5 Marzo 2015

Le prestazioni di volontariato nel terzo settore

di Guido Martinelli
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Continua la nostra rubrica dedicata agli enti non commerciali, in cui stiamo analizzando le associazioni di volontariato, con la connessa responsabilità di coloro che agiscono in nome e per conto delle associazioni e degli insegnanti ed educatori operanti per tali enti. Oggi saranno oggetto d’analisi le prestazioni di volontariato per il terzo settore.


Ricadono nell’ambito delle prestazioni volontarie nel terzo settore, tutte quelle forme di collaborazione in cui il prestatore lavora semplicemente per passione o per idealità pago delle soddisfazioni che gli provengono dall’aver contribuito alle varie iniziative poste in essere dal proprio ente, senza richiedere o ricevere alcun tipo di compenso per l’attività prestata.

Sotto il profilo della mancata previsione di un compenso, quale controprestazione all’attività lavorativa prestata da un soggetto, si deve rilevare come ciò sia giustificato dall’inesistenza di un rapporto di lavoro sia autonomo che, a maggior ragione, subordinato. Come emerge dalla normativa che disciplina i contratti di lavoro, un rapporto di lavoro si caratterizza per la presenza degli elementi della continuità, della collaborazione nell’altrui impresa, del vincolo di subordinazione nel lavoro dipendente, nonché dell’onerosità della prestazione, elemento che ricorre quando vi sia una corrispettività tra l’attività svolta dal lavoratore e la controprestazione posta a carico del datore di lavoro.

Il carattere di prevalenza del rapporto di lavoro gratuito nelle associazioni trova esplicita riconferma e puntuale applicazione nella regola generale fissata dall’art. 2, comma 2 della L.266/91 per le associazioni di volontariato che “l’attività del volontario non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario. Al volontario possono essere soltanto rimborsate dall’organizzazione di appartenenza le spese effettivamente sostenute per l’attività prestata, entro limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse” e dal comma 3 “la qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di contenuto patrimoniale con l’organizzazione di cui fa parte”.

La ratio della norma è quella di rovesciare la presunzione di onerosità che si riconnette di norma allo svolgimento di attività lavorative

Giurisprudenza ormai consolidata fa discendere automaticamente il carattere oneroso della prestazione da principi fondamentali del nostro ordinamento (art.36 Cost. e art.2094 C.C.) sia pur riconoscendo, nell’ambito dell’autonomia privata, la possibilità di instaurare un rapporto di lavoro in cui venga esclusa ogni forma di retribuzione per l’opera prestata.

In tal senso è applicabile la presunzione di gratuità delle prestazioni rese a favore dell’ente, in quanto le attività si presumono prestate affectionis vel benevolentiae causae, ossia per la realizzazione di una determinata causa di natura non economica direttamente riconducibile alle finalità sociali, culturali, assistenziali perseguite dall’associazione di appartenenza. Si comprende allora come le prestazioni dei volontari s’intendono rese al di fuori di qualsiasi rapporto giuridicamente rilevante in grado di giustificare l’insorgenza di legittime pretese reciproche tra le parti.

Conseguentemente non sussistendo la volontà delle parti di vincolarsi, non sorge il diritto al compenso, neppure qualora non si realizzasse l’aspettativa che aveva indotto il prestatore a collaborare gratuitamente: in tal caso non è configurabile l’ipotesi dell’azione di indebito arricchimento ex art. 2041 C.C., in difetto dei relativi estremi.

Detta azione infatti è proponibile da un soggetto che lamenti una propria diminuzione patrimoniale nei confronti di un altro soggetto che, correlativamente, realizza un corrispondente aumento patrimoniale, senza che ciò sia giustificato da una disposizione di legge o da un accordo tra le parti. Tale condizione non ricorre certamente nell’attività del volontario posto che, come chiarito, questi svolge spontaneamente la propria opera per finalità del tutto avulse da qualsiasi tornaconto economico personale.

Tuttavia non sono mancati i casi in cui il volontario, dopo aver prestato gratuitamente la propria opera, rivendicasse a distanza di tempo la natura onerosa del rapporto con l’organizzazione di appartenenza

Pertanto, il sodalizio deve adottare tutte le cautele necessarie per evitare il rischio di rivendicazioni salariali e contributive da parte del collaboratore al termine del rapporto.

É sempre preferibile quindi formalizzare la qualifica di operatore volontario, acquisendo un’espressa dichiarazione del collaboratore debitamente sottoscritta all’inizio dell’attività. In particolare detta dichiarazione dovrà specificare che l’attività s’intende prestata volontariamente ed in modo gratuito per contribuire al raggiungimento delle finalità perseguite dall’associazione di appartenenza. È pure opportuno che la stessa specifichi che l’operatore svolge l’attività sotto la sua personale responsabilità e che non potrà conseguentemente rivalersi nei confronti dell’associazione per danni da lui subiti nello svolgimento dell’attività lavorativa e a causa di essa; infine, il volontario dovrà dichiarare di lasciare indenne l’associazione da ogni pretesa risarcitoria da parte di terzi, in ordine a danni causati e/o derivanti dall’attività da lui gratuitamente prestata.

Una dichiarazione di questo tipo può scongiurare quindi un altro pericolo forse più reale rispetto a quello dell’esercizio dell’azione di indebito arricchimento.

É consigliabile, comunque, prevedere esplicitamente nello statuto che le cariche sociali e gli eventuali incarichi affidati dal circolo siano a titolo gratuito.

Appare utile concludere l’argomento evidenziando che il legislatore intende favorire i lavoratori che vogliano svolgere attività di volontariato, con il riconoscere ad essi “il diritto di usufruire delle forme di flessibilità di orario di lavoro o delle turnazioni previste dai contratti o dagli accordi collettivi, compatibilmente con l’organizzazione aziendale” (art.17, comma 1 L.266/91).