28 Febbraio 2022

Ammissione al passivo fallimentare del credito del sindaco

di Emanuel Monzeglio
Scarica in PDF
La scheda di FISCOPRATICO

L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 5128 del 16.02.2022 ha respinto il ricorso proposto dal sindaco della società fallita confermando la posizione assunta dal Tribunale di Napoli.

Il Tribunale partenopeo aveva ritenuto che, nonostante dovesse “ritenersi pacifica” la posizione di sindaco in seguito al conferimento dell’incarico deliberato dal consiglio di amministrazione, il relativo credito professionale maturato dal ricorrente non poteva essere ammesso al passivo fallimentare in quanto lo stesso non aveva fornito la prova dell’esatto adempimento, come suo onere.

Invero, il sindaco di una società può presentare domanda di insinuazione al passivo fallimentare in via di privilegio – ex articolo 2751-bis, n. 2, cod. civ. – qualora sia in grado di dimostrare il corretto assolvimento dei propri obblighi (vedasi articolo “È onere del sindaco provare lo svolgimento della propria prestazione” del 28.12.2021).

Nel caso di specie, il sindaco della società fallita aveva proposto ricorso – in opposizione al decreto del giudice delegato che ha reso esecutivo lo stato passivo – ai sensi dell’articolo 98 L.F. il quale prevede la possibilità, per il creditore o il titolare di diritti sui beni mobili o immobili, di proporre opposizione contestando che la propria domanda sia stata accolta in parte o che sia stata respinta. L’opposizione è proposta nei confronti del curatore fallimentare.

La causa del ricorso è stata proprio il rigetto, da parte del giudice delegato, dell’istanza di ammissione al passivo fallimentare – del credito professionale maturato dal ricorrente nella sua qualità di componente del collegio sindacale – facendo riferimento al principio sancito dall’articolo 1460 cod. civ., ovvero l’eccezione d’inadempimento.

Per chiarezza espositiva è bene precisare che cosa si intende per “eccezione di inadempimento”.

Il sopra citato articolo prevede che nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può “rifiutarsi” di adempiere la propria obbligazione se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria.

Entrando nel merito del ricorso, ad avviso del sindaco della società fallita l’eccezione di inadempimento, sollevata dal giudice delegato e poi ripresa dal curatore, era inammissibile oltre al fatto che sarebbe stata formulata in modo “apodittico e vuota di contenuti, non avendo specificato in qual modo si sarebbe concretizzata l’inesattezza dell’adempimento della prestazione professionale fornita”.

I giudici di legittimità, seguendo la non contrastata ed univoca giurisprudenza espressa dalla suddetta Corte nella “subiecta materia”, hanno ritenuto infondato il ricorso proposto dal ricorrente.

Nello specifico il Collegio osserva come, nel caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento si avvalga dell’eccezione di inadempimento ai sensi dell’articolo 1460 cod. civ., si invertono i ruoli delle parti in lite, nonostante il principio  consolidato secondo cui il creditore che agisca per l’adempimento debba soltanto provare la fonte negoziale o legale del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi quindi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, essendo a carico del debitore l’onere della prova del fatto estintivo dell’obbligazione stessa.

Più precisamente, il debitore eccipiente dovrà limitarsi, solamente, ad allegare l’altrui inadempimento e sarà, quindi, onere del creditore agente dimostrare il proprio adempimento ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione.

Ciò posto e precisato, la Corte ha rilevato come – a fronte dell’eccezione di inadempimento sollevata dal fallimento – il sindaco ricorrente non abbia “affatto adempiuto all’onere della prova” per dimostrare l’esatto adempimento della sua prestazione professionale. Infatti, i giudici del Tribunale di Napoli, a supporto della loro posizione, hanno evidenziato come il ricorrente non abbia depositato alcun verbale delle verifiche trimestrali, dei verbali delle assemblee alle quali quest’ultimo ha partecipato ovvero qualsiasi altro verbale degli organi sociali atti a dimostrare la corretta esecuzione della propria prestazione professionale.

In conclusione la Suprema Corte ha precisato, altresì, che anche se è onere della parte che invoca l’inadempimento allegare con sufficiente specificità il contenuto dell’inesattezza dell’adempimento, va considerato che porre a carico del debitore convenuto un onere di allegazione eccedente – rispetto a quanto sia sufficiente per individuare il contenuto dell’obbligo – si tradurrebbe in una falsa applicazione del principio di ripartizione degli oneri probatori (Cassazione, n. 12501/2015).