12 Settembre 2022

Frode fiscale: quando il commercialista risponde di concorso nel reato?

di Marco Bargagli
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Nell’ambito dei più insidiosi fenomeni di evasione in ambito tributario, spicca la “frode fiscale” che, come noto, viene posta in essere con l’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.

La condotta realizza la fattispecie delittuosa ascrivibile alla “dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” sanzionata dall’ordinamento penale tributario dall’articolo 2 D.Lgs. 74/2000.

In tale contesto, il legislatore punisce, con la reclusione da quattro a otto anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti indica, in una delle dichiarazioni relative a dette imposte, elementi passivi fittizi.

Nello specifico, lo schema classico dell’evasione viene attuato, a livello operativo, mediante la c.d. “frode carosello” e, in tale ambito, tramite l’utilizzo di società cartiere (denominate missing trader), ossia soggetti meramente interposti nella transazione economica, che:

  • non presentano dichiarazioni fiscali,
  • sono sovente amministrate da prestanome,
  • non conservano la documentazione amministrativo contabile,
  • non svolgono una reale attività economica.

In buona sostanza, la società cartiera emette fatture per operazioni inesistenti e, segnatamente:

  • fatture oggettivamente inesistenti quando il contenuto del documento fiscale formalizza operazioni non realmente avvenute;
  • fatture soggettivamente inesistenti, quando le operazioni documentate sono intercorse tra soggetti diversi da quelli risultanti formalmente quali parti del rapporto (cfr. Manuale in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza volume I – parte I – capitolo 1 “Evasione e frode fiscale”, pag. 10 e ss.).

In merito, occorre domandarci se il consulente fiscale della società che ha strutturato la frode fiscale possa in qualche modo rispondere, in concorso nel reato, con conseguente applicazione a suo carico di pesanti sanzioni penali tributarie che l’ordinamento giuridico nazionale pone a tutela del gettito erariale.

Anzitutto, occorre rilevare che, sulla base di un consolidato orientamento giurisprudenziale espresso in sede di legittimità, il consulente è corresponsabile della frode fiscale quando fornisce un contributo determinante nell’ideare, organizzare e strutturare il sistema evasivo.

In buona sostanza, la semplice consulenza fornita al proprio cliente non comporta, sic et simpliciter, profili di responsabilità a carico del fiscalista aziendale.

Ad ogni modo, giova ricordare che l’ordinamento giuridico prevede una circostanza aggravante nella particolare ipotesi in cui il consulente dell’impresa “venda” pacchetti finalizzati all’evasione fiscale al proprio cliente.

Sul punto, l’articolo 13-bis D.Lgs. 74/2000, rubricato “circostanze del reato”, al comma 3 prevede che le pene stabilite per i reati tributari sono aumentate della metà se il reato è commesso dal concorrente nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale svolta da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale.

Interessanti principi di diritto in tema di responsabilità del professionista nella frode fiscale sono rinvenibili nella sentenza emessa dalla suprema Corte di cassazione sezione 3^ penale, nella sentenza n. 156/2022 depositata il 10.01.2022.

Il ricorrente ha fatto riferimento alla corposa giurisprudenza affermatasi in sede di legittimità, in base alla quale il professionista risponde a titolo di dolo eventuale dell’illecito tributario commesso dal cliente solo se conosce le gravi anomalie contabili del proprio assistito.

Nel caso esaminato, a parere del ricorrente, il consulente fiscale:

  • non aveva mai dubitato della genuinità della documentazione prodotta dai clienti;
  • poteva eventualmente essere tacciato di negligenza e superficialità nel controllo ma tale circostanza non poteva integrare il dolo eventuale, ravvisabile nell’accettazione del rischio che l’azione di presentazione della dichiarazione, comprensiva anche di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, possa comportare l’evasione delle imposte dirette o dell’Iva;
  • le dichiarazioni rese dai testi dimostravano che lo stesso ricorrente era all’oscuro di un siffatto rischio;
  • anche le dichiarazioni rese dall’imputato in sede di esame, lungi dall’avere contenuto confessorio, evidenziavano l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato.

Infine, sempre il ricorrente, aveva argomentato rilevando che non aveva partecipato alla creazione del meccanismo fraudolento posto in essere dai coimputati.

Gli Ermellini non hanno però condiviso la tesi difensiva.

Infatti, il commercialista di una società può concorrere nel reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, agendo a titolo di dolo eventuale.

Sulla base di un costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, il contributo causale del concorrente può manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa non solo in caso di concorso morale ma anche in caso di concorso materiale.

In merito, il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell’evento lesivo, ma anche quando assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione, sarebbe ugualmente commesso, ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà.

In buona sostanza è sufficiente che la condotta di partecipazione si manifesti in un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti, e che il soggetto partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato poiché in forza del rapporto associativo diventano sue anche le condotte degli altri concorrenti.

Con riguardo al profilo della colpevolezza, i Supremi Giudici hanno sottolineato che il dolo specifico richiesto per integrare il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, ex articolo 2 D.Lgs. 74/2000, è compatibile con il dolo eventuale, ravvisabile nell’accettazione del rischio che l’azione di presentazione della dichiarazione, comprensiva anche di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, possa comportare l’evasione delle imposte dirette o dell’Iva.

In definitiva, il giudice di merito ha correttamente osservato, quanto al profilo soggettivo della condotta partecipativa, “che plurimi elementi fattuali comprovavano la sussistenza del dolo eventuale, ravvisabile nell’accettazione del rischio che l’azione di presentazione della dichiarazione potesse comportare l’evasione delle imposte dirette o dell’Iva; in particolare, risultava rilevante sia il numero complessivo delle fatture, sia l’importo delle stesse, sia la non occasionalità dei fatti; inoltre, la circostanza delle eccessive movimentazioni di contanti effettuate costituiva un forte segnale di allarme per comprendere la natura di cartiere delle due società di cui curava la contabilità da più anni”.