12 Gennaio 2016

Accessi, ispezioni e segreto professionale

di Chiara RizzatoSandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi Tributari
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L’esibizione della documentazione da parte del contribuente si configura come un’azione volta a garantire eventuali vantaggi in sede di accertamento e contenzioso, come contemplato dall’art. 52 comma 5, il quale cita: “i libri, registri, scritture e documenti di cui è rifiutata l’esibizione non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa. Per rifiuto di esibizione si intendono anche la dichiarazione di non possedere i libri, registri, documenti e scritture e la sottrazione di essi alla ispezione”.

L’accertamento ed in generale la repressione dell’evasione quindi scaturiscono anche dall’utilizzo di strumenti quali accessi, ispezioni e verifiche. Infatti, nello stesso articolo al comma 1, si stabilisce la facoltà da parte dell’Amministrazione finanziaria di disporre l’accesso nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali. Secondo la circolare della Guardia di Finanza n. 1 del 2008, dopo che sia stato effettuato l’accesso, viene richiesta al contribuente l’esibizione di tutti i documenti attinenti l’attività esercitata. L’ispezione documentale si estende a tutti i libri, registri, documenti e scritture, compresi quelli la cui tenuta e conservazione non sono obbligatorie, che si trovano nei locali in cui l’accesso viene eseguito, o che sono comunque accessibili tramite apparecchiature informatiche ivi installate. La circolare sopra citata comprende all’interno della documentazione da porre sotto controllo anche quella “extracontabile”, in quanto afferma che pur non rientrando tecnicamente nella categoria dei “libri, registri e scritture obbligatorie” risulta comunque riconducibile al disposto dell’art. 22 comma 3 del D.P.R. 600/73, relativo alla conservazione di lettere, telegrammi, fatture ricevute, copia delle lettere, dei telegrammi spediti e delle fatture emesse.

Si rammenta che i soggetti che compiono l’accesso:

  • devono essere muniti di apposita autorizzazione che ne indica lo scopo, rilasciata dal capo dell’ufficio, da cui dipendono;
  • necessitano dell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica o dell’autorità giudiziaria più vicina per procedere durante l’accesso a perquisizioni personali, all’apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli, ovvero per l’esame di documenti e per la richiesta di notizie relativamente ai quali è eccepito il segreto professionale ferma restando la norma di cui all’articolo 103 del codice di procedura penale.

Ed è proprio in relazione all’ultimo punto che il presente intervento vuole soffermarsi, in quanto il periodo “l’esame di documenti ai quali è eccepito il segreto professionale” non appare del tutto esauriente. A tal riguardo, il documento di prassi finora citato precisa che, nel corso di accessi a fini fiscali, il segreto professionale possa essere fondatamente opposto soltanto per quei documenti che rivestono un interesse diverso da quelli economici e fiscali del professionista o del suo cliente e pertanto quando i documenti non presentino alcuna utilità ai fini fiscali. Rilevante risulta questa affermazione “non pare quindi che possa essere eccepito il segreto professionale per le scritture ufficiali né per i fascicoli dei clienti, limitatamente però per quanto attiene a questi ultimi, all’acquisizione dei documenti che costituiscono prova dei rapporti finanziari intercorsi fra professionista e cliente”. Viene dunque stabilito che, in ogni caso, qualora venga opposto il segreto professionale, i verificatori devono richiedere l’autorizzazione dell’Autorità Giudiziaria per procedere all’ulteriore esame.

Emblematica può essere considerata la locuzione “in ogni caso”, in quanto l’azione volta ad eccepire il segreto professionale presagisce la successiva ed automatica richiesta di autorizzazione da parte dei verificatori. Pertanto, secondo la prassi, il segreto professionale verrebbe sempre e comunque oltrepassato dall’autorizzazione normativamente statuita. Si ritiene dunque opportuno, in sede di difesa, eventualmente ragionare sulla legittimità della conseguente autorizzazione. Risulta utile in questo senso citare la sentenza n. 11082 del 2010, la quale ha stabilito che l’autorizzazione rilasciata dal Procuratore della Repubblica per consentire, nel corso di una verifica fiscale, l’esame di documenti e l’acquisizione di notizie, relativamente alle quali il contribuente aveva eccepito l’esistenza del segreto professionale, è soggetta al sindacato del giudice tributario.