7 Novembre 2014

Costi occulti e beneficiari, per la Cassazione serve la prova analitica

di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365
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La Corte di Cassazione, con la sentenza n.
22920, depositata in cancelleria il
29 ottobre 2014, torna ad esprimersi in materia di accertamenti bancari con delle posizioni di assoluta rigidità, soprattutto se poste in confronto con le razionali tesi della Corte Costituzionale. È pur vero che quest’ultima si è espressa limitatamente ai professionisti, ma è altrettanto vero che i principi dalla stessa esaltati sono assolutamente trasversali e dovrebbero attenere anche al mondo del reddito d’impresa, soprattutto in ordine alla necessità di giungere alla determinazione di un imponibile nel rispetto dei parametri di
legalità costituzionale, quando l’accertamento è fondato sui presunti prelevamenti sospetti. 
In estrema sintesi, per l’ennesima volta la Suprema Corte ribadisce, anche in tema di
prelevamenti, la necessità da parte del contribuente di contrapporre, alla presunzione legale relativa, una
prova concreta e analitica e non un’altra presunzione semplice o una prova generica, non potendosi altrimenti invocare il riconoscimento dei c.d. costi occulti. Su tale dimostrazione difensiva il solo chiamato ad esprimersi è il giudice tributario
“(…) in quanto compete solo a lui nell’osservanza del principio del prudente apprezzamento delle prove stabilire se la presunzione legale invocata dall’Ufficio per ritenere che i prelevamenti bancari occultino ricavi non dichiarati regga il confronto con le allegazioni probatorie compiute in senso opposto dalla parte, sfociando l’esito in un giudizio sul fatto che non è censurabile in Cassazione se non per un vizio di motivazione”.
Sono sicuramente tre gli assunti della sentenza che suscitano maggiore interesse.
In primo luogo la necessità di contrapporre una prova analitica alla presunzione dell’Ufficio. In effetti trattasi di un trend consolidato della giurisprudenza dei Supremi Giudici, tranne rare eccezioni, come nel caso della sentenza n. 25502 del 2011, dove è stato affermato che alla presunzione legale è possibile contrapporre una ricostruzione presuntiva da parte del contribuente, comunque sottoposta al vaglio di attendibilità del giudice. In termini pratici, la conclusione cui può giungersi è che, in via prioritaria, serve una prova analitica rispetto alla movimentazione contestata, non potendosi però escludere che il contribuente possa dimostrare, con ragionamento logico e “qualificato”, che la sua conclusione presuntiva
sia più attendibile (grave, precisa e concordante) di quella dell’ufficio. È il caso ad esempio del versamento di contante da parte di un soggetto che, in rapporto ai suoi obblighi contabili, può legittimamente decidere di trattenere parte delle somme incassate (situazione che la Corte Costituzionale ha evidenziato). Non sussistendo
tempistiche da rispettare e potendosi configurare utilizzi personali, è evidente che in via presuntiva può legittimamente dimostrarsi che il versamento di 400 Euro, effettuato il giorno 10, deriva dagli incassi dei giorni da 1 a 9 (pari a 700 Euro), al netto di una cifra destinata a proprie esigenze personali (300 Euro).
Sul tema dei costi occulti, invece, la sentenza in commento si allinea al “filone” consolidato, secondo cui sussiste la seguente distinzione di massima (ribadita dalla circolare n. 32/E del 2006):
  • in sede di accertamento analitico o analitico/induttivo, avendo l’amministrazione finanziaria osservato e ritenute valide le scritture contabili, non si concretizzano problematiche di costi occulti, salvo il caso specifico di idonea documentazione giustificatrice, secondo quanto disposto dall’art. 109, comma 4, del Tuir (ossia costi risultanti da elementi certi e precisi, come ad esempio un documento di trasporto con un ammontare di merce che corrisponde, in termini di ipotetico prezzo, al prelevamento sindacato);
  • negli accertamenti induttivi puri, invece, essendo assente o comunque ritenuto non attendibile l’impianto contabile del contribuente ed attesa una ricostruzione dei ricavi formalizzata, appunto, sulla base di elementi extra-contabili, deve essere riconosciuta la potenziale incidenza dei costi necessari allo svolgimento dell’attività.
Chi scrive resta comunque perplesso circa la rigidità di una simile ripartizione delle conclusioni, considerato che, proprio in tema di prelevamenti, appare in contrasto con il principio
dell’articolo 53 della Costituzione il ritenere validi accertamenti che si limitano semplicemente all’equazione maggiori ricavi = prelevamenti ritenuti non giustificati: se l’intero ammontare accertato deriva dai prelevamenti, ritenere possibile l’utilizzo di un accertamento analitico appare un evidente tentativo di forzare lo spirito della norma, al solo fine di fruire al massimo della presunzione legale relativa, che in tal caso dovrebbe essere limitata dal baluardo insuperabile della giusta tassazione. Non resta che attendere future evoluzioni giurisprudenziali sul punto.
Infine, la sentenza n. 22920 del 29/10/2014 affronta in maniera indiretta il tema
dell’indicazione del beneficiario quale elemento sufficiente a vincere la presunzione legale. La Suprema Corte evidenzia come spetti solo al giudice di merito la valutazione, adeguatamente motivata, della difesa del contribuente. Ne deriva che, per quanto riguarda i prelevamenti, continua ad essere fondamentale la conservazione di idonea giustificazione, come ad esempio la
fotocopia degli assegni, e di ogni eventuale ulteriore documentazione fiscale, pur se non attinente all’ambito imprenditoriale. A puro titolo esemplificativo, si pensi ad un assegno relativo a spese sostenute per il proprio immobile, come nel caso dell’acquisto di tendaggi, con totale corrispondenza dell’importo fatturato a quello erogato, o, ancora, a
dichiarazioni sostitutive dei terzi percettori, che possono risultare comunque fondamentali nell’indirizzare il convincimento del giudice. In presenza di tali elementi si ritiene che l’onere probatorio sia compiutamente soddisfatto, altrimenti dovendosi confidare nella conferma di quel filone giurisprudenziale di merito secondo cui, sulla base di una rigida interpretazione letterale, sarebbe sufficiente la sola indicazione del beneficiario (tra le altre, sentenza n. 158 del 04/06/2007 della CTP di Bologna). È evidente, però, che allegare all’indicazione del beneficiario anche un significativo documento
evita che il giudice possa ritenere troppo generica la prova difensiva offerta.