17 Aprile 2023

La plusvalenza e le minusvalenze da lease back: ultimi spunti giurisprudenziali

di Paolo Meneghetti - Comitato Scientifico Master Breve 365
Scarica in PDF

Il Tuir contiene norme che regolano la disciplina delle plusvalenze o minusvalenze da operazione di lease back?

La risposta a questa domanda è fondamentale poiché se essa fosse positiva allora sarebbe necessario seguire le regole ivi contenute, se essa fosse negativa si potrebbe invocare il principio di derivazione semplice e ritenere rilevante, ai fini della determinazione del reddito, ciò che è iscritto nel conto economico.

Questo dibattito è in corso e vede da una parte la tesi sostenuta dalla dottrina e, possiamo dire, anche da un orientamento della giurisprudenza della Corte di Cassazione, e dall’altra vi è la posizione della Agenzia delle Entrate, che accetta solo in parte le argomentazioni contrarie al proprio pensiero.

Poniamo il caso più classico del lease back immobiliare, che si sostanzia in una cessione di fabbricato che produce plusvalenze e in un correlato contratto di leasing immobiliare, diciamo di durata 12 anni.

In base al disposto civilistico di cui all’articolo 2425 bis, comma 4, cod. civ., la plusvalenza in oggetto va ripartita lungo la durata del contratto di leasing, considerando che l’intera operazione di cessione e stipula di leasing va vista unitariamente come una operazione di finanziamento con cessione di bene in garanzia, quindi i proventi ad essa correlati vanno inseriti a conto economico in base alla durata con cui i costi per canone vengono addebitati.

Da qui la gestione della plusvalenza conseguita come risconto passivo, per tornare al caso dell’esempio, di ammontare 11/12 della plusvalenza conseguita con la cessione.

Ma questa modalità può essere considerata rilevante anche ai fini fiscali?

Sul punto l’Agenzia delle Entrate intervenne nel 2017, con la risoluzione 77/E/2017, che, richiamando il precedente della risoluzione 38/E/2010 ha affermato che l’imputazione del componente positivo a conto economico in base alla durata del contratto di leasing non è stata accompagnata da una correlata norma fiscale, pertanto ai fini della determinazione dell’imponibile la plusvalenza al massimo può essere rateizzata nella consueta procedura di cui al citato articolo 86 del Tuir.

Per dirla più correttamente, la tesi delle Entrate poggia su un presupposto e cioè che l’operazione di lease back altro non sia se non la somma di due separati negozi giuridici: da una parte la cessione di un cespite ad un soggetto terzo, dall’altra la sottoscrizione di una normale contratto di leasing.

Coerentemente con questa impostazione l’Agenzia fa notare che vi è una norma del Tuir che regolamenta la tassazione delle plusvalenze e cioè l’articolo 86 che al comma 4 permette la rateazione delle stesse in un lasso temporale massimo di 5 anni.

Al centro della questione vi è quindi la qualificazione giuridica ed economica della operazione di lease back, vista unitariamente come negozio avente causa di finanziamento dal codice civile, o, al contrario, spezzata nelle due operazioni che formalmente la generano cioè cessione e contratto di locazione finanziaria.

Tuttavia la risoluzione 77/E/2017 ha preso atto che, con l’applicazione del principio di derivazione rafforzata, lo scenario fiscale muta nel senso che per i soggetti che possono applicare il principio suddetto si avrà rilevanza fiscale anche per il trattamento della plusvalenza di cui all’articolo 2425 bis cod. civ..

Ciò in quanto la derivazione rafforzata permette di dare supremazia anche tributaria al trattamento contabile di una certa operazione per quanto riguarda i seguenti tre aspetti: qualificazione, classificazione ed imputazione temporale.

Qualificando il lease back come una operazione unitaria di finanziamento il trattamento contabile vale anche ai fini della determinazione dell’imponibile.

Ma tutto ciò, concludeva la risoluzione 77/E/2017 solo per chi può applicare la derivazione rafforzata, cioè le società di capitali che redigono almeno il bilancio abbreviato e le micro Srl che per opzione scelgano di redigere il bilancio in forma ordinaria (si vedano, sul punto, le modifiche introdotte dall’articolo 8 D.Lgs. 73/2022).

È su questo punto che va registrata la posizione difforme della Corte di Cassazione con la sentenza n. 29236/2021, nella quale si afferma: “Il contratto di sale and lease back, infatti, ha una causa diversa dal contratto di vendita puro e semplice, trattandosi di un contratto unico, complesso con causa finanziaria non scomponibile nei suoi elementi, e le diverse modalità di iscrizione nel bilancio delle relative plusvalenze, in ossequio ai principi contabili internazionali, ne sono la prova (e la relativa conseguenza).
La causa finanziaria del contratto impedisce difatti di assimilare (a fini fiscali) la somma ricevuta dal concedente al corrispettivo dell’acquirente, ed il fatto che il legislatore tributario non abbia disciplinato la specifica materia non può essere motivo per trarne la conseguenza dell’inapplicabilità ad esso della ripartizione pluriennale, anche a finì fiscali, della plusvalenza ottenuta con la cessione del bene, ben potendo valere l’esatto contrario”
.

E poco oltre conclude: “In tema di determinazione del reddito d’impresa, la plusvalenza ottenuta dalla cessione di un bene in forza di contratto di sale and lease back, contratto socialmente tipico con causa finanziaria (quindi diversa da quella del contratto di vendita), è difatti ripartita, in applicazione dell’articolo 2425-bis c.c., in funzione della durata del contratto di locazione”.

Ai fini di pervenire a tale conclusione, si badi bene, è del tutto irrilevante la circostanza che la società in questione applichi o meno la derivazione rafforzata, poiché l’articolo 86 Tuir è inapplicabile ad una operazione che va trattata non come una vendita e successivo contratto di leasing, bensì come un unitario negozio giuridico/economico dal quale scaturiscono componenti positivi e negativi da trattare con uguale ripartizione temporale.

Si crea quindi un aperto dissidio tra la tesi sostenuta dalle Entrate secondo cui solo le società che applicano la derivazione rafforzata possono diluire la plusvalenza in base alla durata civilistica del contratto di leasing, e la tesi della Cassazione secondo cui le ordinarie regole del Tuir (derivazione semplice) permettono di dare rilevanza anche fiscale alla ripartizione civilistica della plusvalenza.

Nel caso contrario in cui la cessione del cespite al leasing generi una minusvalenza si deve notare che dal punto di vista fiscale la citata circolare 38/E/2010 aveva già ammesso la deducibilità della minusvalenza se generata da una cessione avvenuta a valori di mercato, in piena concordanza con quanto deve ritenersi corretto anche sul piano contabile (OIC 12).

Se, diversamente, la minusvalenza fosse originata da scelte negoziali difformi dal valore di mercato, essa andrebbe imputata a conto economico in base alla durata del contratto di leasing, e, si ritiene, anche dal punto di vista fiscale la deducibilità dovrebbe seguire il corretto comportamento civilistico.