14 Febbraio 2015

Novità per i frontalieri

di Nicola Fasano
Scarica in PDF

Con la Legge di stabilità 2015 (art. 1, comma 690) la franchigia di cui beneficeranno i frontalieri per l’anno di imposta 2015 è stata incrementata a 7.500 euro (in luogo dei 6.700 euro applicabili fino al 2014 e degli 8.000 euro applicabili fino al 2012).

L’agevolazione, pertanto, produrrà i più rilevanti effetti pratici in sede di dichiarazione 2016 relativa al periodo di imposta 2015.

Il credito di imposta per le imposte eventualmente pagate all’estero, ai sensi dell’art. 165 Tuir, andrà pertanto riproporzionato tenendo conto anche dell’aumento della quota di reddito da lavoro dipendente esente.

Si deve ricordare che secondo l’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria (C.M. n. 1/E/2001 e n. 2/E/2003) è frontaliere il (solo) lavoratore dipendente che quotidianamente oltrepassa la frontiera e si reca a lavorare dall’Italia all’estero, in zone di confine e Paesi limitrofi (come per esempio il Principato di Monaco).

In alcuni casi i frontalieri sono soggetti a doppia imposizione in quanto l’art. 15 della Convenzione contro le doppie imposizioni (in materia di redditi di lavoro dipendente), di volta in volta applicabile a seconda dei Paesi, potrebbe non dettare criteri specifici e, pertanto, già per il fatto che i frontalieri sono generalmente pagati da datori di lavoro locali, “scatta” la tassazione concorrente prevista come principio generale dall’art. 15, par. 1 del Modello OCSE (non ricorrendo, già a monte, una delle condizioni di esenzione previste dall’art. 15, par. 2, ossia che la retribuzione non sia pagata da un soggetto residente nel Paese ove l’attività lavorativa svolta). Nessuna deroga alla disciplina generale, per esempio, è dettata dalla recente Convenzione fra Italia e San Marino.

Tuttavia, vi sono Convenzioni che prevedono un trattamento fiscale agevolato per i frontalieri che si muovono in zone di confine, stabilendo che questi siano tassati solo nel Paese di residenza: è il caso per esempio delle Convenzioni stipulate con Austria e Francia. Quest’ultima, peraltro, precisa che per “zone di frontiera” si devono intendere per l’Italia le regioni confinanti (ossia Valle d’Aosta, Piemonte e Liguria) e, per ciò che concerne la Francia, i dipartimenti confinanti.

Discorso a parte, invece, deve essere fatto per i frontalieri con la Svizzera, i quali, in virtù dell’Accordo stipulato nel 1974 e parte integrante della Convenzione, sono tassati in via esclusiva nel Paese dove è svolta l’attività (nel caso degli italiani, pertanto, in Svizzera) qualora si muovano nella c.d. “fascia di confine” di 20 Km.

Al di fuori di tale fascia, il frontaliere rientra nel regime generale, per cui, lato Italia, dovrà ivi dichiarare i relativi redditi fruendo della soglia di esenzione prevista (e determinando, in proporzione al reddito tassabile in Italia, il credito di imposta per le imposte definitive pagate in Svizzera).

Ad ogni modo, i frontalieri che beneficiano della tassazione esclusiva in Svizzera grazie al suddetto Accordo, nel giro di qualche anno (si parla del 2018) vedranno radicalmente modificato il loro trattamento fiscale. Nell’ambito dell’imminente accordo per l’effettivo scambio di informazioni che sarà stipulato in questo mese fra Italia e Svizzera, infatti, i due Paesi hanno convenuto, dal punto di vista dei frontalieri italiani, di abbandonare il sistema di tassazione esclusiva in Svizzera con successivo ristorno all’Italia di parte delle imposte riscosse, optando invece per una tassazione ripartita fra i due Paesi (con il 70% del reddito tassato in Svizzera e il restante 30% tassato in Italia).

Più attuale è invece il tema della voluntary disclosure per tutti i frontalieri. In proposito si deve ricordare come, in linea di principio, tali soggetti, a partire dal periodo di imposta 2009, sono esclusi dagli obblighi di monitoraggio fiscale (art. 38 del D.L. n. 78/2010, la cui applicazione retroattiva è dubbia considerato che con per la regolarizzazione degli anni precedenti, secondo le Entrate, si sarebbero dovute seguire le istruzioni di cui alla C.M. n. 11/E/2010) limitatamente agli investimenti e alle attività finanziarie detenute nello Stato in cui lavorano, fintanto che, semplificando, permane tale condizione. Ciò non toglie, tuttavia, che i frontalieri erano comunque tenuti a dichiarare eventuali redditi esteri (canoni di locazione, dividendi, interessi, ecc.) così come, dal 2012, sono tenuti al pagamento dell’IVIE e dell’IVAFE, salvo non ricorrano le generali condizioni di esenzione.

Per questi soggetti, in linea di massima, sul versante delle imposte e relative sanzioni, sembra più accattivante il “nuovo” ravvedimento lungo delineato dalla legge di Stabilità 2015, se non in termini strettamente economici (costerebbe di più rispetto alla voluntary, sia considerando la minore riduzione delle sanzioni per le regolarizzazioni oltre l’anno, sia considerando il raddoppio dei termini di accertamento per i capitali detenuti in Paesi Black list, il quale non si applica in caso di accordo per lo scambio di informazioni con il Paese estero solo in presenza della voluntary), sicuramente dal punto di vista della maggiore speditezza, nonché “riservatezza” della procedura basata su “classiche” dichiarazioni dei redditi. Ciò anche in considerazione del fatto che i frontalieri non dovrebbero avere il problema del “penale” e, per quanto detto sopra, nella maggior parte dei casi, non dovrebbero avere il problema del mancato adempimento degli obblighi di monitoraggio fiscale rispetto a cui la voluntary presenta, soprattutto per capitali in Paesi black list, una indiscutibile convenienza, contrariamente invece al ravvedimento “lungo”, il quale pone diverse criticità, ad iniziare dalla possibilità di regolarizzare o meno, tramite detto istituto, anche le violazioni da RW, aspetto su cui sarebbe auspicabile una conferma in tempi brevi da parte dell’Amministrazione finanziaria.