18 Gennaio 2021

Il costo fiscale dei beni conferiti dall’imprenditore individuale: aspetti critici

di Stefano Rossetti
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La scheda di FISCOPRATICO

La persona fisica che esercita l’attività d’impresa in forma individuale (il c.d. “imprenditore individuale”) riveste due ruoli contemporaneamente a cui attengono due sfere (l’una “privata e l’altra “d’impresa”) che, dal punto di vista tributario, soggiacciono a regole diverse.

In questo contesto non di rado accade che vengano attributi dei beni riconducibili alla sfera personale alla sfera imprenditoriale: da qui nasce l’esigenza di valorizzare tali beni ai fini dell’applicazione delle norme relative al reddito d’impresa in assenza di uno specifico negozio giuridico a cui collegare un costo.

In tali ipotesi occorre applicare l’articolo 65, comma 3-bis, Tuir, secondo cui “per i beni strumentali dell’impresa individuale provenienti dal patrimonio personale dell’imprenditore è riconosciuto, ai fini fiscali, il costo determinato in base alle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1974, n. 689, da iscrivere tra le attività relative all’impresa nell’inventario di cui all’articolo 2217 del codice civile ovvero, per le imprese di cui all’articolo 79, nel registro dei cespiti ammortizzabili. Le relative quote di ammortamento sono calcolate a decorrere dall’esercizio in corso alla data dell’iscrizione”.

Analizzando la norma si evince che:

  • dal punto di vista oggettivo la norma fa riferimento solo ai beni strumentali, con esclusione dei beni merce, patrimonio e dei titoli;
  • la valorizzazione dei beni strumentali deve avvenire in base ai criteri dettati dal D.P.R. 689/1974. Tale decreto era stato emanato al fine di determinare, nell’ambito del reddito d’impresa, i costi dei beni acquistati antecedentemente alla riforma fiscale del 1973 dai soggetti che non erano obbligati alla tenuta della contabilità ai fini fiscali. In particolare:
  • i beni immobili e i beni iscritti in pubblici registri sono valutati singolarmente in base al costo, assumendo come tale il valore definitivamente accertato ai fini delle imposte di registro o di successione o, in mancanza, il prezzo indicato nell’atto di acquisto, maggiorati degli oneri accessori di diretta imputazione” (articolo 4 D.P.R. 689/1974);
  • i beni mobili strumentali non iscritti in pubblici registri, raggruppati in categorie omogenee per anno di acquisizione e secondo i coefficienti di ammortamento […], sono valutati in base al costo di acquisizione, maggiorato degli oneri accessori di diretta imputazione” (articolo 5 D.P.R. 689/1974).
  • il costo storico o di produzione deve essere annotato nel libro inventari ex articolo 2217 cod. civ. ovvero nel libro dei cespiti ammortizzabili;
  • le quote di ammortamento sui cespiti oggetti di “conferimento” possono essere dedotte dal periodo d’imposta nel quale avviene l’iscrizione.

Le criticità legate applicazione dell’articolo 65, comma 3-bis, Tuir, Tuir derivano dal fatto che, sotto il profilo oggettivo, la norma disciplina solo la valorizzazione dei beni strumentali suscettibili d’ammortamento, come espressamente indicato dalla norma e come confermato dal riferimento al registro dei cespiti ammortizzabili e al calcolo delle quote d’ammortamento.

La determinazione del valore dei beni strumentali deve essere effettuata secondo i criteri contenuti nel D.P.R. 689/1974, nel caso di specie quelli di cui all’articolo 4 e 5, che disciplinano la valutazione dei beni mobili ed immobili facendo riferimento al costo d’acquisto ed in via residuale, per i beni mobili non registrati, al valore normale solo nel caso in cui il costo d’acquisto non sia documentato.

La lacuna legislativa relativa all’assenza di regole per la valorizzazione dei beni merce, patrimonio e dei titoli potrebbe essere superata applicando:

  • il valore normale ex articolo 9, comma 2 del Tuir. Tale soluzione, tuttavia, ha il difetto di palesare dei salti d’imposta: infatti ciò avverrebbe ogniqualvolta il valore normale fosse superiore al costo di acquisto. In tal caso i beni entrerebbero in regime d’impresa ad un valore fiscalmente riconosciuto che non trova riscontro nel costo di acquisto o di produzione;
  • il costo storico secondo una lettura estensiva dell’articolo 65, comma 3-bis, Tuir. Tale soluzione, maggiormente cautelativa rispetto alla precedente, sembrerebbe quella caldeggiata dalla dottrina maggioritaria anche se ha il difetto di non trovare espresso riscontro dal punto di vista normativo.