28 Giugno 2021

La natura ibrida della transazione fiscale

di Luigi Ferrajoli
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La scheda di FISCOPRATICO

Nelle ultime settimane assistiamo ad un acceso dibattito dottrinale, teso a decriptare l’Ordinanza n. 8054/2021 attraverso la quale le SS.UU. della Corte di Cassazione hanno ricondotto alla giurisdizione del Tribunale fallimentare il diniego erariale alla proposta di transazione fiscale.

Invero, di più interessante e complicata lettura appare la riforma dell’attuale impianto normativo, avvenuta attraverso l’entrata in vigore del D.L. 125/2020, che ha implementato l’istituto contemplato dalla Legge Fallimentare (anch’essa destinata a soccombere con la piena entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza), introducendo strumenti a favore del debitore funzionali ad agevolare l’omologazione di accordi di ristrutturazione del debito e di concordati.

Se da un lato, infatti, l’articolo 182-bis, comma 5, L.F., come modificato dal menzionato D.L. 125/2020, consente al Giudice fallimentare di superare la mancata adesione delle Agenzie fiscali e degli Enti previdenziali alle presupposte iniziative di transazione fiscale, dall’altro, il vigente quadro normativo ed ordinamentale non chiarisce se residui l’obbligatoria partecipazione dell’Amministrazione finanziaria (intesa latu sensu) allo scopo, quantomeno, di quantificare il debito erariale che il professionista indipendente dovrebbe garantire come legittimamente soddisfatto, pur in assenza di un formale accordo di transazione fiscale.

A parere di chi scrive, infatti, l’intento del Legislatore si mostra chiaro ma tremante è la mano del riformatore.

L’accesso delle imprese a procedure concorsuali minori è, infatti, necessità imposta dalla pandemia economica in atto ma al Giudice fallimentare, a cui oggi le SS.UU. vorrebbero addirittura attribuire potestà di pronuncia sui termini della pretesa fiscale, mancano poteri e competenze per, quantomeno, valorizzarla.

Se così è, ha senso l’interpretazione restrittiva fornita da parte della dottrina, che ammetterebbe l’omologazione forzata solo nel caso di silenzio-dissenso dell’Agenzia, in tal modo dando come acquisite trattative e presentazioni di formali istanze funzionali alla quantificazione del debito erariale.

Sul punto, non appare superfluo osservare come se, da un lato, l’attestazione del professionista indipendente risulti funzionale, nell’ambito del cram down fiscale e previdenziale, a fissare la percentuale di soddisfo dei debiti erariali e previdenziali, dall’altro l’omologa del piano, ad opera del Giudice fallimentare, non possa che avvenire attraverso la stima di cash flow – siano essi generati da nuova finanza o da operazioni straordinarie che ne assicurino la realizzazione – ritenuti sufficienti alla copertura, in un dato arco temporale, della posizione debitoria dell’impresa interessata.

Piuttosto che la ridondante opera di rilettura di pronunce emanate dalla Suprema Corte, e ineludibilmente riferite ad un quadro normativo ormai irrimediabilmente mutato, ci aspettiamo che nei prossimi mesi la dottrina si soffermi su tali vitali questioni, anche alla luce della mutata fisionomia dell’istituto.

Nel nuovo assetto, infatti, la transazione fiscale si pone quale strumento funzionale al consolidamento del debito tributario, secondo profili che inevitabilmente trascendono il tanto proclamato cram down.

Ovviamente, come da più parti osservato, la sola finalità di stabilire il quantum debeatur sarebbe limitativa per l’istituto nonché contraria alla ratio legis del nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza.

Alla luce di quanto sopra, possiamo concludere che la sola proposta di transazione fiscale, correttamente estradata e posta al centro del contraddittorio con l’Amministrazione finanziaria, risulta sufficiente ai fini che ci occupano, a questo punto rendendo superfluo ogni ulteriore dissertazione in termini di competenza dell’eventuale diniego, che risulta relegabile a mera questione di diritto e pertanto estraneo al perimetro di concreta operatività delle nuove disposizioni in materia.

Un’esemplificativa dimostrazione di quanto sopra asserito è rappresentata dalla valutazione di debiti tributari relativi ad annualità in corso, per le quali ovviamente non esiste neanche l’adempimento dichiarativo ad opera della contribuente, nonché a rilievi tributari al centro di processi verbale di constatazione avanzati dalla Guardia di Finanza, per i quali, in assenza di un avviso di accertamento conferente, sussisterebbe per il contribuente il solo obbligo contabile di apertura del relativo fondo, in tal modo spostando la nostra analisi – ma questo meriterebbe dedicata riflessione – sulla necessità, ai fini della conclusione della transazione, di attendere le determinazioni di un diverso Ufficio della medesima Amministrazione.