2 Maggio 2019

Le gravi incongruenze mutano a seconda del soggetto accertato

di Angelo Ginex
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In tema di accertamento mediante studi di settore, la nozione di grave incongruenza non ha rilevanza assoluta e ricavabile da soglie fisse di scostamento, ma ha natura relativa e mutevole a seconda dei plurimi fattori propri della singola situazione economica, del periodo di riferimento, della storia commerciale del contribuente accertato e del segmento di mercato in cui opera. È questo l’interessante principio sancito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 8855 del 29.03.2019.

La vicenda muove dalla notifica di un avviso di accertamento mediante studi di settore ad una società, dovuto allo scostamento tra l’ammontare dei ricavi dichiarati e quelli derivanti dallo studio.

Detto atto impositivo era quindi oggetto di impugnazione dinanzi alla competente Commissione tributaria provinciale, ma non veniva annullato, nemmeno a seguito di appello, dai giudici di seconde cure, in quanto la contribuente non aveva fornito la prova contraria all’applicabilità nei suoi confronti degli studi di settore.

Seguiva, dunque, ricorso per cassazione da parte della società, ex articolo 360, comma 1 n. 3 c.p.c., per erronea applicazione dell’articolo 10, comma 1, L. 146/1998, dell’articolo 39, comma 1, lett. d), D.P.R. 600/1973 e dell’articolo 62-sexies, comma 3, D.L. 331/1993.

In particolare, stando alle doglianze della ricorrente, non sarebbe stato applicato il cluster corretto, in quanto divergente rispetto ai ricavi e ai costi dichiarati.

Essa, inoltre, riteneva insussistenti le gravi incongruenze che avrebbero dato luogo alla rettifica, in quanto era rilevato uno scostamento del solo 4,73% rispetto a quanto dichiarato.

Tale eccezione, prospettata in senso lato dal ricorrente, non soffriva l’inibitoria di cui all’articolo 57, comma 2, D.Lgs. 546/1992 e, pertanto, poteva essere sollevata per la prima volta anche nel giudizio di legittimità.

I Supremi giudici, accogliendo il ricorso della contribuente, hanno preliminarmente chiarito se la predetta eccezione avesse carattere proprio, ovvero improprio e fosse dunque una mera difesa, in quanto detta disamina avrebbe influito sull’ammissibilità del ricorso.

In particolare, dopo aver ribadito che per eccezioni in senso lato si intendono quelle che lasciano immutati i termini della controversia così come accertati dal giudice di merito, e aver acclarato che l’inibitoria di cui all’articolo 57, comma 2, D.Lgs. 546/1992 concerne le sole eccezioni in senso stretto, i giudici di legittimità hanno riconosciuto la natura di mera difesa dell’eccezione suddetta e ne hanno consentito la proposizione anche nel giudizio di cassazione.

Infatti, ciò che veniva negato era il fatto costitutivo della pretesa impositiva, ossia la sussistenza della grave incongruenza, il quale non richiedeva alcun nuovo accertamento di fatto da parte del giudice di legittimità.

Quanto al merito, invece, essi, dopo aver ricordato che l’articolo 10 L. 146/1998 è stato modificato dalla L. 296/2006, la quale ha soppresso il riferimento alle gravi incongruenze, hanno acclarato che la novella legislativa si applica solo per gli avvisi di accertamento notificati dopo l’1 gennaio 2007, ancorché riguardino annualità precedenti a tale data.

In ogni caso, detto assunto va riconsiderato sulla base del principio comunitario di proporzionalità, già ripreso dalla Corte di Giustizia con sentenza n. 648/2018 relativamente all’Iva e applicabile anche alle imposte dirette, in virtù della prioritaria tutela sancita dall’articolo 53 Cost. (Cfr. Cass., ord. 5327/2019).

Del resto, anche la stessa normativa nazionale prosegue nel far riferimento al grave scostamento in virtù del richiamo all’articolo 62-sexies D.L. 331/1993, che continua ad essere operato dall’articolo 10 L. 146/1998, anche a seguito della novella ex L. 296/2006, e che dunque non ha subito un’abrogazione implicita.

Dalla permanenza del grave scostamento, dunque, deriverebbe la legittimità dell’accertamento induttivo.

Sennonché, con reiterati interventi in sede di legittimità è stato acclarato che la nozione di grave incongruenza varia a seconda di plurimi fattori quali la storia commerciale del contribuente, del segmento di mercato in cui opera e del periodo di riferimento.

Inoltre, al fine di individuare divergenze significative tra i ricavi dichiarati e quelli risultanti dagli studi di settore, si può anche fare riferimento agli articoli 2, comma 1, lett. a) e 1, comma 2, lett. b), D.P.R. 570/1996, i quali ritengono gravi le contraddizioni tra le scritture obbligatorie e i dati e gli elementi direttamente rilevati quando lo scostamento sia superiore al 10% del valore complessivo delle voci interessate.

Pertanto, sono stati ritenuti lievi, e quindi inidonei a fondare la rettifica induttiva, gli scostamenti del 7% (cfr. Cass., sent. 20414/2014), del 4,23% (Cass., sent. 17486/2017), del 10% (Cass., sent. 2637/2019) e del 21% (Cass., sent. 22946/2015).

Nel caso de quo, in definitiva, il mero scostamento del 4,73% è stato giudicato modesto e ciò ha condotto all’annullamento dell’avviso di accertamento.