6 Aprile 2022

Il furto di tabacchi lavorati esteri non è causa esimente del pagamento di accisa

di Gabriele Damascelli
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La scheda di FISCOPRATICO

In materia di accise, il furto del prodotto (si trattava di TLE – tabacchi lavorati esteri – stoccati in un deposito) ad opera di terzi e senza coinvolgimento nei fatti del soggetto passivo, di per sé non esime, ai sensi dell’articolo 4, comma 1, D.Lgs. 504/1995 – TUA (Testo Unico Accise) dal pagamento dell’imposta, che resta abbuonata solo nell’ipotesi – la cui prova deve essere fornita dall’obbligato – di dispersione o distruzione del prodotto, atteso che solo in questo caso ne resta impedita l’immissione in consumo, laddove la sottrazione determina soltanto il venir meno della disponibilità del bene da parte del soggetto per effetto dello spossessamento, ma non ne impedisce l’ingresso nel circuito commerciale.

Medesima sorte ai fini Iva, dal momento che la sottrazione della disponibilità della merce importata, che non si sia risolta nella dispersione del prodotto e/o nella sua inutilizzabilità per chiunque, non fa venir meno l’obbligo di pagamento dell’Iva all’importazione, stante la sua configurazione quale diritto doganale, considerato che la relativa obbligazione tributaria sorge al momento dell’ingresso della merce nel territorio nazionale.

Queste, in sintesi, le argomentazioni sviluppate nella sentenza n. 32978/2021 dalla Corte di Cassazione, in cui viene espressamente dato seguito ai propri precedenti giurisprudenziali i quali, a loro volta, poggiano le rispettive conclusioni sui principi in materia affermati nel tempo dalla Corte di Giustizia.

L’intervento della Cassazione, qui, era finalizzato di fatto a verificare se nella nozione di “caso fortuito o forza maggiore” potesse essere ricompreso il furto di tabacchi lavorati esteri, in regime di sospensione d’imposta, collocati in un deposito doganale autorizzato, furto perpetrato ad opera di terzi, con conseguente estinzione dell’obbligazione tributaria.

La Corte ha richiamato la normativa unionale vigente ratione temporis (la Direttiva CEE 1992/12 sostituita dalla successiva Direttiva 2008/118) secondo la quale in caso di perdita o distruzione di prodotti soggetti ad accisa che si trovano in regime sospensivo, è concesso l’abbuono dell’imposta quando è provato che la perdita o la distruzione dei prodotti è avvenuta per caso fortuito o per forza maggiore. Salvo che per i tabacchi lavorati, i fatti imputabili a terzi o allo stesso soggetto passivo a titolo di colpa non grave sono equiparati al caso fortuito ed alla forza maggiore.

Al riguardo, a soli fini ricognitivi, si riferisce che la Cassazione, nell’ordinanza n. 22892/2020, nel caso di perdita di alcol (in regime sospensivo) per rottura accidentale di una cisterna, ha riconosciuto l’abbuono da accisa, anche al di fuori da ipotesi di caso fortuito o forza maggiore, qualora il “fatto” sia addebitabile a titolo di colpa “lieve”, riconoscendo così l’esclusione dell’esimente solo nelle ipotesi di colpa “grave”, la cui dimostrazione, ai fini della pretesa impositiva, spetta all’Amministrazione doganale.

La Corte, nel caso odierno, esclude che il “fatto illecito del terzo” possa di fatto qualificarsi come “caso fortuito/forza maggiore” per i tabacchi lavorati e consentire così l’abbuono dell’imposta, tanto ai fini delle accise quanto a quelli Iva, per effetto di una sottrazione al controllo doganale a seguito di svincolo irregolare della merce dal momento che, condivisibilmente, l’abbuono è previsto solo in caso di ammanchi che abbiano determinato la perdita o distruzione del bene (nel senso di irrimediabilmente disperso) in senso oggettivo, ossia in riferimento alla sua esistenza ed alla sua idoneità al consumo, situazione che non ricorre ove il prodotto sia stato sottratto ad opera di terzi (furto o rapina), trattandosi di circostanza che non ne esclude l’immissione nel circuito commerciale (v. anche Cassazione nn. 4453/2020, 26419/2017, 16966/2016, 25990/2013, 27825/2013 e 12428/2007).

Tale ricostruzione è coerente con i principi in argomento espressi nel tempo dai giudici della Corte di Giustizia, alcuni richiamati in sentenza dalla medesima Cassazione (v. C-81/15, C-314/06 e C-273/12), in base ai quali viene posto in capo al depositario autorizzato un ruolo centrale nell’ambito della procedura di circolazione dei prodotti soggetti ad accisa in regime sospensivo.

La Direttiva UE 92/12 vigente ratione temporis (sostituita dalla Direttiva UE 2008/118 – v. l’articolo 8) istituisce a carico del depositario autorizzato un regime di responsabilità per il rischio dello svincolo irregolare, dalla quale può esimersi solo fornendo la prova di un evento dovuto al caso fortuito o alla forza maggiore, rimanendo egli responsabile di tutti i rischi inerenti alla circolazione dei prodotti soggetti ad accisa in regime di sospensione dei diritti e, in quanto tale, soggetto tenuto al pagamento dei diritti di accisa nel caso in cui un’irregolarità o un’infrazione siano state commesse nel corso della circolazione che determini l’esigibilità di tali diritti.

Quanto alle nozioni di caso fortuito o forza maggiore, la Corte di Giustizia ne ha evidenziato da tempo le caratteristiche (già a partire da C-11/70 punto 23) sottolineando che queste non si limitano all’impossibilità assoluta, ma devono essere intese nel senso di circostanze anormali, indipendenti dall’importatore o dall’esportatore, le cui conseguenze avrebbero potuto essere evitate solo a costo di sacrifici sproporzionati, malgrado la miglior buona volontà.

Tali concetti sono entrambi caratterizzati da un elemento oggettivo, relativo all’esistenza di circostanze anomale ed estranee all’operatore, ed un elemento soggettivo, costituito dall’obbligo dell’interessato di premunirsi contro le conseguenze dell’evento anormale, adottando misure appropriate senza incorrere in sacrifici eccessivi (v. al riguardo ad esempio C-314/06 punto 24, C-533/10 punto 28, C-69/12 punto 39 e C-138/14 punto 19).

Tale responsabilità, che permane sino a quando non sia stata fornita la prova che i beni in sospensione d’imposta sono giunti al loro destinatario, dimostra trattarsi di una responsabilità oggettiva, basata non già sulla colpa dimostrata o presunta del depositario, bensì sulla sua partecipazione ad un’attività economica, ricadendo tale responsabilità in ragione unicamente di detta sua qualità, non rilevando peraltro che lo stesso sia proprietario o meno delle merci soggette ad accisa o, in caso d’infrazione constatata, che esista o meno un vincolo contrattuale con l’autore di quest’ultima (v. al riguardo le conclusioni dell’Avvocato Generale Yves Bot nella Causa C‑81/15).

Da ultimo il giudice italiano, nel caso in commento, ha sostenuto le proprie argomentazioni anche alla luce del dettato costituzionale, in particolare degli articoli 3 e 53 Cost., richiamando un precedente della Corte Costituzionale (sentenza 373/1988), nel quale si discuteva delle ordinanze di rimessione con cui i giudici sostenevano la violazione dell’articolo 37 del TULD (testo unico leggi in materia doganale n. 43/1973) in relazione agli articoli 3 e 53 della Costituzione.

Le ordinanze di rimessione deducevano, quindi, la violazione del principio di eguaglianza alla luce di una presunta irrazionale distinzione, da parte del legislatore, tra “dispersione” e “sottrazione della disponibilità del prodotto”.

La Consulta, correttamente, riteneva non fondata la questione alla luce della considerazione che l’obbligazione tributaria doganale per le merci è indissolubilmente collegata all’ingresso delle medesime nel mercato nazionale, e proprio in ciò trova il suo fondamento e la sua ragion d’essere. La distruzione od il completo deterioramento dei beni rendono impossibile tale ingresso e perciò impediscono il sorgere dell’obbligazione tributaria. Per converso, la perdita della soggettiva disponibilità non rende il bene inutilizzabile, trasferendosi soltanto ad altra persona la concreta possibilità di disporne e di effettuarne così l’immissione nel circuito commerciale: dal che consegue l’esclusione di una immutazione oggettiva della situazione da cui nasce l’obbligazione tributaria, conformemente a quanto disposto dalla normativa impugnata”.