3 Novembre 2020

Fallimento del contribuente e interruzione del processo

di Lucia Recchioni - Comitato Scientifico Master Breve 365
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La scheda di FISCOPRATICO

Con l’ordinanza n. 24242, depositata ieri, 2 novembre, la Corte di Cassazione è tornata a soffermarsi sugli effetti processuali della dichiarazione di fallimento della parte.

Il caso riguardava una società in liquidazione che aveva presentato ricorso avverso un avviso di iscrizione ipotecaria e risultava vittoriosa in primo grado di giudizio.

La Commissione Tributaria Regionale, tuttavia, a seguito di appello proposto dall’Ufficio, giungeva a opposte conclusioni, evidenziando invece che, essendo stata notificata la comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria, ed essendo state altresì ritualmente notificate tutte le cartelle di pagamento, la società risultava decaduta dalla possibilità di presentare doglianze relative alle cartelle di pagamento prodromiche all’iscrizione ipotecaria.

La Commissione Tributaria Regionale si pronunciava, però, quando la società era ormai fallita: più precisamente, il ricorso era stato notificato al contribuente dall’Ufficio in data 18.03.2017 ed era stato iscritto a ruolo il 31.03.2017. La società, invece, era stata dichiarata fallita il 29.05.2017.

Essendo la dichiarazione di fallimento intervenuta quando già pendeva il processo tributario, il processo doveva essere interrotto, ai sensi dell’articolo 40 D.Lgs. 546/1992 (che dispone l’interruzione del processo per la perdita della capacità della parte di stare in giudizio) e dell’articolo 43 L.F..

La Corte di Cassazione, richiamando l’ormai costante orientamento, ha quindi precisato che “secondo questa Corte, in tema di interruzione del processo tributario, la dichiarazione di fallimento della società contribuente appellata, intervenuta prima della costituzione in giudizio, ma in pendenza del termine per la costituzione e per la proposizione dell’eventuale appello incidentale, previsto dagli articoli 23 e 54, comma 1, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, determina l’interruzione automatica del processo e comporta, laddove la curatela non si sia costituita e l’evento interruttivo non sia stato rilevato dal giudice, l’invalidità delle attività processuali eventualmente svolte nella ritenuta contumacia della parte, mentre la successiva fase della prosecuzione è disciplinata dall’articolo 43, comma 2, del D.Lgs. 546/1992, che prevede la decorrenza del termine sempre dal momento della dichiarazione di interruzione, dovendosi così ritenere che un provvedimento del giudice, dichiarativo dell’evento interruttivo, è sempre necessario ai fini del computo del termine per la riassunzione del giudizio (Cassazione n. 21108 del 2011; analogamente Cassazione n. 12890 del 2020; Cassazione n. 22809 del 20147)”.

Alla luce di quanto appena esposto, il ricorso della società fallita è stato quindi accolto.

In merito all’esposta vicenda, giova ricordare che l’articolo 40 D.Lgs. 546/1992 dispone l’interruzione del processo, se, dopo la proposizione del ricorso, si verifica:

  • il venir meno, per morte o altre cause, o la perdita della capacità di stare in giudizio per una delle parti (diversa dall’ufficio tributario) o del suo legale rappresentante o la cessazione di tale rappresentanza;
  • la morte, la radiazione o la sospensione dall’albo o dall’elenco di uno dei difensori incaricati.

L’interruzione avviene soltanto se i fatti appena richiamati accadono nel periodo di tempo compreso tra la data di notificazione del ricorso e quella di chiusura della discussione in pubblica udienza (o l’ultimo giorno fissato per il deposito di memorie, se la controversia è trattata in camera di consiglio). L’interruzione, inoltre, opera soltanto in Commissione Tributaria Provinciale o Regionale, mentre non può essere interrotto il procedimento pendente in Cassazione.

A differenza della sospensione, che richiede un apposito provvedimento giudiziale, l’interruzione non prevede alcun provvedimento, e il processo si arresta automaticamente, sicché, ai sensi del successivo articolo 41, l’interruzione è semplicemente dichiarata dal presidente della sezione con decreto (o dalla commissione con ordinanza).

Nel caso in cui l’evento interruttivo riguardante la parte o il suo legale rappresentante si manifesti durante la pendenza del termine per proporre ricorso, quest’ultimo è prorogato di sei mesi.

Con specifico riferimento alle persone giuridiche e agli enti collettivi, un primo orientamento riteneva applicabili le richiamate fattispecie anche ai casi di operazione straordinarie con effetti estintivi, quali le fusioni e le scissioni: tale orientamento, tuttavia, risulta oggi ampiamente superato, dovendosi ritenere che le operazioni straordinarie costituiscano un semplice cambiamento organizzativo, e non un caso di estinzione (Corte di Cassazione, SS.UU., n. 2637 del 08.02.2006).

Non comporta, per gli stessi motivi, l’interruzione del processo, la cessione d’azienda o il conferimento, così come il semplice cambiamento nella denominazione o la trasformazione societaria.

Nell’ambito della liquidazione, invece, secondo il più recente orientamento, comporta interruzione del processo la cancellazione della società dal registro delle imprese.

Con specifico riferimento, infine, al fallimento, la giurisprudenza, inizialmente, legava l’interruzione del processo alla dichiarazione del curatore: in caso contrario, il giudizio proseguiva, ma la sentenza era opponibile soltanto al fallito eventualmente tornato in bonis, e non al fallimento (Corte di Cassazione, n. 1588 del 09.02.1993).

Tale orientamento, tuttavia, deve ritenersi ampiamente superato, in considerazione della specifica previsione introdotta dall’articolo 43 L.F., in forza della quale “l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo”: l’interruzione, dunque, opera indipendentemente da una dichiarazione del curatore.