11 Dicembre 2014

La “lunga” procedura dell’accertamento sintetico

di Sergio Pellegrino
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Nell’ambito del “nuovo” accertamento sintetico disciplinato dall’art. 38 del D.P.R. 600/1973, il legislatore ha previsto una procedura, prima di arrivare all’eventuale emanazione dell’avviso di accertamento, che è dispendiosa in termini di tempo per l’Amministrazione finanziaria, e conseguentemente anche per la difesa, procedura che è stata pensata in termini di maggiore garanzia per i contribuenti e allo stesso tempo, anche nell’interesse dell’Erario, di auspicata definizione preventiva rispetto al contenzioso.

Per questo motivo molti dei contribuenti che hanno ricevuto in relazione al periodo di imposta 2009 i questionari qualche mese fa, soltanto nelle prossime settimane, se non c’è stata l’archiviazione o la definizione, si vedranno notificati gli avvisi di accertamento.

Andiamo a delineare la procedura passo dopo passo.

Il primo momento è quello della selezione a livello centrale dei contribuenti da controllare attraverso l’accertamento sintetico.

Nella circolare 24 del 31 luglio 2013 l’Agenzia ha evidenziato come questa selezione si fondi soltanto su spese certe e spese per elementi certi, mentre le spese Istat non vengono prese in considerazione.

Già in questa fase l’Agenzia tiene conto del reddito complessivo non solo del contribuente, ma anche del nucleo familiare al quale appartiene, per evitare di iniziare un’attività di controllo nei confronti di un soggetto che possa giustificare il proprio tenore di vita superiore rispetto al reddito personale sulla base appunto del reddito familiare (e qui va verificata la correttezza del dato risultante all’anagrafe rispetto alla situazione “reale”).

La selezione dovrebbe portare ad individuare i contribuenti che presentano un elevato e significativo rischio di evasione, anche se alcune delle situazioni che abbiamo esaminato non sembrano proprio in linea con questo obiettivo.

Una volta individuati i contribuenti da controllare a livello locale, gli uffici provvedono ad inviare loro un questionario, con i dati risultanti all’anagrafe, la quantificazione delle spese per elementi certi e la richiesta di ulteriori dati e informazioni, che contiene anche un invito a comparire per instaurare un primo contraddittorio tra ufficio e contribuente.

Nell’ambito di questo primo contraddittorio, vengono analizzate le spese certe, le spese per elementi certi, gli incrementi patrimoniali e l’eventuale incremento del risparmio, quantificato sulla base delle indicazioni fornite da parte dello stesso contribuente circa il saldo iniziale e finale di ogni rapporto finanziario in essere (a partire dall’anno 2011 questi dati risultano invece già all’Agenzia, che potrà conseguentemente orientare in modo “chirurgico” i controlli).

In questo modo si arriva alla quantificazione del reddito sintetico e ad una prima valutazione circa l’eventuale sussistenza di elementi che giustifichino il divario tra quanto dichiarato da parte del contribuente e quanto ricostruito sulla base della capacità di spesa e di risparmio che questi ha dimostrato nel corso del periodo d’imposta.

A questo punto l’ufficio potrebbe decidere di procedere all’archiviazione laddove il contribuente abbia fornito idonee giustificazioni.

Il contribuente in questo caso non riceve alcuna comunicazione, ma semplicemente constata che l’attività dell’ufficio non procede ulteriormente con i passaggi che invece la procedura impone.

Se invece il contribuente non è riuscito a giustificare il divario fra reddito dichiarato e reddito determinato sinteticamente, l’ufficio predispone un nuovo invito al contraddittorio che però ha una natura profondamente diversa rispetto a quello precedente: contiene infatti la quantificazione del maggior reddito, della maggiore imposta e delle sanzioni correlate.

Qui la circolare 24/E/2013 indica come entrino in gioco anche le spese Istat, anche se nei casi dei clienti che abbiamo avuto modo di esaminare, gli uffici hanno rinunciato a questa possibilità, intelligentemente attesa la loro natura assolutamente aleatoria e lo scarso “contributo” in termini di importi derivanti.

L’invito al contraddittorio può essere definito dal contribuente beneficiando della riduzione della sanzione ad 1/6 che è il “prezzo” per la definizione integrale della pretesa impositiva.

È chiaro e evidente che se la ricostruzione sintetica del reddito poggia su spese certe, e non vi sono particolari giustificazioni da poter addurre, la scelta da raccomandare al cliente è proprio quella di procedere alla definizione.

Qui è tutto da capire che cosa accadrà quando l’istituto della definizione integrale degli inviti al contradditorio verrà soppresso come previsto dalla legge di stabilità a fronte del “rafforzamento” del ravvedimento operoso (la norma prevede infatti che sarà applicabile soltanto per gli atti notificati entro il 31 dicembre 2015).

Laddove il contribuente non voglia procedere alla definizione, si presenterà ad un nuovo contraddittorio, la cui utilità, se è stato fatto bene il primo da parte della difesa producendo tutti gli elementi utili, appare dubbia.

Il legislatore impone però l’attivazione della procedura di accertamento con adesione, con la possibile definizione della pretesa impositiva con la riduzione delle sanzioni ad 1/3.

Se anche il secondo contraddittorio non porta ad una definizione, a questo punto l’ufficio procederà all’emanazione dell’avviso di accertamento, per il quale naturalmente non sarà più attivabile la procedura dell’accertamento con adesione già esperita.

Al contribuente non rimarrà quindi che impugnare l’avviso di accertamento affrontando il relativo contenzioso.