27 Dicembre 2017

La rilevanza dell’abitazione permanente nel determinare la residenza

di Marco Bargagli
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L’articolo 2, comma 2, del D.P.R. 917/1986 prevede che: “ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile”.

In buona sostanza, il soggetto passivo (persona fisica) che, per la maggior parte del periodo d’imposta (generalmente 183 giorni, ossia 184 in caso di anno bisestile), risulta essere iscritto presso l’anagrafe dei cittadini residenti (requisito formale), ossia ha stabilito il proprio domicilio o la propria residenza sul territorio nazionale (requisiti sostanziali), sarà considerato residente in Italia.

Con la Legge 244/2007 il legislatore ha introdotto nel nostro ordinamento anche una presunzione legale relativa che pone a carico del soggetto passivo, persona fisica, l’onere di dimostrare che si è effettivamente stabilito all’estero. Infatti, si considerano residenti nel nostro Paese, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente che si sono trasferiti in Stati o territori a fiscalità privilegiata (articolo 2, comma 2-bis, del D.P.R. 917/1986).

Sotto il profilo del monitoraggio fiscale, il cittadino residente in Italia che detiene investimenti ed attività estere di natura finanziaria a titolo di proprietà o di altro diritto reale, deve compilare il quadro RW e, simmetricamente, versare l’imposta sul valore degli immobili all’estero (Ivie) e l’imposta sul valore dei prodotti finanziari, dei conti correnti e dei libretti di risparmio detenuti all’estero (Ivafe).

Ciò detto, si evidenzia che la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26638/2017 pubblicata in data 10 novembre 2017, si è espressa in merito alla residenza fiscale di un soggetto emigrato all’estero, dove risultava proprietario di un immobile.

La vicenda in rassegna prende le mosse da un atto di irrogazione di sanzioni con il quale l’Agenzia delle Entrate contestava alla persona fisica, formalmente residente in Russia, la violazione di cui all’articolo 5 del D.L. 167/1990 per non aver dichiarato, nel prescritto quadro RW della dichiarazione dei redditi, gli investimenti detenuti all’estero.

Il giudice tributario, nei due gradi di giudizio, aveva accolto il ricorso del contribuente sulla base delle disposizioni previste dall’articolo 4 della Convenzione internazionale contro le doppie imposizioni sui redditi stipulata tra l’Italia e la Federazione Russa, il quale, per evitare i conflitti di residenza tra Stati, prevede che quando una persona fisica è considerata residente in entrambi gli Stati contraenti, detta persona è considerata residente nello Stato contraente nel quale possiede l’abitazione permanente.

In buona sostanza, a parere del giudice di merito, il soggetto passivo era residente all’estero in quanto:

  • aveva dimostrato di essere proprietario, nel territorio russo, di una casa adibita a civile abitazione situata a Mosca e di essere stato presente nel predetto territorio estero, nel corso dell’anno 2002, per 183 giorni;
  • non risultava che in Italia possedesse ad alcun titolo una casa di abitazione, ragion per cui si doveva ritenere che egli avesse in Russia, e non già in Italia, una “abitazione permanente”, con la conseguenza che lo stesso contribuente doveva essere considerato un soggetto convenzionalmente residente in Russia.

Di contro, la suprema Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate dando rilevanza, ai fini dell’esatta individuazione della residenza fiscale, al luogo dove il soggetto passivo detiene le proprie relazioni personali ed affettive, ovvero dove lo stesso ha stabilito il proprio domicilio inteso, nella definizione fornita dall’articolo 43 del codice civile, come “il luogo nel quale la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi”.

Infatti, il domicilio quale criterio di individuazione della residenza fiscale è caratterizzato dalla volontà del contribuente di mantenere – in un determinato luogo – il centro dei propri interessi personali, familiari e patrimoniali.

Sotto il profilo delle argomentazioni logico-giuridiche, il giudice di legittimità ha dapprima ripercorso la normativa convenzionale e, in particolare, l’articolo 4, paragrafo 2, della Convenzione internazionale contro le doppie imposizioni sui redditi stipulata tra l’Italia e la Russia, in base alla quale quando una persona fisica è considerata residente di entrambi gli Stati Contraenti, la sua residenza è determinata nel seguente modo:

  • detta persona è considerata residente dello Stato Contraente nel quale ha un’abitazione permanente. Quando essa dispone di un’abitazione permanente in entrambi gli Stati Contraenti, è considerata residente dello Stato Contraente nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette (c.d. centro degli interessi vitali);
  • se non si può determinare lo Stato Contraente nel quale detta persona ha il centro dei suoi interessi vitali, o se la medesima non ha un’abitazione permanente in alcuno degli Stati Contraenti, essa è considerata residente dello Stato Contraente in cui soggiorna abitualmente;
  • se detta persona soggiorna abitualmente in entrambi gli Stati Contraenti, ovvero non soggiorna abitualmente in alcuno di essi, essa è considerata residente dello Stato Contraente del quale ha la nazionalità;
  • se detta persona ha la nazionalità di entrambi gli Stati Contraenti, o non ha la nazionalità di alcuno di essi, le autorità competenti degli Stati Contraenti risolvono la questione di comune accordo.

Ciò posto, gli ermellini pongono una precisa questione di diritto: per “abitazione permanente” deve intendersi un fabbricato in proprietà, ossia in uso in base ad altro titolo giuridico oppure, ancora, un fabbricato di cui il contribuente possa comunque disporre?

In particolare al fine di pervenire alla corretta interpretazione della citata norma convenzionale, occorre attentamente analizzare il testo del modello OCSE di Convenzione, in base al quale la persona fisica è considerata residente in un determinato Stato se in esso ha a disposizione un’abitazione permanente da intendersi come una situazione di fatto, considerato che all’espressione: “… a permanent home available to him” non può essere attribuito altro significato se non quello di un alloggio di cui il contribuente può disporre stabilmente a qualsivoglia titolo.

Inoltre, la caratteristica della “permanenza” non deve necessariamente identificarsi nella proprietà dell’abitazione, ma nel fatto che il soggetto ne può disporre a suo piacimento per periodi temporali indeterminati.

Quindi, l’espressione utilizzata nell’accordo bilaterale contro le doppie imposizioni sui redditi, ove viene menzionata l’abitazione permanente quale criterio per individuare lo Stato ove il contribuente ha la residenza, a parere della Corte va interpretata “al lume del tenore letterale del modello OCSE di riferimento cui si sono ispirati le parti contraenti e, dunque, avuto riguardo alla situazione di fatto che determina la stabile disponibilità di fatto di una abitazione in capo al contribuente”.

Nello specifico, nel corso del dibattimento, era emerso che il cittadino estero risiedeva a Milano presso l’abitazione di proprietà della convivente, elemento sufficiente a sostenere che il contribuente disponesse di un’abitazione permanente in Italia.

In conclusione, il giudice di merito avrebbe dovuto accertare se la persona fisica in rassegna dovesse essere assoggettata a tassazione nello Stato italiano, applicando il secondo criterio di individuazione della residenza fiscale, ossia quello previsto dall’articolo 4, lett. a), della Convenzione internazionale ispirata al modello OCSE secondo cui, “quando la persona dispone di un’abitazione permanente in entrambi gli Stati Contraenti, è considerata residente nello Stato Contraente nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette”.

Dottryna