21 Luglio 2017

Per l’allevamento confermati i valori anche per il biennio 2016-17

di Luigi Scappini
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È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 162 del 13 luglio 2017 il decreto Mef del 15 giugno 2017, con cui vengono confermati, ai fini della determinazione del reddito derivante dall’allevamento di animali, i coefficienti individuati con precedente decreto 20 aprile 2006.

Come noto, se da un punto di vista civilistico il Legislatore non pone limiti al numero di capi allevabili, quando si cala l’analisi sul piano fiscale le condizioni cambiano.

Con la riforma del 2001, il settore dell’allevamento ha riscontrato 3 novità rilevanti, di cui due sono condivise a livello generale; infatti, in primis, è stata introdotta la previsione della cura e dello sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria dello stesso, circostanza che ha determinato il passaggio da un imprenditore statico a uno dinamico avente il fine di svolgere un’attività protesa a un miglioramento in termini quantitativi o qualitativi del prodotto.

La seconda innovazione è data dall’allentamento del rapporto con il fondo che diviene elemento potenziale e non più obbligatorio, dovendo le attività, per essere qualificate come agricole, essere potenzialmente esercitabili sul terreno.

Infine, con specifico riferimento all’allevamento, è stata sostituita la parola bestiame con quello di animali, eliminando in radice la diatriba sull’inclusione o meno degli animali di bassa corte tra quelli qualificanti l’imprenditore come agricolo.

Fiscalmente, a questi requisiti, se ne aggiungono altri per poter dichiarare un reddito fondiario, in quanto il Legislatore richiede che l’attività sia “esercitata” con mangimi ottenibili per almeno un quarto dal terreno detenuto o condotto.

Ne deriva che, ai fini fiscali, l’elemento terreno deve sussistere a prescindere dal suo reale utilizzo, sia esso un fattore produttivo, nell’ipotesi in cui dalla sua coltivazione si ottengano realmente i mangimi per gli animali allevati, o un bene strumentale in quanto utilizzato per lo stazionamento degli stessi.

Ai fini del conteggio, l’articolo 32, comma 2, lettera b), Tuir rimanda a un decreto ministeriale di emanazione biennale; ebbene, l’ultimo decreto è quello del 15 giugno 2017, valevole per il biennio 2016-2017.

La Tabella 3 del decreto individua il numero di capi allevabili in ragione del reddito agrario posseduto. Questa precisazione fa sì che il terreno deve essere posseduto o condotto in forza di un contratto di affitto, a nulla rilevando, al contrario, la concessione in comodato dello stesso.

E che accade nel caso di mancata capienza dei terreni?

L’attività di allevamento di animali origina differenti tipologie di redditi, in ragione dei soggetti che esercitano l’attività.

In particolare, si potranno determinare i seguenti redditi:

In caso di superamento dei limiti si aziona comunque la franchigia e quindi, fino a capienza dei terreni, viene dichiarato un reddito agrario ex articolo 32, Tuir.

Questo vale anche per quanto concerne le società agricole ex D.Lgs. 99/2004 in quanto civilisticamente non perdono il requisito di esercizio esclusivo di attività agricola; tuttavia, tali soggetti non possono azionare le regole di cui all’articolo 56, comma 5, Tuir, in quanto tale facoltà di determinazione forfettaria del reddito, in deroga alle regole analitiche tipiche del reddito di impresa, non viene contemplata da comma 1093 dell’articolo 1, L. 296/2006, con la conseguenza che dichiareranno il reddito eccedente secondo le regole ordinarie di cui all’articolo 55 e ss., Tuir.

Ne deriva che la determinazione forfettaria ex articolo 56, comma 5, Tuir si rende azionabile esclusivamente dalle ditte individuali, società semplici ed enti non commerciali.

Ma, lo sforamento del parametro stabilito dall’articolo 32, Tuir, comporta un ulteriore conseguenza non irrilevante, in quanto, ai sensi dell’articolo 18-bis, D.P.R. 600/1973 è richiesta le tenuta del cd. registro di carico-scarico degli animali.

Il registro rappresenta a tutti gli effetti una scrittura di natura fiscale, con la conseguenza che esso deve essere numerato nel rispetto delle regole di cui all’articolo 2215 codice civile.

Si precisa come, teoricamente, per effetto del dato letterale della norma e della sua interpretazione ministeriale (C.M. 150/1978), il registro deve essere tenuto obbligatoriamente solo in ipotesi di superamento dei limiti di capi allevati che consentono la determinazione catastale, tuttavia, si ritiene preferibile e soprattutto consigliabile tenere il registro a prescindere dal superamento del limite.

Sono obbligate alla tenuta del registro, a prescindere dal numero di capi allevati, le Snc, Sas e Srl anche se il reddito viene determinato in via analitica, per effetto di quanto previsto dall’articolo 2, comma 4, D.L. 90/1990.

Con la C.M. 11/1991 è stato precisato come, per i soggetti sottoposti al regime di contabilità ordinaria, il registro va ad aggiungersi alle scritture contabili prescritte dallo stesso D.P.R. 600/1973.

In chiusura, si ricorda che, sempre con la già richiamata C.M. 150/1978, è stato precisato che il registro, pur rappresentando una scrittura contabile esclusiva, non esonera l’allevatore dal tenere l’ordinaria contabilità civilistica che, tuttavia, non rileva ai fini fiscali.

La fiscalità dell’imprenditore agricolo