si svolgano in territorio nazionale la gestione amministrativa e la programmazione di tutti gli atti necessari affinché sia raggiunto il fine sociale, non rilevando il luogo di adempimento degli obblighi contrattuali e dell’espletamento dei servizi”.

La prova dell’esterovestizione e della natura fittizia della sede legale estera era stata desunta, da parte del giudice di merito, acquisendo numerosi elementi indiziari, di seguito evidenziati:

  • la titolarità di rapporti di conto corrente bancario sia in Italia che in San Marino, ma l’utilizzo di quelli accesi in Italia per la gran parte delle operazioni;
  • la testimonianza dell’unica dipendente della società, che aveva riferito “di avere avuto esclusivamente contatti con un avvocato (e non con il legale rappresentante) che la aveva proposto l’assunzione e di non aver mai svolto, però, alcuna attività per la società, dalla quale, anzi, non era stata nemmeno retribuita, e della cui attività era all’oscuro”;
  • la presenza di un’operatività societaria lunga circa nove anni, a fronte della quale l’imputato aveva allegato un contratto di locazione finanziaria di un capannone situato a San Marino di durata biennale;
  • il contemporaneo svolgimento, da parte dell’imputato, di un’attività in altro luogo ove era stata aperta una seconda sede;
  • il fatto che la documentazione mancante non risultava depositata presso lo Stato di residenza formale della società;
  • la circostanza che a San Marino erano state rinvenute, presso uno studio commerciale, un esiguo numero di fatture attive passive a fronte di un ingente fatturato complessivo nel triennio di riferimento;
  • il fatto che a fronte di nove anni di attività, erano stati prodotti solo i bilanci relativi a due annualità e le dichiarazioni fiscali erano state depositate dopo oltre dieci anni;
  • il rinvenimento presso l’abitazione dell’imputato di timbri, moduli, corrispondenza ed altra documentazione relativi alla società esterovestita non rinvenuti nella sede sammarinese della stessa.

Quindi la prova dell’esterovestizione non derivava, ai fini penali-tributari, da mere presunzioni fiscali, ma da un preciso quadro indiziario penalmente rilevante, basato su numerosi elementi raccolti nel corso del giudizio di merito.

Ciò posto, ai fini penali il contribuente è stato assolto per il delitto previsto per l’omessa presentazione della dichiarazione, per l’impossibilità di stabilire, oltre ogni ragionevole dubbio, il superamento della soglia di punibilità prevista dalla norma.

Di contro, il legale rappresentante della società è stato condannato per l’occultamento delle scritture contabili reperite presso soggetti terzi e non esibite ai verificatori.

Tale reato è infatti punito a prescindere dall’entità dell’imposta evasa, tenuto conto che l’elemento costitutivo della fattispecie delittuosa è costituito dall’impossibilità di ricostruire il reddito od il volume d’affari derivante dalla distruzione o dall’occultamento di documenti contabili.

A parere degli ermellini, il reato di occultamento delle scritture contabili è escluso solo quando il risultato economico delle operazioni prive della documentazione obbligatoria può essere ugualmente accertato in base ad altra documentazione conservata dall’imprenditore interessato; solo in questo caso, infatti, “manca la necessaria offensività della condotta”.

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