22 Luglio 2014

Exit tax e società immobiliari: opportunità e criticità

di Ennio VialVita Pozzi
Scarica in PDF

Il trasferimento dell’impresa all’estero può interessare anche una società immobiliare ossessionata dal tema delle società di comodo e del regime dei beni sociali utilizzati dai soci.

Ipotizziamo il caso di una srl con un compendio immobiliare affittato e con un immobile usato dal socio, ma non locato a quest’ultimo. Il punto di partenza del ragionamento sta nel fatto che un insieme di immobili non costituisce attività di impresa. Sul punto si può anche ricordare l’opinione espressa nel parere n. 52 del 15 dicembre 2005 del Comitato consultivo per le norme antielusive.

La R.M. n. 460196 del 13.12.1989 ha inoltre chiarito che una pluralità di immobili non costituisce stabile organizzazione.

Alla luce di queste considerazioni possiamo concludere che in relazione agli immobili italiani il trasferimento di sede della società all’estero determina una fuoriuscita di tali beni con conseguente realizzo dei plusvalori latenti ai sensi dell’art. 166 del Tuir. Ovviamente, se il paese di approdo è comunitario, si potrà anche beneficiare della sospensione o della rateazione del prelievo fiscale.

Pertanto, la società comunitaria deterrà un compendio immobiliare in Italia che si caratterizza per i seguenti aspetti:

  • non viene prodotto reddito di impresa poiché, come detto, un compendio immobiliare
    non costituisce una
    stabile organizzazione;
  • le società non residenti sono tassate sulle
    varie categorie di reddito come una persona fisica pur essendo soggette ad IRES;
  • come conseguenza
    non è applicabile la disciplina delle
    società di comodo;
  • non è inoltre applicabile la disciplina dei
    beni sociali utilizzati dai
    soci in quanto relativa solo al caso dei beni detenuti nella sfera di impresa.

La domanda che sorge spontanea a questo punto è la seguente: ma una società estera con solo immobili in Italia è una società effettivamente residente all’estero o potrebbe essere attratta in Italia con l’esterovestizione?

Dato per scontato che la società sia effettivamente amministrata all’estero, rimane aperto il problema della sussistenza del terzo requisito, ossia della ubicazione dell’oggetto dell’attività.

Uno spunto interessante giunge dalla C.M. 6.8.2007 n. 48 diramata in materia di trust. La residenza del trust è disciplinata analogamente a quella di una società di capitali dall’art. 73 co. 3 del Tuir. L’Agenzia delle Entrate ha sostenuto che “se l’oggetto del trust è dato da un patrimonio immobiliare situato interamente in Italia, l’individuazione della residenza è agevole; se invece i beni immobili sono situati in Stati diversi, occorre fare riferimento al criterio della prevalenza. Nel caso di patrimoni mobiliari o misti l’oggetto dovrà essere identificato con l’effettiva e concreta attività esercitata”.

Anche se non in modo diretto, l’Agenzia sembra sostenere che la presenza in Italia degli immobili fa sì che la residenza possa essere considerata nel nostro paese.

Le posizioni desumibili dalla C.M. n. 48/2007 non paiono condivisibili. Si ritiene, infatti, di convenire con le posizioni sostenute dal soggetto che ha presentato l’interpello che ha dato vita alla coeva R.M. n. 312/07 laddove si sostiene che il luogo di esercizio dell’attività principale, consistente nel mero godimento di partecipazioni, non può che essere quello in cui tale attività è svolta ossia nello Stato della holding estera.

L’oggetto della attività di una holding, infatti, non può essere identificato con l’ubicazione delle società figlie ma con la gestione di dette partecipazioni che, come tale, avviene generalmente nello stato dove la società è costituita.

Analoghe considerazioni valgono anche per le società immobiliari. L’oggetto non può coincidere con l’ubicazione degli immobili ma con il luogo in cui viene effettivamente gestita l’attività immobiliare.

A questo punto è utile analizzare le disposizioni convenzionali per valutare una eventuale influenza sulla disciplina italiana. L’art. 4 paragrafo 1 del Modello OCSE stabilisce che una persona è considerata residente di una stato contraente quando la stessa risulta residente nello Stato stesso in base alla normativa interna.

L’art. 4, paragrafo 3 contempla il caso in cui, utilizzando il criterio illustrato al paragrafo 1, la società risulti residente in entrambi gli stati. Il Modello precisa che in questo caso la società sarà considerata residente solamente nel Paese in cui si trova la sede della sua direzione effettiva (it shall be deemed to be a resident only of the State in which its place of effective management is situated).

La sede dell’amministrazione sembra prevalere quindi sull’oggetto dell’attività ma attenzione!

L’Italia ha fatto un’osservazione al paragrafo 24 del Commentario sostenendo che il criterio proposto non sia l’unico ammissibile e che nel determinare la sede di direzione effettiva debba essere preso in considerazione anche il luogo in cui viene esercitata l’attività principale e sostanziale (the main and substantial activity of the entity is carried on). Tale impostazione appare del resto in linea col tenore dell’art. 73 comma 3 del Tuir. Va rilevato come le osservazioni fatte dagli Stati al commentario servono per riservarsi la possibilità di poter aderire ad una interpretazione alternativa.

Alla luce delle osservazioni fatte dall’Italia sul Commentario, possiamo quindi affermare che la Convenzione possa in taluni casi non risolvere il problema della doppia imposizione in modo immediato.

E’ quindi necessario che venga definito in modo chiaro il criterio che associa la residenza all’oggetto dell’attività, tenendo sempre presente che non deve essere violato il principio della libertà di stabilimento in ambito comunitario sancito dal Trattato istitutivo della Comunità Europea.