14 Dicembre 2015

L’attività istituzionale e la quota associativa nelle ASD

di Guido Martinelli
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Come è noto, ai fini tributari, la circostanza che le associazioni sportive dilettantistiche, ex lege, non possano avere scopo di lucro, anche indiretto, è irrilevante. Ciò che conta, invece, è lo svolgimento, o meno, di attività c.d. commerciali.

Caratteristica, quindi, di detti enti è la distinzione dell’amministrazione in due grandi aree: l’una, definita per comodità “istituzionale” o “non commerciale”, dove confluiranno le attività economiche che non risulteranno essere rispettivamente, componenti positivi o negativi del reddito d’impresa e, l’altra, commerciale, dove tutto viene attratto nell’area imponibile (principio della c.d. “contabilità separata”). La distinzione, ovviamente, andrà fatta sia per i ricavi che per i costi. In caso di costi promiscui saranno deducibili dal reddito di impresa la parte del loro importo che corrisponde al rapporto tra l’ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito di impresa e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e i proventi. 

La distinzione tra attività commerciale e attività non commerciale (istituzionale) è regolata dalle norme contenute negli articoli 143 e seguenti del Tuir, nonché da specifiche leggi di settore. L’articolo 75 del Tuir statuisce, infatti, che l’imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRES) si applica sul reddito complessivo netto determinato secondo le disposizioni del capo II per le società e per gli enti commerciali (vedi disciplina applicabile alle società sportive dilettantistiche); si applicano, invece, le disposizioni del capo III per gli enti non commerciali (associazioni sportive dilettantistiche). Questo disposto assume una notevole rilevanza in quanto sancisce la differenza sostanziale, nel computo del reddito imponibile ai fini IRES, tra enti non commerciali, in cui possono coesistere due tipologie di attività (istituzionale e commerciale), ed enti commerciali dove tutte le attività poste in essere, anche se, in linea teorica, di natura istituzionale, sono attratte nell’area commerciale. La distinzione, sotto il profilo concettuale, a grandi linee, porta a ritenere commerciale l’attività svolta, in regime di “libera concorrenza” a favore di terzi (ad esempio pubblicità, sponsorizzazione, vendita biglietti di ingresso a manifestazione sportiva, ecc.) mentre è da ritenersi istituzionale tutto ciò che provenga da autofinanziamento o da atti unilaterali (liberalità) da parte di terzi.

Il principale provento di natura “istituzionale” è la c.d. “quota associativa”. In tal senso, infatti, il primo comma dell’articolo 148 del Tuir recita: “Non è considerata commerciale l’attività svolta nei confronti degli associati o partecipanti, in conformità alle finalità istituzionali dalle associazioni …..Le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi non concorrono a formare il reddito complessivo”. La natura istituzionale della quota non è subordinata all’inserimento in statuto delle clausole previste al comma 8 della medesima disposizione che saranno necessarie solo per ritenere istituzionali i corrispettivi specifici versati a fronte di prestazioni di servizi da parte degli associati.

La quota quindi è l’importo il cui versamento determina l’acquisizione di uno status soggettivo: quello di associato all’ente sportivo presso il quale si è effettuato il versamento, componente di quella procedura complessa di ammissione dell’associato che si concluderà con la volontà della associazione di accettare la domanda del nuovo associato.

Va chiarito subito che la quota associativa si riferisce all’anno sociale in cui viene versata e, pertanto, non varrà 365 giorni dal suo versamento ma dovrà essere riversata con l’inizio del nuovo esercizio sociale.

Spesso si disconosce il valore della quota. È vero che non è una componente essenziale (quindi può non essere versata dagli associati o da determinate categorie di associati) ma svolge un ruolo molto importante nella dinamica associativa. Infatti, la qualifica di associato si perde solo per esclusione o recesso. Tra le cause di esclusione è, appunto, solitamente previsto il mancato rinnovo del pagamento della quota associativa. Se e ove questa non esistesse o non venisse richiesta l’associazione si troverebbe nella situazione di non poter mai, in assenza di recesso, eliminare dal proprio elenco soci i soggetti che rimangono inerti e che, di fatto, appaiono ormai fuori dalla vita associativa.

Le associazioni che svolgono solo attività istituzionale non hanno obblighi di tenuta contabile ai fini fiscali, non sono soggetti a dichiarazioni Iva/Ires e non dovranno richiedere il numero di partita Iva: agiranno, quindi, quali consumatori finali. Nell’eventualità in cui corrispondano emolumenti a collaboratori autonomi o subordinati, anche nella forma dell’attività sportiva dilettantistica, dovranno adempiere agli oneri dei sostituti d’imposta. Sussistendone i presupposti (ossia nel caso in cui sussistano lavoratori dipendenti) possono essere soggetti ad Irap. L’Iva che pagheranno sugli acquisti non sarà recuperabile e costituirà un costo per l’associazione. Dovranno redigere il rendiconto economico-finanziario consuntivo di gestione per la cui compilazione non sono previste formalità obbligatorie.