17 Giugno 2019

Che fine faranno le Onlus sportive?

di Guido Martinelli
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L’articolo 10 D.Lgs. 460/1997, norma ancora efficace anche dopo l’entrata in vigore del codice del terzo settore e fino al “periodo di imposta successivo all’autorizzazione della commissione europea … e comunque non prima del periodo di imposta successivo di operatività” del Runts, prevede che le associazioni che praticano “sport dilettantistico” (comma 1, lett. a), n. 6) in favore di “persone svantaggiate in ragioni di condizioni fisiche, psichiche economiche, sociali o familiari” possano assumere la qualifica di organizzazioni non lucrative di utilità sociali (di seguito Onlus) e godere delle agevolazioni indicate negli articoli successivi della norma citata.

Questa ha prodotto che numerose sono le associazioni sportive dilettantistiche che hanno assunto anche lo status di Onlus, ad esempio per la loro attività nel settore paralimpico.

Questi enti si trovano di fronte ora ad una scelta non semplice.

Infatti la successiva lett. f) della medesima norma prevede “l’obbligo di devolvere il patrimonio della organizzazione in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale o a fini di pubblica utilità…”.

L’ingresso nel terzo settore, in qualsiasi dei settori in cui si suddivide il Runts, pur causando la perdita della qualifica di Onlus non produce alcuna conseguenza sotto l’aspetto patrimoniale in quanto il comma 8 dell’articolo 101 cts prevede espressamente che l’ingresso nel registro “non integra un’ipotesi di scioglimento dell’ente” e, pertanto, in tal caso ci sarà una continuità dell’ente, priva di conseguenze per il patrimonio della Onlus, pur con modifica delle “regole” di gestione giuridico-amministrativa.

Problema diverso si porrà per quelle Asd Onlus che ritenessero per loro non conveniente acquisire la qualifica di ente del terzo settore, continuando così l’attività come Asd non più Onlus.

Ai fini dell’applicazione dell’obbligo di devoluzione del patrimonio ad altre Onlus previsto dall’articolo 10, comma 1, lett. f), D.Lgs. 460/1997 (per il caso di scioglimento) la circolare 168/E/1998 ha precisato che “la perdita della qualifica equivale, ai fini della destinazione del patrimonio, allo scioglimento dell’ente”.

Con la circolare 59/E/2007 l’Agenzia delle Entrate, dopo avere ribadito tale principio, ha riconosciuto la possibilità, per gli enti che perdono la qualifica senza sciogliersi, di devolvere ai sensi della predetta norma solo il patrimonio accumulato grazie alle agevolazioni fiscali previste dal decreto stesso.

Questo produce una immediata conseguenza.

L’eventuale volontà della Asd Onlus di continuare a godere della disciplina delle attività sportive dilettantistiche (che, come sappiamo è antitetica all’eventuale ingresso nel terzo settore, che imporrebbe l’applicazione, invece, al posto delle norme previste per le sportive, di quelle previste per tale tipo di enti) costringerà l’ente a devolvere il proprio patrimonio con seri rischi di estinzione o liquidazione.

Era questo l’obiettivo del legislatore?

Le associazioni e le società sportive dilettantistiche, come tali, non sono soggetti ricompresi tra gli enti del terzo settore.

Basta leggere l’elenco della tipologia di enti prevista dall’articolo 4 cts per non ritrovarli e, comunque, la prova di tale affermazione la troviamo anche contenuta nel D.Lgs. 111/2017 (“Disciplina dell’istituto del cinque per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche a norma dell’articolo 9 comma 1 lettera c) e d) della legge 6 giugno 2016 n. 106”) il cui articolo 3, nell’elencare i soggetti che possono essere iscritti distingue, alla lett. a), i soggetti del terzo settore dalle associazioni sportive, richiamate alla lett. e).

Pertanto, perlomeno ad oggi, non vi è alcun regime naturale per le attuali vigenti associazioni sportive all’interno del codice del terzo settore.

È pur vero che l’organizzazione di attività sportive dilettantistiche rientra tra le attività di interesse generale ma in quanto posta in essere da soggetti (ad esempio associazioni di promozione sociale) che hanno caratteristiche differenti da quelle previste per le associazioni sportive dilettantistiche.

Che il terzo settore non abbia al proprio interno una fattispecie assimilabile a quella delineata dall’articolo 90 L. 289/2002 per le sportive lo si ricava anche confrontando i regimi civilistici.

Infatti potremmo avere associazioni di promozione sociale o imprese sociali (che sono le due fattispecie del codice del terzo settore, l’una per le Asd e l’altra per le Ssd in cui appare “meno problematica” l’inserimento delle attività sportive dilettantistiche come attività di interesse generale) che hanno statuti perfettamente conformi alla loro disciplina del terzo settore ma che non sono compatibili con il citato articolo 90.

Il codice consente alle Aps, ad esempio, di derogare al voto per testa mentre, per le imprese sociali, prevede la possibilità della loro parziale distribuzione di utili.

D’altro canto essere costituita ai sensi dell’articolo 90 L. 289/2002 per statuto Coni è presupposto per poter essere riconosciuti ai fini sportivi dal relativo registro.

Una discrasia che vorremmo fosse corretta al più presto.

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