14 Luglio 2015

L’accordo di ristrutturazione con le banche, una buona idea

di Claudio Ceradini
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Nella nostra disamina del decreto sulla giustizia civile, per la parte che ha interessato il R.D. 267 del 1942, altresì detta legge fallimentare, ci manca un elemento, non trascurabile, e cioè il nuovo accordo di ristrutturazione del debito, quello con prevalente indebitamento nei confronti degli intermediari finanziari (in gergo, le banche), che trova disciplina nell’art. 186septies L.F., nuovo di zecca. Rimane un accordo di ristrutturazione, e quindi la struttura è assolutamente analoga a quella prevista dall’ormai noto art. 182bis L.F., ma le novità sono utili e, soprattutto per questo, rilevanti.

Ricordiamo per comodità che l’accordo di cui parliamo è uno dei due – e l’unico che pur soffrendo funziona – strumenti non concorsuali di risanamento, o di liquidazione in deficit. È un contratto, stipulato tra debitore e creditori, o perlomeno una parte di essi corrispondente come minimo al 60%, e sottoposto ad un terzo esperto indipendente affinché ne verifichi ed attesti la fattibilità sulla base del piano che lo supporta, analogamente al concordato. Non essendo procedura concorsuale la gerarchia dei privilegi diviene derogabile, con vantaggi non trascurabili. Peraltro tutti i creditori che non aderiscono devono essere integralmente pagati, entro 120 giorni, dall’omologa se già scaduti, o, in caso contrario, dalla scadenza, non applicandosi per fortuna il rinvio all’art. 55 L.F., che invece nel concordato preventivo l’art. 168 L.F., purtroppo, richiama. E qui, al di là di mille questioni tecniche, viene il punto realmente debole dello strumento, perchè il famoso, famigerato, tema del fabbisogno finanziario si moltiplica. Molti, moltissimi piccoli creditori conoscendo i loro diritti decidono di non accettare, procurandosi quindi un prima quasi insperato diritto di incassare integralmente in tempi brevi. La posizione talvolta diventa strumentale, e rischia di minare alle basi tentativi di accordo potenzialmente validi. Qui si inserisce la modifica. Su questo punto, l’art. 9 del decreto introduce la nuova norma e con essa il nuovo istituto, che trova (o meglio può trovare) applicazione quando l’indebitamento finanziario costituisca almeno il 50% del totale. In queste circostanze, ed al fine di evitare che alcune tra le banche, tipicamente quelle meno esposte, strumentalmente oppongano un rifiuto dall’accordo, nella convinzione che le altre, per non perderlo, si sacrifichino a loro vantaggio, si introduce la possibilità di prevedere classi omogenee in cui, a fronte del 75% di adesioni, gli effetti dell’accordo divengano obbligatori anche per il restante 25%. Vale solo per le banche però, non per gli altri creditori.

Il presupposto è che tutti i creditori finanziari parte della classe, omogenei per interessi economici, e a cui si chiede di estendere l’accordo, possano in buona fede partecipare alla trattativa, con piena e completa informazione.

In questo ambito, uno degli elementi più efficaci di difesa del patrimonio del debitore, trova parziale applicazione. Prevede l’art. 182septies, co. 3, L.F. che nella definizione delle classi, necessarie per estendere l’obbligatorietà dell’accordo, non si considerino le ipoteche giudiziali iscritte da banche e più in genere intermediari finanziari nei novanta giorni precedenti la data di pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese. La finestra temporale rispetto al concordato appare più stretta, specie se per ricorso deve intendersi quello di richiesta di omologa, e non anche quello prenotativo, e tuttavia la disposizione non è trascurabile, perlomeno per coloro che in condizioni non gravissima di crisi non decidano di procedere verso l’accordo attraverso il percorso dell’art. 161, co. 6, L.F..

L’opposizione di cui all’art. 182bis, co. 4, L.F. può essere proposta entro trenta giorni dalla notifica, cui il debitore è tenuto, dell’intero ricorso a tutti i creditori che compongono la classe a cui si richiede di estendere gli effetti dell’accordo.

Tre le condizioni per l’omologa dell’accordo, oltre a quelle canoniche:

  1. verifica da parte del tribunale dell’omogeneità degli interessi delle banche cui si richiede l’estensione dell’accordo rispetto alle altre incluse nella classe,
  2. tempestività e completezza dell’informativa sia sulla situazione patrimoniale come anche sugli effetti dell’accordo,
  3. misura della soddisfazione non inferiore a quelle eventualmente alternative, concretamente praticabili.

Analoga potenzialità estensiva dell’accordo è prevista per la sola richiesta di moratoria, talvolta estremamente utile per guadagnare al debitore il tempo necessario alla definizione del risanamento. Anche in questa situazione si assiste nella realtà troppo spesso all’atteggiamento di chi tra le banche “decide di uscire”, minacciando misure (le segnalazioni pregiudizievoli sono le più popolari) in assenza di uno sforzo del debitore in questo senso. Con meccanismi simili a quelli sopra descritti anche in questo caso l’accordo trova estensione rispetto alle banche dissenzienti, con sicuro giovamento del piano di risanamento, cui peraltro rimangono tutti gli altri problemi da risolvere.

Appare come un tentativo, l’introduzione del nuovo strumento, di consentire accordi efficaci, e rapidi, che si impongano ad alcuni dissenzienti in modo ragionevole.

È lo spirito giusto, che però a nostro modesto avviso va applicato ai concordati con falcidia ridotta, come abbiamo avuto modo di esporre qualche settimana fa.

Speriamo bene.

 

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