Senza mark-up gli addebiti infragruppo per servizi “pass through”
di Fabio LanduzziIl tema dei servizi infragruppo nell’ambito dei gruppi internazionali rappresenta sistematicamente un’area densa di potenziali criticità, in modo particolare quando l’impresa italiana riceve gli addebiti dall’impresa associata estera, ma il problema non è da trascurare anche quando è l’impresa italiana a fungere da service provider.
In quest’ultima circostanza, l’attenzione va posta sulla congrua valorizzazione, secondo il principio di libera concorrenza, dei servizi resi alle imprese associate estere, che sovente sono remunerate secondo un modello a cost plus, ossia sulla base dei costi sostenuti a cui viene applicato un mark up solitamente variabile a seconda dell’intrinseco “valore” dei servizi resi.
All’interno di queste relazioni non è raro che coesistano due grandi tipologie di servizi e quindi di addebiti infragruppo:
- la prima, riferita ai servizi che l’impresa associata rende in proprio utilizzando l’organizzazione di cui è dotata;
- la seconda, riferita invece ai servizi acquistati ad hoc da terzi soggetti indipendenti e volti a dare una diretta utilità all’impresa estera associata.
Nel gergo comune si parla spesso in questa seconda circostanza dei c.d. addebiti “pass through” allo scopo di sottolineare che l’intervento dell’impresa locale è sostanzialmente passante, ovvero di mero intermediario nell’acquisto del servizio dal fornitore locale, e nel suo addebito euro su euro all’impresa associata estera – o alle imprese associate estere – nel cui interesse specifico i servizi sono stati acquistati.
La questione talora dibattuta, soprattutto in caso di verifica, è se questi addebiti “pass through” debbano essere oggetto di mark-up da parte dell’impresa associata italiana.
Un utile spunto di riflessione sull’argomento proviene dalla sentenza della Corte di Giustizia di secondo grado di Milano (la n. 1373-2021).
L’Agenzia delle Entrate aveva rilevato nel caso di specie che l’impresa italiana addebitava ad un’impresa associata estera dei corrispettivi per prestazioni di servizi senza applicazione di mark up, e perciò ne aveva contestato la non aderenza al principio di libera concorrenza ex articolo 110, comma 7, Tuir, accertando di conseguenza un maggiore imponibile.
I giudici di prime cure avevano già riconosciuto che il mark-up non era dovuto nel caso di specie, in quanto l’impresa residente aveva agito quale mera mandataria fra il fornitore terzo e l’impresa associata, per cui non aveva fornito in concreto alcun servizio, bensì si era limitata ad addebitare lo stesso costo a sua volta addebitatole dal fornitore terzo indipendente.
Va sottolineato che, dalla lettura della sentenza, emerge che la contestazione si era in particolare basata sul fatto che l’impresa italiana fungeva da service provider verso altre imprese dello stesso gruppo, fornendo un insieme di servizi di supporto in diverse aree; per questi servizi, essa veniva remunerata appunto applicando ai costi sostenuti un congruo mark up.
Fra questi servizi forniti dall’impresa italiana ve ne era uno rivolto a favore di una specifica impresa non residente del Gruppo che a sua volta svolgeva attività di pianificazione strategica del business relativamente ad alcuni dei prodotti commercializzati dal gruppo stesso.
Per i servizi resi, come detto, l’impresa italiana riceveva una remunerazione corrispondente alla somma dei costi, diretti ed indiretti, sostenuti per la loro prestazione, incrementata del mark-up.
Ebbene, dalla base di calcolo del mark up, erano esclusi appunto gli oneri definiti “pass-through“, che erano rappresentati dai compensi corrisposti ai fornitori terzi.
La CGT di secondo grado di Milano ha confermato la correttezza dell’operato della società residente, riconoscendo che, ove essa avesse agito come mera “intermediaria” tra l’utilizzatrice del servizio e l’impresa terza prestatrice, limitandosi al solo addebito all’impresa associata estera dei costi sostenuti presso il fornitore terzo indipendente, non si rendeva richiesta l’applicazione del mark-up, in quanto la stessa non prestava un vero e proprio servizio e quindi non apportava alcun sensibile valore aggiunto al servizio medesimo.
L’utile spunto che proviene dalla citata sentenza è appunto quello di indirizzare verso un adeguato grado di dettaglio nella composizione degli addebiti infragruppo, andando a distinguere fra quelli che si configurano come veri e propri servizi resi attraverso l’organizzazione dell’impresa – che siano a basso o alto valore aggiunto – e quelli che invece si qualificano come meri addebiti “pass through” e perciò privi di un qualsivoglia valore aggiunto, con la conseguenza di giustificare l’assenza di mark up, od eventualmente un mark up minimo volto a remunerare il solo mero servizio amministrativo correlato all’addebito.